Il Polemoscopio di Casanova

RENATO PADOAN
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POLÉMOSCOPE, s. m. terme d’Optique, c’est une espece de télescope ou de lunette d’approche, qui est recourbée, pour voir les objets qui ne sont pas directement opposés à l’oeil.Il a été inventé par Hévélius en 1637, qui le nomma ainsi des mots grecs , combat, & , je vois, parce que l’on peut s’en servir à la guerre, dans les batailles, &c. On a présentement quelque chose de semblable dans ce que l’on appelle lorgnettes ou lorgnettes d’opéra, avec lesquelles on peut voir une personne lorsque l’on paroît en regarder une autre. Encyclopédie de Diderot et d’Alembert.

Con l’espressione di immagine virtuale s’intende un’immagine che non si trova al proprio posto ma in posto diverso da quello che sta occupando veramente come un’immagine speculare o riflessa in una qualche trasparenza sospesa.
Specchio e vetro si contrappongono come l’opaco e il trasparente.Lo specchio se ci si pensa è il massimo dell’opacità. Non è veramente possibile veder oltre perché l’oltre non potrebbe mai minimamente insinuarsi in quel che si vede massimamente aderente per così dire alla superficie dello specchio e l’andar oltre consentirebbe soltanto di entrare in quello stesso mondo cui appartiene il confine speculare e quel che vi si specchia ma rovesciati dall’altra parte secondo il principio della chiralità, che è proprio quel che accade all’Alice di Carrol.

Quell’immagine che si vede ingrandita nel cannocchiale è immagine virtuale perché la nave ingrandita che vide Galileo dal campanile di San Marco non stava in quel mare laggiù ma dentro il cannocchiale tra la lente obbiettivo e quella oculare.

Tutti quei congegni di prestidigitazione di sala che precedettero l’immagine elettronica che è anch’essa virtuale dalla camera ottica al Tanagra, dalla lanterna magica fino al cinematografo si fondano sull’immagine dislocata o virtuale.
Insisto sul termine dislocata perché l’immagine virtuale non è affatto virtuosa ma doppia ed equivoca.
Venezia, la sua immagine non è virtuosa ma virtuale.
Così fu anche per la sua morale.
La morale di Venezia fu senz’altro valorosa ma non nel senso della virtuosità sibbene in quello della virtualità, cioè della dislocazione, della sorpresa spettacolare e dell’ingannevole.

Camera da letto, Villa Verdi

La mia prima moglie soggiornò per una restaurazione del corpo in un attrezzatissimo hotel di Salso Maggiore.
Andai a trovarla e vi rimasi qualche giorno.
Quei giorni non furono giorni né per me né per lei di cure balsamiche, ma di vere scoperte culturali, perché l’organizzazione prevedeva delle gite in pullman nei dintorni monumentali con l’accompagnamento di guide affabili e carine che ci avrebbero istruiti sui quei luoghi che avremmo visitato.

Ricordo la visitazione di quella che fu la dimora fissa di campagna del grande Verdi. 
Tutto era verde per l’appunto intorno di genere orticolo e boschivo. 
La sua magione modesta era costituita di piccole stanze diffuse e congegnate con una mobilia d’epoca nient’affatto pretenziosa ma modestamente umile e personalissima. 
Nell’aggirarsi per quelle stanze capitammo nella stanza da letto e qui ricevetti dalla guida una correzione e istruzione che mi consentì di correggere a mia volta coloro che nel vedere quel letto matrimoniale che si vede a Ca’ Rezzonico commettono lo stesso errore che commisi.

Il letto di Verdi era per me inverosimilmente piccolo cioè corto, ma anche per gli altri ovviamente perché non soffrivo e loro con me di quel particolare disturbo di deformazione dell’immagine di cui sofferse il Greco pittore di prolungare gli oggetti.

Ribadii la mia perfetta buonafede e con essa la conoscenza che la statura di Verdi non era mediana ma sull’imponente. 

La guida disse che senz’altro avevo ragione e che le cose stavano così ma ai tempi di Verdi non si dormiva come ora cadavericamente distesi, ma come diciamo noi veneziani in “senton” cioè quasi seduti con molti cuscini dietro la schiena e la gambe puntate sulla spalliera o “piederia” del letto. È questa peraltro una posizione che si riscopre e si pratica in caso di eccesso di cibo per facilitare la digestione.

Accusai il colpo e proseguimmo il viaggio oltre il luoghi verdiani della rimembranza.

La rocca Sanvitale, nota anche come castello di Fontanellato, è un maniero d’epoca medievale interamente circondato da fossato colmo d’acqua, in provincia di Parma.

Capitò poi o prima non ricordo precisamente se in quello stesso giorno o in un altro … ma non importa … che visitassimo il Castello di Fontanellato.
Qui mi presi la mia rivincita, ma a quanto vedo la mia correzione alla guida che c’illustrò il pregio più sorprendente del maniero non ha avuto esito. Wiki non ne tiene minimamente conto e non dice che quel congegno del castello si chiama Polemoscopio!
Fummo portati al centro del centro nella torre che si erge nella fortezza sovrastandola e che rappresenta su di un piano tutto il perimetro a 360° dei dintorni in un immagine virtuale transitata da un congegno ottico come fossimo in quei sommergibili che immersi sott’acqua perlustravano la superficie del mare stando nascosti.

La faccenda era veramente mirabile e inaspettata. Era un caso di pura scenografica rappresentazione leonardesca virtuale ma alla guida mancò il nome corretto per definire il congegno!
Glielo offersi io tirandolo dalla mia riserva cospicua d’informazione erudita.
Quel congegno ha nome di POLEMOSCOPIO, cioè di “mirador” ottico per vedere centrandolo un bersaglio di scopo ed è congegno bellico, militare come si evince dalla parola greca “polemos”.
Mirador è parola spagnola che significa la parte alta sommitale di un edificio costituita in terrazza coperta aperta per ammirare tutto l’intorno a 360°.

Ma il bello come si dice non è ancora questo ma quello che poi aggiunsi alla più corretta e specifica definizione.

Non mi attarderò ora ad aggiungere altro che mi riservo d’illustrare quando verrò a parlare della camera ottica e dell’impossibilità per il cinema di rendere adeguatamente Venezia salvo due o tre casi nel senso di pochi film riusciti dal mio punto di vista dei molti che ci sono stati, perché Venezia è solo apparentemente narrativa.

Casanova 1788, Incisione di Berka, inserita nel frontespizio dell’Icosameron (1788).

Giacomo Casanova più che altro noto per le sue Memorie fu uno scrittore inesausto che si cimentò in più generi e che fu tradito in un certo senso per le sue aspettative dal successo delle sue stessa Memorie. Egli avrebbe voluto esser ricordato per il suo Icosameron, vero romanzo delirante di fantascienza in cui si racconta di un tale che inghiottito dal vortice del Maelstrom [ risucchiato al centro della terra dove s’imbatte in creature stranissime che vivono nutrendosi tra fratelli del loro stesso sangue latte. 

Era la moda del tempo che andava esageratamente ossequiata, quella moda che aveva prodotto I viaggi di Gulliver e I viaggi di Enrico Wanton di Zaccaria Seriman.

L’Icosameron che ha dimensioni ciclopiche fu stampato assai ridotto in tempi recenti col titolo di Edoardo ed Elisabetta.

Insomma Casanova scrisse in Francia una commedia licenziosa e galante dal titolo Le polemoscope ou la vertu devoilé cioè a dire “Il polemoscopio o la virtù svelata” che in questo sarà da intendersi piuttosto come smascherata e ricondotta al valore del libertinaggio, dacché la libertà è soprattutto erotica allora a parer mio come adesso.

Un veneziano soltanto poteva porre tanta cura nell’ottica perché Venezia, oltre a raffinatissimi leggerissimi bicchieri di un vetro sottile come quello di una lampadina di adesso o di prima che perché non si rompessero venivano trasportati immersi nell’olio di una botte, faceva lenti per strumenti di ottica e specchi in cui si specchiano gli umani e la volta celeste nei telescopi.

La costellazione semantica dello specchio: SPAK comprende altresì quella dello spiare e Casanova fu spia e agente segreto e la sua fuga dai Piombi, dai quali sarebbe stato impossibile evadere, prova ne sia che a quanto pare evase lui soltanto! 

Si trattò di una messa in scena per riciclarlo dal momento che in Venezia tutti sapevano oramai quale fosse la sua più autentica professione, quella che continuò peraltro a esercitare e che con una terminologia attenuata potremmo definire quella di informatore e osservatore. Del resto per una società castale non avrebbe potuto un nobile per essere fondamentalmente riconoscibile e dichiarato svolgere una tale funzione coperta di spia.

Venezia non è virtuosa ma virtuale anche adesso. Non conosco nessun vero veneziano che sia succube della religione. Semmai esiste una religione per Venezia fu ed è quella del bello. L’aggettivo buono lo si usa poco. Mi piace citare una battuta di spirito che ho sentito prima in casa mia e poi in quella di altri.

“Xela bona sta minestra?”

“La tase, la xe bona!”. 

Anch’io penso che la bontà migliore è quella che tace e non si fa proprio sentire perché come dice il Vangelo “ … non deve sapere la mano sinistra quel che fa la destra …”. 

Oggi siamo invasi dalla propaganda delle buone opere e non passa non dico giorno ma ora, minuto che non ci si affligga ipocritamente per bambini leucemici, negri affamati, migranti annegati, profughi di guerra, disoccupati nostrani e miserabili accovacciati alle stazioni fino ai direttori di banca esiliati e ai “ndranghetisti” rimasti senza lavoro ecc.

Ma che cos’è il vetro veramente e che cos’è uno specchio per essere virtuale?

Il vetro è la trasparenza, ma è altresì nella forma di una lente la deformazione, l’anamorfosi del reale visibile ad occhio nudo che per così dire si rende deformandosi possibile.

La realtà che si fa possibilità si disloca e si trasforma.

In Venezia niente sta veramente dove si trova perché tutto si traduce in continuazione in mentale. 

La mappa di Venezia sta nella mia testa. 

C’è entrata dentro e si muove cardanicamente nel mio cervello senza che la si possa veramente raccontare. Quando ci cammino e la penso mi accorgo che è tutta immaginazione!

Quel che vedo sta in uno specchio riflesso.

Non serve che intraprenda quel viaggio cosmico che rallenterebbe il mio tempo secondo la teoria della relatività di Einstein, per la semplice ragione che non c’è un gemello ad aspettarmi sulla faccia della terra. 

Io sono il mio gemello e siamo sempre in due o più d’uno perché chiunque sia stato nutrito da questa forma di città si sdoppia di continuo soltanto che vi cammini dentro e si aspetta sopravanzandosi.

Ligabue raccontò di una spedizione archeologica con guide locali nell’America del Sud, credo fosse in Bolivia. A un certo punto uno di quegli indigenti del posto si fermò come per riposare. Ligabue lo interrogò chiedendogli perché si fosse fermato, pensando che fosse stanco. 

Quel tale rispose:

“Non sono stanco ma aspetto la mia anima che è rimasta indietro!”

Ora sono rimasto indietro e aspetto la mia anima per continuare il cammino

Il Polemoscopio di Casanova ultima modifica: 2023-07-18T07:48:00+02:00 da RENATO PADOAN
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