Scenario bloccato dopo il voto spagnolo. Vittoria solo sulla carta per Alberto Feijóo e il Pp, cui servirebbe un accordo col Psoe per governare. Per Pedro Sánchez e il suo Psoe un secondo posto che sa di vittoria. Vox mantiene il terzo posto ma diventa ininfluente per il governo nazionale. Sumar di Yolanda Díaz tira un sospiro di sollievo ma manca il sorpasso su Santiago Abascal. Nel Senato il Pp trova la maggioranza assoluta ma il bicameralismo asimmetrico spagnolo dà al Senato potestà esclusivamente legislativa.
Nelle urne gli spagnoli frenano l’ondata di destra e ribaltano aspettative e sondaggi, narrazione, ma ci ritorniamo. Prima i numeri, tra parentesi quelli del 2019.
Pp: 8,078210 di voti (5.047.040), 33,04 % (20,99), 136 seggi (89); Psoe: 7.749.791 (6.792.199), 31,7 %, (28,25), 122 deputati (120); Vox: 3.029.896 (3.656.979, 12,39 % (15,21); Sumar: 3.009.835 pari al 12,31 % e 31 seggi (nel 2019 non c’era ma le liste che la compongono raccolsero 3.295.651 voti, il 13,69 % e 36 seggi). La maggioranza assoluta dei seggi è di 176 su 350.

Scenari possibili, tutti ostici. Un monocolore di minoranza per il Pp Feijóo, che richiederebbe l’astensione del Psoe, o di parte del Psoe. Per Sánchez non basta riunire la “maggioranza dell’investitura” che consentì il varo del governo di minoranza tra Psoe e Unidas Podemos (col voto a favore di Pnv, Más País, Nuevas Canarias, Bloque nacional gallego e Teruel Existe, e l’astensione degli indipendentisti catalani di Erc e dei nazionalisti baschi di sinistra di Bildu) ma ci vorrebbe anche il voto degli indipendentisti catalani di destra di Junts — e oggi entra nel quadro anche la Procura del Tribunale Supremo che ha sollecitato una nuova richiesta di estradizione al Belgio per Carles Puigdemont, questa volta per il delitto di malversazione —. Scenari tanto ostici da rendere concreta la possibilità di un ritorno alle urne, e sarebbe la terza volta in meno di dieci anni (con le rinunce nel 2016 di Rajoy e nel 2019 di Sánchez).
Uno scrutinio al cardiopalma ha introdotto l’incertezza che caratterizza lo scenario futuro. Non è per niente sicuro che si riesca a formare un governo. Il capo dello stato, Re Felipe VI, dovrebbe dare al vincitore il mandato. Feijóo ha detto che chiederà ai partiti di far governare la lista più votata, “com’è normale in democrazia”, ma avrebbe bisogno addirittura di un accordo col Psoe. In teoria per Sánchez potrebbe essere più facile trovare i voti alla Camera ma l’indispensabilità di Junts, gli indipendentisti catalani di destra, rende tutto molto difficile. L’agenda scandisce il tempo dell’estate per tentare di sciogliere i nodi. Le Camere si formano il 17 agosto, a partire dal 21 Felipe VI inizierà le consultazioni coi partiti per incaricare il candidato premier — che può accettare o meno, nel 2016, prima ripetizione elettorale, Mariano Rajoy accettò con riserva e poi abbandonò — e si presenterà nella settimana successiva al Congresso dove in prima votazione dovrà trovare i 176 seggi della maggioranza assoluta e cercare la semplice dalla seconda, non prima di settembre. Se, in qualsiasi momento, fallisse il re potrà incaricare un altro candidato oppure sciogliere le camere, e dopo 47 giorni si terranno le nuove elezioni.
Vediamo com’è andata per partiti e protagonisti del voto. Alle destre, male. Feijóo chiede ai partiti “di non bloccare il paese”. Viste le aspettative, è una personale sconfitta, decisioni e parole degli ultimi dieci giorni sono state per il leader del Pp e il suo staff un rosario di errori che ha ribaltato il quadro di fondo che si dava per scontato — ma che, evidentemente, non lo era —. La sconfitta si è materializzata con crudezza durante la festa davanti alla sede nazionale di calle Génova a Madrid — festa surreale, sorrisi incrinati dal palco, slogan, balli e tecno stile Ibiza in strada — quando la folla ha interrotto Feijóo gridando il nome della presidente dell’autonomia madrilena, Isabel Díaz Ayuso, invocando una successione, archiviando già il galiziano. Il Pp cresce in voti e seggi ma puntava a 150, sognava i 160, e si trova nell’angolo. A meno di un miracolo, il governo, sono in partenza i lavori per il dopo – Feijóo.

A Pedro Sánchez e al Psoe è andata benissimo, una sconfitta dolcissima. Il sanchismo non è stato derogato, anzi. Il campione di sopravvivenza scrive un’altra pagina del suo Manuale di resistenza — titolo di un suo libro — usando la sua arma migliore, l’impresa, la corsa in salita, contro tutti, partendo da sconfitto e arrivando primo al traguardo, o anche secondo quando è lo stesso. Il Psoe cresce di due seggi e circa un milione di voti. La gioia di militanti e segretario era quella di una vittoria. La centralità del Psoe è totale, senza non si governa. Forse neanche con, ma Sánchez mantiene le redini del partito e smonta la costruzione della fine del ciclo.
A Vox va male, come abbiamo visto. Perde voti e seggi e diventa ininfluente, anzi ostacolo alle residue speranze di Feijóo. Ha perso sia contro il voto utile al Pp che davanti alla mobilitazione delle sinistre. Santiago Abascal ammette la sconfitta e incolpa il sistema e Feijóo di quella propria e delle destre. Nessuna autocritica davanti a 500 mila voti perduti. L’attacco al Pp è diretto e preannuncia tensioni immediate nelle maggioranze locali ancora in formazione, dove tutto è di nuovo in discussione e potrebbe entrare nel puzzle per il governo nazionale. Ma Vox ha uno zoccolo duro, e insediamenti solidi nella España interior.

Sumar non somma i voti ottenuti dalle sue componenti nel 2019 ma la lista di Yolanda Díaz c’è, con qualche risultato inatteso — in Catalogna è la seconda forze dopo i socialisti —. Il sorpasso su Vox non c’è stato, è quarta, ma a appena 20 mila voti, che diventano due deputati in meno nella squilibrata rappresentanza delle circoscrizioni elettorali provinciali. Il sollievo, evidente nell’intervento di Díaz davanti ai militanti, ormai senza voce, si unisce all’orgoglio di aver retto in un momento difficile e davanti alla marea montante delle destre. Come fu per Podemos, Sumar soffre nella España Interior e non ottiene deputati in Castiglia y León, Castiglia-La Mancia e Estremadura. Una sinistra a sinistra del Psoe esiste, e Díaz può continuare la costruzione di un nuovo partito laborista.
Ma la Spagna è nazione di nazioni, appena costrette nel disegno della Spagna delle Autonomie, per quanto qualcuno si ostini a non vedere. E allora vediamo com’è andata perché sono pezzi fondamentali del puzzle.
In Catalogna il dato ossimorico di questo voto — vincenti sconfitti e perdenti vittoriosi — si esalta. Gli indipendentisti di destra e di sinistra prendono una dura batosta ma sono indispensabili per un eventuale governo Sánchez — entrambi, perché stavolta non basterebbe Erc e servirebbe anche Junts. Ma i socialisti — dopo quindici anni — ritornano il primo partito e fanno il pieno. 1.213.006 voti, pari al 34,49 per cento e 19 deputati, più della somma degli indipendentisti, 14, ormai ex majoria de país. Con Sumar che irrompe con 493.548 voti come seconda forza, il 14,03 % e sette deputati, la Catalogna vira decisamente a sinistra. Sette deputati anche per Erc, con 426.883 voti e il 13,61 %, e per Junts, 392.634 voti e l’11,16 % (che tornano ai consensi del 1982!). Successo a metà per il Pp, con 6 deputati per 469.117 voti (oltre il 78 % in più rispetto al 2019) e il 13,34 %. Alta l’astensione a segnalare la delusione di un elettorato stanco di illusioni e promesse di dieci anni di processismo che prende, lentamente, le misure della realtà. Junts non esclude di appoggiare Sánchez ma chiarisce che non sarà per niente, stoccata a Erc. I richiami all’unità dell’indipendentismo coprono crisi e divisioni, una tensione che non favorisce Sanchéz, per cui l’appoggio dell’intero blocco indipendentista avrebbe un alto prezzo.
Nel Paese basco, altra tessera del puzzle nazionale, acque non meno agitate. Il Psoe è il primo partito, con 289.826 voti (+ 31 %), pari al 25,27 % e 5 deputati. Cinque seggi anche per il Pnv, con 275.782 voti (quasi il 25 % in meno rispetto 2019) e il 24,05 %. Successo per Bildu che cresce in voti (più 28,28 %) arrivando a 274.676 voti, pari al 23,95 % e cinque deputati. Due i deputati del PP e uno quello di Sumar. Ma, colpo di scena, la Navarra dà a Bildu un altro deputato. E fanno sei, sancendo il sorpasso sul Pnv nel Congresso. Bildu prosegue la sua crescita e insidia il Pnv, strappandogli militanti e quadri, elettori soprattutto giovani, importanti città e territori.
Allarghiamo lo sguardo. Che era un voto europeo è stato detto, qual è il risultato? Nel Ppe, chi auspicava una soluzione greca, un Pp autosufficiente, è rimasto deluso non meno di chi auspicava un governo con delle destre che aprisse la strada a un rovesciamento della governance europea, con la rottura dell’accordo Ppe-Pse e, dopo il voto del 2024, una nuova maggioranza tra popolari e destre europee.
La Spagna ferma l’onda di destra, che si infrange sugli scogli della maggioranza politico-sociale di sinistra sempre evocata da Sánchez. Un governo di minoranza del Pp non sarebbe una brutta soluzione per Bruxelles, che del resto si è trovata benissimo col governo Sánchez, con la Spagna che è stata laboratorio delle nuove politiche economiche e sociali dell’Unione.
La ripetizione elettorale aumenta le incertezze e preoccupa Europa e Ppe, perché coglie i popolari spagnoli con un leader dimezzato e la costruzione di un’eventuale nuova leadership, con Ayuso, affrettata e irta di rischi. Il nuovo Pp sarebbe più a destra in un paese che ha appena eretto un muro contro le destre. L’Europa teme un nuovo voto e vuole un governo politico, per quanto sia difficile formarlo e altrettanto ogni ipotetico cammino, la democrazia parlamentare spagnola ha dimostrato di garantire la governabilità. Per questo ha fatto sapere che non sarà un problema un governo in funzione alla presidenza di turno dell’Ue: la Spagna si prenda il tempo che serve. Il piano inclinato che sembrava pendere inevitabilmente verso destra nell’Ue viene appena un po’ sollevato ma, attenzione, la sinistra spagnola aveva da proporre agli elettori la difesa di una concreta esperienza trasformatrice di governo, altre sinistre europee no.

Giorgia Meloni non ha portato bene, gli slogan negazionisti del cambio climatico non hanno aiutato Vox, il governo delle destre è perduto. Si consola con il vertice di Roma sull’immigrazione e con le aperture di Feijóo e Tajani per una entrata di Fratelli d’Italia nella famiglia popolare europea. Nel tentativo di Manfred Weber di disegnare destre buone e cattive, sulla discriminante dell’atlantismo e dell’accettazione del quadro unitario europeo, per portarle nel governo d’Europa il voto spagnolo costituisce un rallentamento ma non uno stop.
Considerazioni finali. Il bipartitismo spagnolo si rafforza, erode punti a destra e a sinistra, il voto utile, ma non ritrova l’autosufficienza. Il panorama politico spagnolo è saldamente plurale, come le sue componenti nazionali e la sua democrazia. Si ripropongono le chiavi, ignorate, che dovrebbero sostanziare progetti di riforma politica e istituzionale della democrazia spagnola. Equilibri e cultura politica rendono il lavoro impossibile.
I sondaggi, i media, prefiguravano altri risultati, vedevano un altro paese. L’agenda della campagna — lunghissima, viene dal voto amministrativo del 28 maggio, già tutto in chiave nazionale, se non da prima, con le destre che hanno convertito in una campagna elettorale permanente lo scenario politico spagnolo — è stata surreale, l’Eta, il comunismo, tante omissioni. È questa l’unica campagna elettorale seguita dal cronista in cui l’economia, i risultati e le scelte alternative, non hanno avuto posto nel dibattito pubblico.
La cittadinanza spagnola ha fatto il lavoro che i media non hanno voluto fare portando le scelte economiche e sociali nelle urne, premiandole e ribaltando la descrizione — strumentale o incapace di vedere, non si sa che sia peggio — che questi facevano del paese. Potrebbe essere una lezione ma nessuno la coglierà. Il panorama editoriale spagnolo si prepara a una nuova scossa con l’ipotesi di vendita del Gruppo Prisa, che pubblica tra l’altro lo storico quotidiano El País, per il quale si parla addirittura di un interessamento di Mediaset.
La corsa che comincia adesso è quella contro un ritorno alle urne, che appare l’ipotesi più probabile a meno di rovesciamenti del tavolo che forse solo Sánchez, sulla spinta di una forte pressione europea e atlantica, potrebbe determinare, consentendo a Feijóo di governare con il suo indispensabile apporto. Il presidente del Pp comunque ci prova, annuncia l’appoggio del deputato dell’Unión del pueblo navarro e annuncia di aver aperto il dialogo con Coalición Canaria, PNV e Vox, una carambola che appare impossibile — e infatti il Pnv rimanda l’invito al mittente — ma non meno di un governo del Psoe con l’appoggio di Junts.
La spinta europea per un governo politico, però, potrebbe aprire strade che ora sembrano impercorribili. L’ondata di destra, in Spagna, per ora è stata frenata. Ma cosa accadrà è ancora un’incognita.

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