Turbolenza senza precedenti nelle relazioni tra Washington e Tel Aviv, dopo il colpo di mano del governo Netanyahu alla Knesset, la modifica della “clausola di ragionevolezza”, uno dei punti chiave della riforma della giustizia, che sottrae ai giudici della Corte Suprema il potere di ribaltare le decisioni e le nomine del governo e dei singoli ministri sulla base del fatto che sono “irragionevoli”. La vicenda in corso mostra come Israele, al pari degli Stati Uniti, stia nel pieno di un’era in cui sono protagonisti politici di estrema destra decisi a mettere alla prova, fino a vanificarli, regole e vincoli propri di un sistema democratico.
A Tel Aviv migliaia di manifestanti hanno marciato sulla principale arteria, la Ayalon, bloccando il traffico. La polizia ha usato i cannoni ad acqua nel tentativo di disperdere la folla. Ci sono stati scontri e barricate. Sarebbero 34 gli arresti in tutto il Paese nel corso della giornata di proteste, di cui quindici a Tel Aviv. Almeno quattro agenti sarebbero rimasti feriti e tre manifestanti hanno riportato lievi conseguenze dopo che un furgone si è lanciato sul corteo in un sobborgo della città.
La crisi sta dunque avendo riverberi importanti nelle relazioni con gli Usa. Si fa così sempre più fragile il rapporto, già difficile, tra il presidente Joe Biden e Netanyahu. La salvaguardia della democrazia negli Stati Uniti e nel mondo è – nelle prese di posizione di Biden – un valore fondamentale della sua presidenza. Il primo ministro israeliano, invece, è istintivamente e politicamente più vicino all’ideologia dell’ex presidente Donald Trump, probabile futuro rivale di Biden nella corsa alla Casa Bianca, quel Trump che, allo stesso modo, ha sottoposto a dura prova, fino al limite della rottura, le massime istituzioni democratiche come mai era successo nella recente storia americana.
Gli oppositori delle riforme sostenute da Netanyahu avvertono che l’indebolimento del potere della Corte Suprema israeliana comprometterà i controlli sull’autorità del suo governo, l’esecutivo più di destra nella storia del paese, aprendo la strada a politiche estremiste, sollevando seri interrogativi sul regolare svolgimento delle future elezioni e così erodendo irrimediabilmente la sua democrazia. Trump ora punta al suo ritorno alla Casa Bianca e annuncia “ritorsioni” nei confronti delle istituzioni giudiziarie e politiche che hanno cercato di contrastare i tentativi di esercitare il potere dell’uomo forte e, come Trump, Netanyahu sostiene che le sue politiche sono radicate nel desiderio di restituire il potere ai cittadini, arrivando a definite la sua iniziativa legislativa “una mossa democratica necessaria”.
Il comportamento di Netanyahu ha ulteriormente ampliato la spaccatura tra i repubblicani, che in gran parte lo sostengono, e la Casa Bianca e il campo democratico, sottolineando la crescente polarizzazione politica nelle relazioni USA-Israele.




C’è profonda preoccupazione alla Casa Bianca per le implicazioni di un sovvertimento del sistema di controlli e di equilibri tra i poteri in Israele. Innanzitutto le conseguenze nelle politiche sempre più estreme di nuovi insediamenti in Cisgiordania, in contrasto evidente con gli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti, in grado di destabilizzare la regione, causando problemi ad altri alleati degli Stati Uniti come la Giordania. Se la coalizione di destra in Israele va avanti nelle politiche che limitano i diritti delle persone LGBTQ, dei cittadini arabi o degli israeliani laici, infischiandosene della straripante, crescente protesta popolare, non può sottovalutare le nuove tensioni nelle relazioni con gli USA e i contraccolpi politici negli Stati Uniti per Biden. Gli stessi interessi di sicurezza nazionale di Washington sono messi a rischio da un quadro politico che potrebbe spingere Netanyahu ad abbracciare politiche aggressive all’estero – innanzitutto nei confronti dell’Iran – che potrebbero innescare crisi internazionali molto serie, non certo auspicabili mentre negli Usa è già avviata la campagna per le presidenziali del 2024.
Martin Indyk, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, dà voce ai timori di molti sostenitori di lunga data d’Israele per la deriva in corso.
È un giorno molto buio per Israele, ha detto in un’intervista alla CNN International. Nei suoi 75 anni di storia, è la prima volta che si trova ad affrontare una minaccia così alla sua unità, causata da un governo estremista che promuove un’agenda legislativa antidemocratica che sta generando un’enorme opposizione… È molto pericoloso non solo per la coesione interna di Israele, ma anche per il messaggio che invia ai suoi nemici.

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