Al largo. Visi, da tutto ciò che accade

Segni e disegni di Elisa Montessori, versi di Olga Martynova che incrociano i disegni. Cura e traduzione di Maria Gazzetti. Un libro edito da Villa Massimo, molto bello e “introvabile”.
GIUSEPPE GARRERA
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Al centro c’è un libro, luogo custodito, per incontro, convivenza e vicinanza: Visi, da tutto ciò che accade, edito dall’Accademia tedesca a Roma Villa Massimo: segni e disegni di Elisa Montessori, versi di Olga Martynova che incrociano i disegni o, per meglio dire, li toccano a parole; la cura e la traduzione di Maria Gazzetti; l’opera della stamperia Bulla per la realizzazione; cinquanta (50) esemplari la tiratura, per pochi felici (averne in possesso una copia è stata condizione inderogabile per scriverne questa recensione). 

A sfogliarlo si rinvengono stemmi, ad ogni svolta appare un’araldica speciale: nella sfogliatura si adempie una vocazione capovolta di sventolio di vessillo e di ostentazione a testa in giù per dire l’impostura di questo tempo e sbandierare controvento la delusione del mondo così com’è. Libro d’artista, soffietto o ventaglio che sia, in cui custodire tra le pieghe e all’ombra delle pagine i segnalibri di un erbario prezioso. Tracce, filamenti, macchie, resti, non di un naufragio, si badi bene, ma di una grande navigazione in atto e nella quale non avviene alcuna appropriazione, né catalogazione né imperio di conoscenza o nominazione, né alcunché di oltraggioso: ciò che resta è ciò che è dato dal rollio (dalla culla del viaggio) e dai cieli trascorsi. Così nell’operetta morale Cristoforo Colombo di Giacomo Leopardi ad un certo punto dell’attraversata non c’è più alcun interesse per il progetto ma solo la gioia per le onde, per i fili d’alghe trascinati dalla corrente, per il piumaggio sulla tolda o in aperto mare che attesta il volo, per il distinguo tra azzurro e marine, in virtù della forza del vento e della grazia delle brezze. E guardando la neve cadere si comprende che il potere, tutto il potere, è esercizio di idiozia, o, ancor più semplicemente, che si sta sbagliando ad ubbidire. Tra le pieghe e nell’imprimitura tipografica, il testo accoglie fuggiaschi e ogni invito a ricredersi. 

C’è poi un punto che stupisce. Sono le scarpette ai piedi del letto. I calzari, ai piedi del letto, stanno ad indicare un sognatore nel letto e il sonno come pratica scientifica. Da qui una botanica che addirittura teme il calpestio, o una meteorologia che si interessa solo di nubi e cirri. Ma soprattutto una scienza sui moti, le presenze, le lontananze, i corpi perduti, le nascite, il trovare paragoni per l’elegia, e come spingersi al largo: ecco soprattutto: come spingersi al largo. Più volte le chiose di Olga Martynova indicano una maestria il non saper ritornare. Un punto alto del libro è questo indizio intorno all’abilità di non saper ritornare, che rende tutti i segni di Elisa Montessori felici e ignari di nostalgia e rimpianti: tutto si riferisce e aspira all’orizzonte, tutto è un affaccio (l’arte suprema di stare affacciati alla finestra, come sa bene chi conosce la Casa di Goethe qui a Roma): seguire dall’alto i visi dei passanti, la festa della strada, guardare il mondo che passa, il lunario dei vivi, la cerimonia del viavai: temere l’insopportabile intelligenza delle spose nel dire ai mariti come stanno le cose, nel chiamare con il loro nome la frode della felicità familiare, l’impostura della casa, la caricatura del ruolo, l’andamento delle cose. C’è sempre un attimo in cui si risulta degni di tutta la pietà del mondo: che sia anche solo il piegarsi per mangiare per fame, o il sorriso di circostanza per un altro giorno non proprio felice, o il parlare in continuazione e non azzittirsi, o sostare imbambolati davanti ad una vetrina con un desiderio (ogni desiderio economico è legittimo): innumerevoli  momenti in cui tradiamo il destino del nostro corpo ( solitudine e deserto) e l’orizzonte del suo abitare uno sconforto che non si può dire. Il taglio e il fondo delle tavole attestano una scelta: rendere inconsolabile la veduta degli altri, non cancellare, ad esempio, la vastità dell’offesa e il torto di chi se ne va e muore, o il sentimento della inutilità degli abbracci, e la pratica quotidiana per cui ci si accorge che non c’è più niente da fare. Purtroppo l’illusione della giovinezza è più commovente dell’opera d’arte. 

Per fortuna, per la nostra felicità, molti segni inutili. Basta sfogliare il libro. Le carte e i versi  sono disseminati di oggetti e pratiche cultuali (capricci, ornamenti, presunti decori, addobbi, fioriture, attenzioni, azzurrità): ogni atto, gesto, cerimoniale, abitudine, uso e modo sono superflui, debordano dalle consegne, tracimano e allagano: l’attività d’arte inizia da questo spartiacque in cui l’attività e la consegna escono dal seminato e attestano, testimoniano, segnalano un altrove e la presenza di un regno, di un ordine superiore d’appartenenza, di gesti e usi provenienti da precedenti imperii e domini d’intelletto e di forme e di apparati che Goethe – non appena varcò la soglia del salotto della von Stein e fu investito dal profumo che ne proveniva – chiamò i segni che rivelano la presenza di un grande regno.

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Al largo. Visi, da tutto ciò che accade ultima modifica: 2023-07-26T16:16:49+02:00 da GIUSEPPE GARRERA
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