Dieci anni fa perdeva la sua battaglia terrena, ma Stefano Borgonovo in realtà ha vinto. Ha vinto perché la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) il morbo maledetto per cui ancora non è stata ancora trovata una cura, questo flagello che quando si abbatte sui calciatori desta ancora più impressione, date le condizioni in cui riduce l’organismo e il confronto impietoso con la vigoria atletica di prima, la SLA, dicevamo, se l’è portato via ma non lha sconfitto. Borgonovo, infatti, ha lottato con tutte le forze contro “la stronza”, come la chiamava lui, mobilitando l’opinione pubblica, invitando la comunità a riflettere sulla pericolosità di questa malattia e sul bisogno di potenziare la ricerca per fermarla o, quanto meno, per ridurne l’impatto, ma soprattutto ha dimostrato quanta dignità possa avere un essere umano benché ridotto in condizioni disperate.
Ce lo ricordiamo ancora, Stefano, la sera dell’8 ottobre 2008 al Franchi di Firenze. Baggio ne spingeva la carrozzella, Maldini era lì al suo fianco ed era pressoché impossibile trattenere le lacrime. Ci ricordiamo i suoi occhi espressivi, la sua partecipazione a tutto ciò che accadeva nel mondo, e in particolare nell’universo sportivo e calcistico, le sue pillole per La Domenica Sportiva, le sue raffinate analisi e la sua incredibile normalità, pur sapendo che gli restasse ormai poco da vivere.
Borgonovo non si è mai voluto arrendere al male. Ci ha convissuto con rabbia ma, al tempo stesso, con una grinta fuori dal comune. Ha partecipato a ogni evento con rara intensità, dicendo la sua e non arrendendosi al dolore e al senso di sconfitta che, progressivamente, lo straziavano. Si è battuto per sé e per gli altri, sensibilizzando l’opinione pubblica sul tema e ottenendo risultati importanti. Prima del suo dramma, infatti, della SLA se ne parlava a stento, quasi con vergogna; adesso se ne parla eccome, ci si indigna e si sa che la pressione dell’opinione pubblica può fare miracoli. Borgonovo, del resto, è rimasto per tutta la vita un centravanti, uno che non si tirava mai indietro, uno che lottava con generosità anche per i compagni, fino all’ultimo respiro. Ha affrontato la malattia a testa alta, l’ha chiamata con il suo vero nome, l’ha detestata senza mai farsi sopraffare dalla sua potenza distruttiva e, quando è stato costretto ad arrendersi, se n’è andato con straordinaria dignità e fierezza, dando a tutte e tutti noi la sensazione che un giorno questa belva sarà sconfitta. Anche per questo gli abbiamo voluto così bene; anzi, diciamo che il calvario che ha patito ci ha avvicinato ulteriormente a lui e alla sua famiglia, inducendoci a domandarci come facesse ad accennare un sorriso persino in quelle condizioni. Stefano, tuttavia, era fatto così: aveva sempre un pensiero e una parola gentile per chiunque.
Quarantanove anni: questo è il tempo che gli è stato concesso di vivere. E lui li ha spesi al meglio, con orgoglio e intensità, non smettendo mai di sognare e di sperare, prendendoci per mano anche quando ormai era immobile a letto, infondendoci il suo coraggio e regalandoci una testimonianza d’amore per la vita che non dimenticheremo mai.
Dieci anni senza Stefano, ma lo sentiamo ancora qui, al nostro fianco.

Le due foto di copertina raccontano di una grandissima amicizia e della passione per il nostro sport. Da Twitter: Agata Isabella Centasso @AgataCentasso

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