János Székely, un grande scrittore

Una prosa bellissima, europea, novecentesca, semplice e ricercata, descrittiva e intima. “Tentazione” rivela un talento della letteratura europea finora rimasto in ombra in Italia e ora, finalmente, messo in luce da Adelphi.
BARBARA MARENGO
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Una prosa bellissima, europea, novecentesca, semplice e ricercata, descrittiva e intima, una vicenda umana lunga quasi ottocento pagine, una vita, la storia, il riscatto sociale: Tentazione Adelphi, 25 euro) dello scrittore ungherese János Székely [Budapest 1901 – Berlino Est 1958, in attesa di rientrare in Ungheria], scritto negli Stati Uniti nel 1947, è un’epopea o un’odissea nella Mitteleuropa dei primi decenni del secolo scorso, quando ancora l’Austria Ungheria dominava lo scenario politico internazionale.

Il mondo descritto dal protagonista, Béla, ovvero lo stesso János, parla di ieri con la voce dei derelitti di oggi, in una società, quella rurale e poi cittadina della bella Ungheria affacciata sul Danubio, dove gli ultimi restano ultimi e pagano penosamente le conseguenze della loro condizione di estrema miseria.

Ironico e triste, pieno di rifermenti alle tradizioni antiche ma con la volontà di affrontare un futuro migliore, il libro di Széleky (che scrisse sotto vari pseudonimi, come sceneggiatore vinse nel 1940 un Oscar per il film “Arrivederci in Francia”) introduce il lettore in un mondo dimenticato che fu comune a gran parte degli abitanti dell’Europa negli anni tra le due guerre mondiali, fatto di sussulti nazionalisti, antisemitismo, povertà, disoccupazione, crisi sociali. Una miseria che accompagna il protagonista ancora prima della sua nascita, quando la giovane e poverissima madre voleva liberarsi di lui… una storia di privazioni e soprattutto fame, quella fame che oggi occupa le cronache mondiali legata all’Africa e all’emigrazione, ma che in quei decenni spingeva i popoli europei a emigrare. E il piccolo Béla lotta, si affaccia a un mondo rurale prima e cittadino poi come figlio illegittimo, e dotato di vivace intuito ed intraprendenza lotta contro l’ignoranza che è la condanna dei poveri assieme alla fame, lotta contro il freddo, l’abbandono, lo scherno che i signori ai quali “non piacciono i poveri” gli riservano, sempre sottomessi a regole sociali di rispetto e umiliazione verso i potenti.

Questi signori che temono i poveri ma non danno loro lavoro riservandosi tutte le ricchezze e sfruttando anche i bambini con lavori inumani, fanno parte del secondo mondo di Béla, che viene a contatto con loro attraverso un lavoro non remunerato ma che almeno gli consente di mangiare, e di portare a casa alla povera madre un po’ di cibo.

Detta così sembrerebbe che la storia volga al lamento pietoso del rassegnato protagonista, ma Székely riserva al lettore sussulti di proteste e dignità, mettendo in risalto alcune figure positive che accompagnano la vita del nostro protagonista.

Ognuno di noi ha avuto un buon maestro, e Béla/János identifica il suo maestro del villaggio come la scintilla che gli ha dato la spinta per istruirsi e capire come va il mondo. Un mondo di ricchi ma così ricchi che il ragazzino non ci crede, quando prende servizio come boy in un lussuoso hotel di Budapest, camminando sei ore al giorno per raggiungere il lavoro senza i soldi per il tram.

Lui, che si definisce grezzo contadino, si rende presto conto che “i ricchi starebbero bene anche all’inferno”, ma forse anche tra i ricchi esistono figure positive che si affiancano al maestro nella corsa al riscatto: la piccola Patsy, americana idealista e pratica, insegna in poche frasi molte cose al piccolo mitteleuropeo. E da lì nasce il desiderio di fuggire, ma come, vestito di stracci e con scarpe troppo grandi sempre sporche di fango: quel fango che Béla si porta dietro dalla campagna e che non riesce a scrollarsi di dosso anche se guarda al nuovo mondo “come il credente pensa al paradiso”. Ecco perché, appena adolescente, inizia a imparare “parole inglesi come fette di salame”, con la stessa fame per cibo e futuro.

Eccezionali le descrizioni dei ricchi e dei borghesi “grassi macellai asmatici” in prima fila, loschi arraffoni collegati col regime fascista di Miklós Horthy, dal 1920 al 1944 capo di una Ungheria uscita lacerata dalla fine dell’ Impero degli Amburgo, vicino al regime di Mussolini e di Hitler.

La dissoluzione della società ungherese tra povertà, nazionalismo e rigurgiti di antisemitismo, avanza attraverso le vicende di Béla, del padre e della madre e di tutto l’eterogeneo mondo dei vicini di casa, umiliati minuto dopo minuto dalle angherie del terribile portiere, sfruttatore disonesto, che finalmente viene punito dalla comunità ma non troppo, ed è un ennesimo dramma, poiché troveremo lo stesso portiere quindici anni più tardi a capo di una sezione del campo di sterminio di B., un assassino.

Uno slalom tra tentazioni, deviazioni, degrado morale, lusso sfrenato e tentativi di resistere ai ricatti, il giovane Béla assiste impotente ad eventi che non riesce a dominare, e ci presenta impietosi ritratti di un mondo decadente dove i contrasti sociali sono veramente troppo forti.

Se una povera ragazza sale di livello perché finalmente riesce a entrare in un bordello, i clienti dell’hotel fumano in una sera sigarette che corrispondono al salario di un mese di un “proli”, parola che ricorre spesso nelle pagine del libro. Questi poveri con i “visi proletari scavati dalla miseria” sono tenuti a bada con metodi crudeli, temuti e controllati per le possibili influenze della recente rivoluzione d’ottobre che ha dissolto l’impero russo, così vicino alla Budapest del bel Danubio.

Pagine che scorrono veloci, sotto l’impero descrittivo e i dialoghi serrati, ingenui, profondi e filosofici dell’autore, che finalmente potrà svoltare le due parole che lo salveranno, “Avanti tutta”.

János Székely, un grande scrittore ultima modifica: 2023-07-28T15:42:43+02:00 da BARBARA MARENGO
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