Un referendum sul “coccodrillo”

Zimbabwe, il potere di Emmerson Mnangagwa alla prova delle eleziomni presidenziali.
FRANCESCO MALGAROLI
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Le grotte ovoidali Njelele, il santuario sacro agli Dei, formate 2,6 miliardi di anni fa sono a Matobo, famoso parco dello Zimbabwe meridionale. Qui si va per offrire doni, implorare perdono, e durante la lunga guerra di liberazione tra il 1960 e il 1980 molti politici venivano a chiedere consiglio in quelle cave. Ci veniva anche Cecil Rhodes, arci-razzista, potentissimo uomo d’affari che immaginava un unico Stato da Cape Town al Cairo, politico, magnate che qui fu sepolto tra le rocce nel 1902. L’ex presidente Robert Mugabe non aveva mai pensato di spostare la fossa di Rhodes in un posto meno visibile, e l’attuale, Emmerson Mnangagwa, che pure non voleva aver tra i piedi i fantasmi del passato e del trapassato remoto, deve pensare ad altro e non lo ha fatto.

Più urgente è il 23 agosto, giorno di elezioni presidenziali. Per lui sarebbe il secondo mandato, magari anche soltanto al secondo turno il 2 ottobre.

Mugabe fu tirato giù dal trono nel 2017 dopo quasi quarant’anni proprio da Mnangagwa, suo vice. L’anno dopo ci furono le elezioni vinte con brogli, violenze e uccisioni dal Coccodrillo con il 50,8 per cento contro Nelson Chamisa (Movimento democratico per il cambiamento), fermato al 44 per cento, che si rivolse anche al tribunale per chiedere di annullare il voto, ma senza successo. Ora i due si ritrovano. Lo Zanu Pf, il partito Stato, contro la Coalizione dei cittadini per il cambiamento (Ccc), organizzazione che oggi si chiamerebbe liquida, cioè senza sezioni o sedi. Chamisa l’anno scorso, dopo essere uscito dal Mdc, ha fondato il Ccc dal nulla e all’apparenza può scalzare l’apparatcik burocratico di Harare. 

Il vecchio – nessuno sa quanti anni è, forse ottanta – super-spia, faccia oscura e crudele di Mugabe, per tutti il Coccodrillo, quindi uomo scaltro e astuto, è circondato dai suoi fidi che qualcuno con sarcasmo ha chiamato Team Lacoste, e finora si è sempre salvano. D’altra parte, Chamisa non è poi così nuovo. Ha 45 anni, delfino di Morgan Tsvangirai nel Mdc già a 25 anni, al 2009 al 2013 è stato ministro in un governo di unità con lo Zapu Pf.

I ventimila dollari locali per entrare nell’arena elettorale rispetto ai mille di cinque anni fa, hanno ridotto a nove (più Mnangagwa e Chamisa) i contendenti, e niente donne, le due che volevano partecipare non hanno avuto i soldi necessari a correre. 

In un sondaggio a giugno, su duemila persone registrate per voto intervistate da Elite Africa Research, si dice che il 47,6 per cento è a favore di Chamisa mentre solo il 38,7 a favore del Presidente. Per il 69,4 il Paese sta andando nella direzione sbagliata e sarà sempre peggio. Il 59,8 degli intervistati dice che solo un governo di altro tipo può invertire la rotta. Ma è di pochi giorni fa un altro sondaggio che ribalta i pronostici. Per il Mass Public Opinion, di Afrobarometers, Mnangagwa è al 35 per cento mentre lo sfidante al 27 per cento. Ma più di un quarto degli intervistati (27 per cento) non si esprime e l’85 per cento ha un’opinione negativa del governo in fatto di economia.

Chamisa punta i fari su un governo corrotto in un paese isolato, mentre lui combatte tangenti e prebende. Vuole una disciplina fiscale, restaurare il rispetto per i diritti umani, la proprietà privata e attrarre investimenti.  Una cosa è in comune pure con il defunto Mugabe: Chamisa non sopporta l’omosessualità. “Dio ha creato Adamo ed Eva, non Adamo e Steve. Grazie Dio, Lui ha creato il modello”, ha detto in varie occasioni.

Mnangagwa invece non ama parlare in pubblico, si rifugia nella retorica condita con aneddoti sulle indipendenze africane ed esempi su come l’economia si stia riprendendo cercando opportunità nelle piccole imprese locali e con finanziamento all’agricoltura e alle miniere. Ma senza numeri né veri dati.

I prezzi invece sono saliti del 86 per cento tra gennaio e giugno, e tra le persone sotto i 35 anni il tasso di disoccupazione è del 70 per cento. Attrarre capitali esteri è essenziale in settori che vanno al turismo alle miniere, ma il debito estero è di proporzioni astronomiche (14 miliardi). Si dice che a secondo di chi vince i capitali arriveranno oppure no: non si fidano di Mnangagwa. Il Coccodrillo ha fatto annunci che non ha mantenuto in questi cinque anni, dice Africa Report. Dalla povertà, all’energia, dalla sanità, all’istruzione, di fatto non ha concluso niente. Per non dire della parte oscura. Al Jazeera ha raccontato in un documentario intitolato Gold Mafia come il Coccodrillo e la sua famiglia avrebbero esportato illegalmente oro – molto oro.

Quelli che dovrebbero essere i più interessati, i giovani che per la prima volta votano, non si sono registrati per le elezioni. L’apatia è una delle cartine tornasole per vedere chi vince e il vicino Sudafrica vede con preoccupazione le votazioni. 

Al Matobo Nation Park, due anni fa, uno straniero entrava con quindici dollari locali, e ci si poteva aggiungere altri dieci per arrivare alla vetta. Il panorama è mozzafiato, e in più si vede anche la tomba dell’arci-razzista Rhodes. Intorno all’ingresso ci sono le bancarelle che vendono per pochi soldi magliette del parco. Ai venditori non interessa “salvare” o “buttare” l’uomo che ha fatto la fu Rhodesia. Interessa soltanto la sopravvivenza.

Un referendum sul “coccodrillo” ultima modifica: 2023-07-28T08:41:14+02:00 da FRANCESCO MALGAROLI
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