Succedono molte cose che meriterebbero un commento, nell’assolata Venezia d’inizio agosto (la minaccia – che come sempre resterò tale – dell’Unesco di mettere Venezia e la sua laguna nella lista nera dei patrimoni dell’umanità a rischio; il riattizzato dibattito sul contributo di accesso; la questione dei plateatici – con la nascita di nuove forme di associazione da parte dei cittadini, sempre meno disposti a subire i rumori in silenzio, solo per fare qualche esempio …).
Magari, su alcune di queste ci sarà forse modo di tornare. Qui voglio proporre qualche parola in libertà, di carattere autobiografico. Approfitto del mio status di “autore di ytali” per alcune considerazioni “non impegnative” a commento di un episodio di vacanza. Lettrici e lettori più attenti alla serietà di temi e argomentazioni, possono tranquillamente passare oltre …


Allora. Sono in montagna. In Cadore. Sopra Pozzale, c’è la strada che porta all’ex rifugio “da Julio”, al Prapiccolo (e da lì consente di salire a forcella Antracisa e al rifugio Antelao).
Siamo tra i 1100 e i 1300-1400 metri di altezza, la zona è nota per la sua “fungosità”, e percorsa e battuta da cercatori di funghi.
Mi capita un giorno ai primi di agosto di uscire anch’io per la mia “battuta”. Non all’alba ma abbastanza presto, poco prima delle sette di mattina. Devo decidere quando e dove lasciare la strada, per inoltrarmi nel bosco al di sopra o al di sotto e iniziare la ricerca. Quando vedo un paio di auto sorpassarmi (la strada ha qualche punto sconnesso, ma è del tutto transitabile) rimpiango di essermi attardato e cerco di capire come “recuperare”. Sono a piedi e decido di scegliere un punto dove abbandonare la strada per entrare nel bosco che sia il più possibile distanziato dalle macchine che troverò. È una zona che conosco e frequento; so bene che quelle lasciate lungo la strada sono certamente di “fungaroli” e non di escursionisti diretti alle mete successive. Trovo la prima macchina in uno dei punti dove normalmente m’inoltro nel bosco e passo oltre e ancora oltre, proponendomi di non arrivare però fino all’ultima possibilità di parcheggio alla fine della strada. Un altro punto sicuramente molto frequentato: da chi probabilmente già c’è e da chi sicuramente arriverà a breve.

È infatti il punto di partenza più classico, sia per i fungaroli che per gli escursionisti. Qui, oltre a tutto, è possibile imbattersi, al ritorno, anche nelle guardie (ora carabinieri) forestali, capaci di rovinare la festa e chi viene trovato con funghi e senza permessi. A me capitò negli anni scorsi; la cosa si concluse con un “gentlemen agreement” – funghi buttati e niente multa. Questo grazie alla mia onestà nel dichiarare i miei veri dati, da loro immediatamente verificati. Quindi allora tutto bene, ma da allora sono “schedato” e al prossimo incontro temo potrebbero non essere così benevol …
Pe non farla lunga, arrivo a un punto della strada che mi sembra favorevole per iniziare la ricerca. Dopo i posti dove so che di solito vengono lasciate le auto e prima della fine della strada percorribile trovo una salita verso l’alto occupata nella prima parte da resti di alberi schiantati da Vaia. La giudico un punto di entrata abbastanza repulsivo da scoraggiare gli accessi e decido di entrare da qui. Un po’ di fatica a districarmi tra intrecci di rami e tronchi abbattuti e mi trovo sopra gli schianti. Di qui posso iniziare e salire e a guardarmi intorno. La ricerca non è eccezionale, ma non posso lamentarmi.: Trovo un po’ di gialletti (o finferli – cantharellus cibarius). Li raccolgo uno a uno e vado un po’ su e poi ancora un po’ su, fino a che decido di deviare e un po’ sulla sinistra e iniziare a scendere. Con un “bottino” che giudico “relativo”, ma sufficiente. Prendo una decisione (insolitamente, nell’andar per funghi) ispirata a un senso di misura: se anche troverò qualche altro finferlo, non lo prenderò, perché per oggi basta così.
Un proponimento che ho subito modo di mettere in atto, quando mi fermo un attimo a bere e fare la pipì in un punto comodo quasi piano, prima della discesa finale (assai scoscesa). Qualche punto giallo che mi occhieggia intorno mi rivela la presenza di un po’ di piccoli finferli, con altri intorno. Ma tengo fede alla parola data e là restano. Poi scendo, raggiungo la strada e torno a casa, a preparare una pasta con i funghi, che mi darà la bella sensazione di mangiare quel che si è riusciti trovare e quindi in qualche modo di dipendere dalle proprie capacità.
Una soddisfazione che però mi viene “smorzata” dal fatto che arrivato giù mi accorgo che mi mancano gli occhiali da sole. Evidentemente lasciati come contributo agli spiriti del bosco… La cosa mi dispiace ma me ne faccio una ragione…

Passano un po’ di giorni – forse quattro o cinque – durante i quali la mia vacanza montana prende altre strade, tra escursioni, letture, confronto con qualche vipera che sembra essersi insediata nella baracca di legno dove teniamo legna, attrezzi, sdraio e sedie, grigliata, e altri oggetti di utilità.
Trascorso, appunto, qualche giorno, una mattina mi sveglio con gran calma, faccio una tranquilla colazione e a ora “tarda” (sulle nove e mezza) mi dico: dato che vorrei fare due passi prendo la “strada del Prapiccolo” (lungo la quale ero andato a funghi qualche giorno prima),con un’idea banale e folle che mi viene in mente.
È una domenica di agosto. Cioè una della giornate in cui si trova più gente in montagna. E anche uno dei momenti in cui maggiore è il numero di quelli he vanno (anzi a quest’ora sono già andati per tempo) a funghi. Ma io mi do’ un programma da “creativo abitudinario”, quale sono. Mi avvio sulla strada, lungo la quale trovo – molto più di giorni prima – le macchine dei fungaroli parcheggiate per riversar nel bosco i loro occupanti.
Ma io passo oltre e raggiungo la zona dove ero salito pochi giorni prima. Decido di ripercorrerla, ma all’incontrario. Partendo cioè, questa volta, da dove pochi giorni prima ero disceso. E comincio a rallegrami con me stesso. Trovo qualche finferlo: il loro giallo vivo si vede da una certa distanza, ma ci vuole un po’ di occhio e l’affinamento di questa capacità è uno degli elementi che dà soddisfazione. Sono funghi isolati, spesso difficili da raggiungere in un tratto di scarpata impervio, che devo prendere uno a uno. Cosa lunga, dato il metodo che sto usando (essendo privo di premesso e desiderando evitare di mettermi a rischio) è dispendioso. Ho zaino e bastoncini (come un camminatore dei più classici) e metto i funghi raccolti in un sacchetto di platica che ogni volta estraggo e rimetto in alto nello zaino. Cioè ogni volta m’interrompo e, dato che spesso si tratta di finferli isolati o a piccoli gruppi, la manovra del “cava e metti” è lunga (e spesso non agevole, data la pendenza del pendio). Comunque, procedo attento a evitare passi falsi, ma soddisfatto di “trovare qualcosa” di domenica, a quest’ora e con tutta questa gente in giro. E non so ancora che la mia contentezza è destinata ad aumentare. L‘impennata avviene quando raggiungo quel punto comodo “quasi piano” di cui parlavo sopra, quello al termine della parte più ripida e insidiosa della salita.
Quando lo raggiungo, non credo ai miei occhi. I pochi punti gialli di qualche giorno prima si sono trasformati in una fioritura di gialletti e altre ne appaiono nel terreno a lato un po’ più su. Non solo. Ma accanto al nucleo centrale di funghi trovo appoggiati i miei occhiali. Evidentemente restati lì, fiduciosi, ad aspettarmi per tutti questi giorni e a interagire con lo spirito del bosco per farmi accogliere da una serie di straordinarie fioriture di finferli. Non posso che recuperare e ringraziare i miei occhiali ed essere grato agli spiriti del bosco che mi hanno fatto trovare questa accoglienza, che non dimenticherò. Raccolgo i funghi (nel complesso questa volta una quantità ben più abbondante della presedente…) e – con molta circospezione per un rischiare una caduta nella ripida discesa, raggiungo la strada. Da qui i miei passi mi riportano a casa – beato come un camminatore con i miei bastoncini per aiutare il passo e con un prezioso carico di funghi confusi tra pile, giacca e vento e borraccia, nella parte alta dello zaino –.
A casa passiamo a cucinarli e a fare un ottimo pranzo della domenica a base di polenta, funghi e formaggi.

Due brevi considerazioni finali.
Mi chiedo spesso se la mia passione per le situazioni che conosco (o già praticate) mi configuri come quello che a Venezia chiamiamo “culo di piombo” – cioè una persona schiava delle sue abitudini. Forse però questo episodio dimostra che anche un motivato tornare sui propri passi può portare a belle sorprese.
Andar per funghi, nel bosco, è per me una situazione rilassante, capace di alternarsi alle escursioni più impegnative – di sentiero e di roccia – ai grandi e piccoli giri dolomitici e della montagna in genere (a luglio ho dedicato una settimana, al trekking della Alpi orobie orientali).
Fino a quando probabilmente, con l’avanzare dell’età, le sostituiranno totalmente.
Intanto ringrazio la montagna e la mia forma ancora buona che mi consentono di godere di questa felice alternanza.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!
1 commento
Bravo Mario! Sei un raccontatore!