Tra i lari di Luigi Fontanella

PASQUALE DI PALMO
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«La vocazione a dire la vita attraverso le figure del “doppio”, o attraverso le moltiplicazioni prospettiche, le curve e le onde anamorfiche di un reale calamitato dai sogni e viceversa, percorre tutta l’opera poetica e la prosa di Fontanella». Si potrebbe partire da queste sottili considerazioni esegetiche di Paolo Lagazzi per introdurre Dell’ultimo orizzonte, titolo di derivazione leopardiana dietro il quale si presenta un florilegio della produzione poetica di Luigi Fontanella che va dal 1970 al 2021. Oltre mezzo secolo di indiscussa fedeltà alle Muse, modulato attraverso un congruo numero di raccolte che l’autore suddivide schematicamente in tre parti, rimarcanti il lavoro di tessitura compiuto al fine di rendere omogeneo un percorso che, apparentemente, esibisce tratti frastagliati. Si passa infatti dall’iniziale adesione a quella concezione di «polarità tra veridicità e sperimentazione», stigmatizzata a suo tempo da Magrelli, ad esiti stilistici più distesi e calibrati, anche se, non di rado, contaminati con accenti di derivazione colloquiale.

Ne è uscito un affresco dai tratti godibili e penetranti, teso a manifestare il pathos unificante che attraversa le varie fasi del lavoro di Fontanella, incline a cadenzarsi mediante un’affabulazione (vedi la dimensione del poemetto o del componimento di taglio articolato) che non disdegna di addentrarsi nei territori di un autobiografismo fortemente rilevato. Il tema della «memoria incessante» di ascendenza ungarettiana si dipana attraverso svariati rivoli espressivi, concentrandosi in particolare sulla dicotomia tra retaggio familiare, caratterizzato nella fattispecie da un’accentuata  impronta  meridionale che a tratti rimanda alla melopea del conterraneo Alfonso Gatto (ma anche alla lezione di Sinisgalli e Calogero), e un background americano che si rispecchia in immagini prismatiche e frammentarie, tese a fissare, più che l’aspetto avveniristico, le cristallizzazioni di un paesaggio urbano emblematicamente degradato: «che sarà di te ventre-città usurpato / a chi porterai i tuoi fiori di carta / tra l’urlo sgozzato nel Parco Centrale / e la sirena che impazza tra ignoti passanti» (New York New York).  

Non è un caso che Milo De Angelis precisi al riguardo: «Questi luoghi poi si riconducono a uno solo, che ha due volti: quello moderno (una New York descritta magnificamente nei suoi vortici) e quello dell’arcaico (un susseguirsi di paesaggi mediterranei, colti nel loro incanto temporale). Avviene dunque che proprio in un estremo di attualità, proprio a New York, si riveli un’antica èra immobile. La quale sembra contrapporsi alla prima, ma ne è invece la radice misteriosa e feconda». È dunque la metropoli americana, permeata di paesaggi avveniristici e vertiginosi alternati a «fredda cenere senza orizzonte», a generare la malinconia per le radici degli Antichi Lari, come emblematicamente si intitola una poesia tratta dalla raccolta Monte Stella:

Sono sempre io che vi parlo,
antichi Lari,
simbolo e scure di ogni travaso.

Voglio essere te, padre, e te, madre,
angelo che afferri a colpo sicuro
le proprie ali. Non devi perderti,
mio simile. Non devi perderti.

Ma, al tempo stesso, non possono mancare quelle indimenticabili corse a perdifiato intraprese da un eterno adolescente nell’inseguire un pallone in un campetto rognoso di periferia con sullo sfondo il profilo del Monte Stella, i primi e decisivi turbamenti che segneranno per sempre l’esistenza che, proprio nella dimensione poetica, palesa un apprendistato che si divarica tra opzioni iperrealiste e «frequentazione non episodica della poesia nordamericana», come osserva Marco Vitale. La memoria di Fontanella è lesiva come una rasoiata, delineandosi intorno a un’epifania, un particolare apparentemente insignificante, strappando barlumi di senso alla conformazione di un volto, a un’inflessione di voce che affiorano dalle latebre dell’oblio con la persistenza di un fantasma familiare che popola l’aberrazione di notti inquietanti.

E sarà proprio il contrasto tra questi mondi apparentemente inconciliabili a costituire l’elemento unificante di una poesia che, con il tempo, è andata gradualmente rastremandosi, illimpidendosi, configurandosi non più come testimonianza di una ricerca linguistica che presentava ab origine qualche analogia con la linea sperimentale dei Novissimi (si vedano testi come Sleeplessness o Foglio stazione), bensì attestandosi «come coscienza dell’abbandono e della perdita», nonché come opportunità «di sentire la frattura del mondo nella parola», secondo la felice definizione di Sebastiano Aglieco. La dimensione introspettiva, l’autobiografismo summenzionato si cadenzano intorno a tematiche scaturite da precisi avvenimenti storici, relegando questo variegato Canto del distacco, come si intitola un pregnante poemetto risalente al 2014, a sostenere una campaniana «giustificazione della vita»: «In questo canto del distacco / io sono la tua memoria immediata».

Luigi Fontanella

E tale poetica si basa proprio sul contrasto tra recupero memoriale di situazioni arcaiche («mostrami a lui / con lo stesso candore / del ragazzo che sono stato»), compromesse con istanze non necessariamente riscattate dall’oblio in forma propositiva, e aperture improvvise, squarci orientati in direzione di una realtà fortemente implicata con il microcosmo di alterne vicende biografiche. Si leggano in tal senso Neve e lucchetti, sorta di lettera apocrifa di Marilyn Monroe indirizzata al suo psichiatra Ralph Greenson, con accenti di inequivocabile asprezza («Dottor Greenson io sono un’attrice, / non mi procurerei mai volontariamente una ferita. / Sono troppo vanitosa per farlo») o Kind of blues, via Miles Davis, ispirata alle note dolenti del celebre trombettista americano che sfumano in un ricordo di «un’estate salentina del ’78».

È in un’ottica di contrapposizione ossimorica che si configura un simile approccio universale, atto a rendere le «occasioni» familiari alla stregua di un journal dalle non troppo velate sfumature surrealistiche (perdendo fatalmente le caratteristiche del journal che abbisogna di una sua endemica scorrevolezza). In tal senso va ricordato lo spessore dello studioso e del traduttore, sorta di Giano bifronte che a più riprese si è occupato di surrealismo e parasurrealismo, curando e traducendo nel 1979 una raccolta capitale come I campi magnetici di Breton e Soupault, punto di abbrivio dell’écriture automatique, cui seguirà, qualche anno più tardi, il saggio critico Il surrealismo italiano. Molto interessante sarebbe approfondire questo aspetto della poetica di Fontanella che alterna esiti più piani e misurati, sulla falsariga di una certa colloquialità di derivazione angloamericana (l’autore stesso nella nota conclusiva elenca i nomi di Frost, Berryman, W.C. Williams, ma anche del Lowry di Sotto il vulcano, adombrato in una prosa della raccolta Oblivion). Il poeta rammenta come il retaggio analogico di matrice surrealista, sull’onda di quell’assunto bretoniano secondo il quale le «parole fanno all’amore», vada attenuandosi progressivamente, «finalizzandosi spesso nella ricerca di una parola chiara, distesa, leggera, talora anche “narrante”, per esempio quella che si può evincere nella ballata, o in un racconto-in-versi». 

La libera associazione metaforica (metamorfica) si esplica attraverso topoi che sembrano rifarsi alla lezione derivante dal celebre assioma di Lautréamont secondo il quale il bello può nascere «dall’incontro fortuito di una macchina da cucire e un ombrello su un tavolo anatomico», con esiti quanto mai originali in cui la visionarietà tuttavia non sembra cedere il passo all’allucinazione tout court, mantenendo un composto e, al contempo, composito canone espressivo: «O si erga un violino d’acqua», «Cadono dagli alberi mani e fiori», «Ripensi alla cera ermafrodita / a quei corpi celesti / che sanno di quieto pianto e di bava». L’autore fa inoltre riferimento alla dimensione onirica e del dormiveglia come veicolo insostituibile di un opus creativo che esclude la gratuità del calembour, il depauperamento semantico che diviene fine a sé stesso.

Esemplare in tal senso il poemetto inedito Lo sperdimento, risalente al biennio 2020-21, prosimetro che alterna registri differenti e idealmente chiude l’antologia. Qui ricorrono le tematiche di viaggio e esilio, Eros e Thanatos, perpetrate attraverso l’ausilio di digressioni letterarie che sembrano compendiarsi nel personaggio di Aghios, il protagonista del Corto viaggio sentimentale di Svevo, divenuto una sorta di alter ego dell’io narrante, teso al recupero di una dirompente nemesi:

Come Aghios fingo partecipazione
proiettato soprappensiero a quanto
dovrei invece aspettarmi transoceanicamente,
impaziente d’essere lasciato tranquillo a goderne
e sottraendomi per quanto possibile
a ogni simulazione.

Dell’ultimo orizzonte.
Poesie scelte (1970-2021)
di Luigi Fontanella
Interlinea Edizioni, 2023
Prezzo: euro 20,00

Copertina: Foto di Andrew Rivera su Unsplash

Tra i lari di Luigi Fontanella ultima modifica: 2023-09-03T16:37:18+02:00 da PASQUALE DI PALMO
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