Come per il clima atmosferico, anche per il clima demografico gli allarmi si moltiplicano. L’ultimo è stato lanciato al Forum di Cernobbio qualche giorno fa utilizzando uno scenario davvero distopico: corre l’anno 2225 e in Italia nasce l’ultimo bambino (se dovessero continuare le attuali tendenze natalistiche) e 82 anni dopo, alla sua morte, la popolazione italiana cessa semplicemente di esistere.
Lo scenario presentato (l’inquietante film I figli degli uomini lo richiama, pur essendo del 2006) in realtà è già in atto da tempo: è noto come la popolazione italiana, dopo aver sfiorato i 61 milioni di residenti nel 2014 (il suo massimo storico), abbia intrapreso un percorso discendente che la vede contrarsi progressivamente. Già nei primi cinque mesi del 2023, rileva l’Istat, il calo è stato di circa 66 mila abitanti e si prevede che alla metà del secolo l’Italia supererà di poco i 54 milioni, grosso modo il livello del 1972. Per arrivare, secondo l’Eurostat, ai cinquanta milioni di abitanti alla fine del secolo (la stessa Europa dei 27 perderà 28 milioni di abitanti).
Con due conseguenze. La prima è lo squilibrio demografico complessivo che si cela dietro il calo netto della popolazione. Infatti la popolazione in Italia dovrebbe subire un calo di quasi tre milioni di residenti nei prossimi vent’anni, di cui due milioni e mezzo in età lavorativa. Al contempo, la popolazione anziana (sopra i 65 anni) dovrebbe aumentare di quasi cinque milioni, con crescente o buona longevità: già oggi abbiamo 840 mila persone con almeno novanta anni e nel 2070 ne avremo due milioni e 220 mila. Solo per l’effetto demografico la variazione di abitanti e (soprattutto) di persone in età lavorativa porterebbe alla perdita di Pil di cinquecento miliardi. Ma se a metà secolo il rapporto tra giovani e anziani sarà di uno a tre mentre gli italiani in età lavorativa scenderanno dal 64 al 53 per cento del totale, la perdita economica sarebbe pari ad un terzo del Pil, il rapporto debito pubblico-Pil esploderà raggiungendo il duecento per cento mentre nel 2070 i (pochi) nati si troverebbero sul collo un fardello di 127 mila euro pro capite. Infine la spesa sanitaria dovrebbe saltare alla vetta dei 220 miliardi a metà secolo.

L’altro discorso riguarda l’immigrazione, vexata quaestio spesso più di sapore politico che demografico. Secondo il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo il contributo dell’immigrazione alla natalità in Italia
è importante, certo, ma non risolutivo. Il tasso di natalità nella popolazione straniera nel 2004 era il 23,5 per mille, quindi 23,5 nati ogni mille abitanti; oggi è l’undici per mille, il che significa che anche la popolazione straniera si sta adattando a un problema che esiste e va affrontato.
Peraltro, ha proseguito,
se volessimo compensare la caduta della popolazione in età lavorativa solo con l’immigrazione, dovremmo avere un’immigrazione di 531 mila immigrati ognianno come valore netto.
Il che, secondo Blangiardo, potrebbe diventare un fattore socialmente destabilizzante perché
mezzo milione di immigrati ogni anno sono indubbiamente difficili da integrare.
D’altronde nelle coorti comprese tra i venti e i sessantacinque anni – centrali nel mercato del lavoro – alla fine del decennio verranno a mancare 1,8 milioni di persone che dieci anni dopo, nel 2040, diverranno 5,7 milioni, che non potranno essere rimpiazzati dalle coorti che seguono, anche loro in diminuzione; né da quelle che precedono anche se, nel 2050, i giovanissimi (da zero a quattordici anni) saranno sorpassati addirittura dagli ultraottantenni. Si tratta di popolazione residente: il che significa che vi sono inclusi anche i flussi di lavoratori stranieri. È però dal 2014 che l’apporto degli immigrati non è più in grado di compensare il saldo negativo degli italiani.
Non c’è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio-lungo periodo con i numeri della natalità che vediamo in questo Paese,
ha detto con franchezza il ministro dell’Economia Giorgetti al Meeting di Rimini.


Allora qui si dovrebbe aprire un altro tipo di pensiero, trasformando cioè l’immigrazione da emergenza a opportunità. Perché è chiaro che le vecchie società europee non hanno alternative tra il meticciamento (o la “sostituzione etnica” di Kalergi paventata dai sovranisti dell’immigrazione zero) e la sfinente morte per lunga e dolorosa vecchiaia. Morte statisticamente prevista per l’Italia tra un paio di secoli, come s’è detto. Certo, il discorso non è solo italiano: “How a vast demographic shift will reshape the world” [Come un vasto spostamento demografico rimodellerà il mondo], titola il New York Times. Però, visti i nostri numeri, oggi il problema è particolarmente italiano.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!