L’opera di una vita e la vita di un’opera

nell’Avventura del Metodo di Edgar Morin
GABRIO VITALI
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Edgar Morin
L’avventura del Metodo
Come la vita ha nutrito l’opera
Raffaello Cortina Editore, 2023
Pagg. 152; Euro 18,00

A centodue anni suonati, il grande pensatore francese Edgar Morin, antropologo della complessità e straordinario maître à penser di crescente fama planetaria nell’ultimo sessantennio, pare non abbia alcuna intenzione di riposarsi, come la sua immensa attività di riflessione e scrittura e la sua ormai più che venerabile età consentirebbero a chiunque di fare. Anche solo in quest’ultimo anno, infatti, paiono persino intensificarsi gli articoli, le interviste e le pubblicazioni, con i quali egli si è da sempre impegnato a intervenire nel vivo del dibattito culturale, storico-filosofico e geopolitico che ha caratterizzato e caratterizza i passaggi fondamentali e decisivi di questo scorcio di Antropocene e, in particolare, di quest’epoca di crisi evolutiva nel rapporto umanità-pianeta, che il mondo intero sta attraversando e che è venuta sempre più assumendo oggi aspetti drammatici, irreversibili e, forse, esiziali. Così, dopo l’appassionato e persuasivo appello alla pace in Di guerra in guerra, pubblicato da Cortina pochi mesi fa, Morin ci raggiunge in queste settimane con un altro messaggio di profondo valore esperienziale, intellettuale e morale, e ci racconta la passione per l’umanità, l’intelligenza della vita e l’ininterrotta ricerca culturale che hanno intriso la sua biografia e la sua scrittura nella costruzione dei sei volumi de Il metodo (da La natura della natura a La vita della vita, a La conoscenza della conoscenza, a Le idee e fino ai più recenti L’identità umana e Etica), l’opera-mondo sull’uomo e sulla conoscenza che Edgar è venuto pubblicando, insieme a moltissimo altro, per lunghi e intesi decenni: L’avventura del Metodo – Come la vita ha nutrito l’opera, Raffaello Cortina Editore, 2023.

Questo libro ha la struttura tipica dei “diari”, quelle particolari e appassionanti pubblicazioni (da Autoritica a Il vivo del soggetto, a Diario di un libro a Diario di California e altre, pubblicate in Italia da Moretti&Vitali) alle quali Morin ci ha abituato per accompagnare, contrappuntare e rendere così palpitanti di vita vissuta e di pensiero in formazione la lettura di pressoché tutte le sue opere più famose. Un vastissimo pubblico di lettori in tutto il modo e l’intera comunità scientifica internazionale sanno bene che – come si narra, del resto, in questo libro – dall’adolescenza ad oggi Edgar non ha mai smesso di frequentare e costruire libri, nelle cui pagine non si è mai appartato dalla vita per cercare le impermanenti e transeunti verità del sapere, ma nel sapere dei quali si è sempre immerso per indagare le più permanenti verità della vita e i valori della civiltà umana. Esplorazione della conoscenza multidisciplinare, scientifica e umanistica insieme, e progetto antropologico per un’azione di civiltà nella storia comune, sono state infatti le matrici di quel pensiero della complessità che costituisce l’eredità antropologica, cognitiva e politica che questo grande umanologo, come egli stesso si definisce, ci ha saputo consegnare durante l’intero secolo della sua esistenza.

Si è riflettuto di meno, invece, sullo stile intellettuale e sulla postura morale verso sé stesso e verso il mondo, di cui il pensatore francese ha dato prova e manifestazione durante l’intero arco della sua attività e che oggi vediamo motivare, nonostante l’età, la sua inesausta e lucida volontà di presenza e di contributo nel dibattito politico-culturale di questi anni tormentati. Già ne Il paradigma perduto. Che cos’è la natura umana, libro matriciale del 1973 e condensato paradigmatico-cognitivo di pressoché tutti gli altri suoi libri, si ritrovavano quelle due caratteristiche fondamentali della sua personalità e del suo pensiero che in quest’ultimo “diario” della sua vecchiaia acquistano particolare luminosità e vigore davvero incredibile. La prima: il sapere che Morin ha espresso in ogni sua pagina è parte della sua biografia personale, è stato cioè generato e resta intriso da un’esperienza di vita e di pensiero fortemente interconnessi, dalla continua ricerca di senso da dare all’una e all’altro e, insieme, al loro inestricabile intreccio co-generativo; quasi egli volesse dar conto lealmente al lettore della propria complessa antropologia individuale, degli alimenti di varia natura, emotiva o riflessiva, dai quali la sua mente ha attinto il pensiero che è venuto esponendo. La seconda: la sua capacità di porsi consapevolmente, di fronte alle cose della vita e del mondo, come un semplice individuo della specie sapiens che sappia sempre, però, di essere un momentaneo punto spazio-temporale d’intersezione, di condensazione e di successiva diramazione dei processi di una complessa rete evolutiva non solo antropologica, storica, sociale e politica dell’umanità, ma anche fisica, chimica, biologica ed ecologica dell’universo intero; una piega, cioè, della mente di chi avverta di essere in ogni momento al crocevia individuale, unico e irripetibile, di un immane sviluppo cosmico della vita, del quale il proprio pensiero, il proprio linguaggio e il proprio agire non possa che sentirsi profondamente responsabile. Verso di sé, verso l’umanità, verso il pianeta.

Ed è proprio da questo senso di profonda responsabilità etica e politica verso ciò che è umano – e verso il suo oggi – che nasce lo sforzo di elaborazione e di proposta di riflessione che Edgar Morin continua ad offrirci in questi suoi avanzatissimi anni, che coincidono con una deriva dell’epoca alla quale si è preparato e ci ha preparati per tutta la vita. L’avventura del Metodo. Come la vita ha nutrito l’opera non è, così, soltanto l’avvincente racconto di come si sia formato il pensiero che ha alimentato la grande opera miliare di questo pensatore eccezionale, ma, molto di più, è di nuovo il portato di un atteggiamento intellettuale e morale di altissimo valore ed esemplare per tutti, filosofi o no. Come in tutti i suoi libri, Morin, mostra anche in quest’ultima pubblicazione di essere un erede di entrambe le modalità di scrittura filosofico-morale della tradizione moderna, quella formalizzata e razionale inaugurata da Cartesio e quella autopoietica e riflessiva tipica di Montaigne, modalità che egli unifica, intreccia e contamina fra loro nel suo originalissimo stile narrativo. Intelligenza e passione, ragionamento e intuizione, analisi soggettiva e sforzo oggettivo si coniugano e reciprocamente si alimentano, così, di continuo in una forma di scrittura, avvincente e razionalizzante insieme, che riflette pienamente la sua postura conoscitiva, lo stile della sua mente.

Il libro muove dal momento dell’adolescenza, nel quale egli scopriva che la morte della madre, la sua «Hiroshima interiore», gli veniva nascosta, seppur per protezione affettuosa, dal padre e dalla zia, minando e problematizzando fin da allora il suo rapporto con la verità. Morin si sente, così, motivato a impostare la sua formazione e, poi, a ispirare il lavoro di tutta una vita sulle tre semplici, ma fondamentali domande che Kant pone nella Ragion pura:

Che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare?

Mantiene, dunque, per tutta la sua ricerca giovanile uno scetticismo critico che gli consente, da un lato, di spaziare negli ambiti di letteratura, cinema, storia, filosofia, sociologia ed economia, tentando sempre di «collegare tra loro e in me le conoscenze separate»; e che, dall’altro lato, lo aiuta a «resistere facilmente ai fanatismi» durante il precoce impegno politico, che egli assume negli anni in cui si profila quello scontro fra democrazia e totalitarismo che porterà alla Seconda guerra mondiale e che si protrarrà in seguito per tutto il secolo su scala planetaria. Allo scoppio della guerra, Edgar ritiene di aver ormai acquisito le due idee chiave che feconderanno poi Il metodo:

La prima è che le decisioni e le azioni spesso non approdano ai risultati sperati, e possono anche approdare al loro contrario (ecologia dell’azione). La seconda è che la storia che studia il passato deve anch’essa essere storicizzata nel suo tempo, perché proietta inconsciamente sul suo oggetto i problemi e le esperienze della propria epoca (osservazione dell’osservatore). 

Dopo la Resistenza, nella quale fu capo partigiano «con una doppia appartenenza, comunista e gollista», vive una progressiva rottura con lo stalinismo che si consuma definitivamente nel ’56 dell’invasione sovietica dell’Ungheria e del rapporto Chruščev provocando la sua espulsione dal Partito comunista francese e il conseguente processo politico che questo intenterà a suo carico. In Autocritica, il libro del ’58 che oggi considera come «l’annunciatore del Metodo, perché pone il problema chiave della verità, dell’errore, dell’illusione», Morin presenterà la ricostruzione del suo processo di disintossicazione non solo ideologica ma epistemologica:

Compresi che questo problema non si poneva solamente o principalmente al livello delle informazioni, ma a livello dell’organizzazione della conoscenza e del pensiero […] Ho voluto comprendere come un nuovo sistema di pensiero si forma, si blinda con un sistema immunitario che gli consente di resistere agli argomenti e ai fatti che lo contraddicono […] Avere vissuto un’esperienza non basta perché questa esperienza divenga esperienza, è necessario pensare l’esperienza vissuta, per comprenderla e trasformarla in esperienza acquisita […] Dobbiamo meglio comprendere gli altri per diventare più vigilanti riguardo a noi stessi.

Edgar Morin

Questi e altri sono i temi politici e culturali che poi egli riprenderà nell’elaborazione successiva «a un livello epistemologico, in cui la conoscenza è inseparabile dalla volontà di conoscenza della conoscenza». E dai successivi approcci alle acquisizioni della cibernetica, della genetica, della termodinamica, della fisica quantistica, dell’astrofisica, ecc., Edgar Morin perverrà poi alle nozioni fondamentali di auto-organizzazione e autogenerazione, di retroazione, ricorsività e interazione, di disordine e costruzione, di informazione, rumore e dispersione, di entropia e neghentropia che ancora ritiene pertinenti alla conoscenza di «tutti i sistemi fisici, viventi e umani» e della loro evoluzione, ribadendo per giunta la transdisciplinarietà di tale pensiero complesso:

Scoprivo una nuova fonte di errore e di illusione: la disgiunzione tra le conoscenze e la riduzione del complesso al semplice, del composto nei suoi elementi. E questo si aggiungeva al problema, divenuto centrale dopo tutte le esperienze vissute, dell’errore e dell’illusione. Ormai, non si trattava più solamente di confrontarsi con gli errori di fatto (ignoranza) o di pensiero (dogmatismo), ma con l’errore di un pensiero di parte, quindi parziale, con l’errore del pensiero binario che vede solo l’alternativa o/o e si rivela incapace di combinare la congiunzione e/e, con l’errore del pensiero lineare inadeguato a concepire la retroazione o la ricorsività, e più in profondità con l’errore del pensiero riduttivo e del pensiero disgiuntivo, ciechi a ogni complessità, che diventano le minacce permanenti che gravano su ogni sforzo di conoscenza. 

Da qui nasce quel “metodo della complessità” che porta nell’etimologia stessa della propria denominazione il progetto di conoscenza al quale è rivolto: la voce greca methodos porta in sé l’idea di métis (intelligenza, astuzia) e di ódos (viaggio, cammino), mentre la parola latina complexus è composta da cum (con, insieme) e plectere (intrecciare); ne viene che l’opera intera di Edgar Morin si presenta quindi come un viaggio dell’intelligenza in ciò che è intrecciato insieme. Un cammino e un’avventura della conoscenza che il grande pensatore francese ha raccolto non solo nell’opera di impianto paradigmatico de Il metodo (la cui epistemologia mette a confronto, in questo libro, coi passaggi fondamentali del pensiero filosofico-scientifico moderno e contemporaneo), ma che non ha mai smesso di illustrare nei diari della propria continua auto-osservazione e che ha riversato nei libri sull’antropologia della geo-politica e della storia contemporanea, in quelli sull’ecologia della formazione e dell’educazione, e in quelli sulle derive intrecciate e complesse del rapporto evolutivo umanità-pianeta, per giungere ed offrire a tutti l’elaborazione complessa di una via di intelligenza e passione verso un’umanità nuova, capace di comprensione, di accoglienza e di solidarietà, vale a dire portatrice di un progetto d’amore e di pace: sembra proprio che l’intreccio inestricabile e divino fra conoscenza e amore non l’abbia conosciuto solo Dante, dunque.

L’opera di una vita e la vita di un’opera ultima modifica: 2023-09-05T16:44:00+02:00 da GABRIO VITALI
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1 commento

Beatrice Barbalato 6 Settembre 2023 a 7:58

Eccellente sintesi e interpretazione del pensiero di Edgar Morin.

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