L’irrompere nel divenire di un altro pensiero

nella poesia di Giancarlo Sissa in “Tamen”
GIACOMO TRINCI
Condividi
PDF

È doveroso davanti a libri come questo Tamen, di Giancarlo Sissa, vertiginosa antologia d’autore pubblicata nelle edizioni Moretti&Vitali, sostare all’entrata per cercare intanto di penetrare l’enigmatica ricchezza del titolo. La poesia di Sissa, se percorsa nel suo svolgersi attraverso le tappe segnate da una storia che si fa esperienza di scrittura, regala punti coagulanti, stemmi, rilevamenti che trovano sintesi misteriosa e precisa proprio in titoli bellissimi: da Laureola (1997), a Il mestiere dell’educatore (2002) al Manuale d’insonnia (2004), Il bambino perfetto (2008), fino a quell’Archivio del padre (2020), straordinaria immersione acherontica in un prima che accompagna ossessivamente il durante della vita. Tamen, tuttavia, è “tutta la via”, è, come è stato autorevolmente già detto, l’amen, il così sia, ma è anche infinitamente altro, è forse la letteratura o, meglio, l’unico modo di poterla adoperare come un itinerario di transito verso un luogo di innocenza da riconquistare. Ma lasciamo che sia l’autore stesso a dircelo:

La scrittura della poesia, sia in versi che in prosa, origina da un luogo d’incoerente innocenza dentro di noi, un luogo di fragilità che chiede di essere ascoltata lungo tutta la vita della persona, un luogo di innocenza da riconquistare. La poesia è di fatto un processo di corsivizzazione della lingua geroglifica dell’anima, un processo di guarigione, un modo di cercare salvezza. Per me e per l’altro da me. Questo è per me il punto di partenza, l’ipotesi centrale per un paradigma di lettura della realtà, sogni compresi.

Viene da questo rigore con cui è intesa la poesia e la scrittura “di formazione”, che scava il suo luogo e non finisce mai di lavorare il processo, l’impossibilità di segnare un’uscita una volta per tutte. Insomma, come succede solo ai grandi libri di attraversamento di una storia, una volta entrati in essi non c’è un’uscita, il libro continua nel lettore, «mio simile, fratello», per dirla con Baudelaire. La Via, appunto, non ha una fine, una meta che si dà raggiungibile, ma è la stessa sfinitezza del processo, il «tenere a mente» e rammentare quello che non è mai stato, ma continuamente si rifà, si risemantizza. C’è infatti da considerare la doppia natura di questo libro, come in parte di tutte le antologie che intendono proporre un percorso, un orientamento: lo scrittore è nello stesso tempo un lettore di se stesso, si legge ri-scrivendosi. È questa un’operazione che Sissa compie più volte, come a interrogare continuamente i suoi tratti, le sue fasi e dare così un respiro politico al suo lavoro continuo, interrogando le ragioni della sua lingua.

Giancarlo Sissa

Nel volume intitolato Autoritratto, uscito nel 2015, abbiamo rappresentato un percorso antologico che raccoglie, come precisa Pasquale Di Palmo nella sua densa introduzione a Tamen, poesie scritte tra il 1990 e il 2012. Volume che, sempre a detta di Di Palmo, «rappresenta in tal senso una sorta di spartiacque, come se l’autore avesse voluto ‘liquidare’ il suo apprendistato poetico al fine di delineare un’erlebnis che in sé inglobi nuove valenze ontologiche». Sono tentato di rilevare in questa operazione autoesegetica un timbro dantesco, sempre quel rigore del riesame, del senso acuto di essere dentro un processo, una via che esige sempre di essere scritta, analizzata mentre la si fa.

Giancarlo Sissa

L’epigrafe che segna questo libro di Sissa ed apre le sue porte girevoli a caratterizzare la figura di un autore che è insieme scrittore-lettore, esecutore e interprete, è tratta da un frammento di lettera del 1961 di Vittorio Sereni, dove si mette al centro la parola “esperienza”: «Non ho una cosa da affermare in assoluto, jna mia ‘verità’ da trasmettere. Ho dei conti da saldare con l’esperienza». Ecco, soffermiamoci proprio su questa parola, esperienza: quale complesso di significati, ragioni, partono e si diramano da questo stemma, tanto da caratterizzare tutto il percorso poetico di Sissa? Innanzitutto, è bene sgombrare il campo da un luogo comune che vizia all’origine ogni nostra presa di posizione intorno al concetto di esperienza. Non c’è, o esiste solo come derivato, da una parte solo il fatto empirico, il dato esistenziale e muto, e dall’altra parte il resoconto verbale, la semantizzazione. Non ci troviamo di fronte a due campi, ma ad uno stesso processo di reciproco riconoscimento, dove la parola, o meglio il linguaggio entra e fa il mondo, la storia, mentre la racconta, la fabuleggia, la ridice. Sissa precisa la natura particolare di questo esperire, sottolineando la sua pratica del linguaggio :

La mia professione è, da quasi tre decenni ormai, quella di Educatore Professionale (sì, entrambe le parole con la maiuscola, grazie, a evidenziarne la concreta rilevanza) e da forse ancor prima quella di ‘diarista’ teatrale – un poco meno assiduamente quella di attore – e non ho mai trovato che ci fosse una distanza fra queste tre ipotesi operative: la poesia, il lavoro nel sociale e il Teatro. Anzi, la scrittura le permea, le vive e persino le agita in modo democraticamente uniforme.

Ebbene, proprio la natura insistentemente ‘pratica’ di questo farsi lingua nelle cose del mondo, questo inerire nel succedersi delle generazioni, nel susseguirsi degli eventi, è alla radice della particolare irrequietezza delle forme, del continuo sperimentare senza sperimentalismo della sua prosa-poesia. Un destreggiarsi del corpo linguaggio che scolpisce, accanito, la propria verità volta per volta, precipitando, attraversando e misurando il peso specifico di una forma linguistica che spacca il silenzio con una inesorabile postura etica. In questo senso, Tamen è un libro dantesco: il personaggio poeta è un io-noi dalle molteplici rifrazioni, è un libro di ascolti di voci che chiamano, invocano, mescolano impasti, reclamano posture contro le imposture dei nostri ultimi decenni. Eppure, questo paesaggio corale, che si apre emblematicamente con il poemetto intitolato Noi, racconto epico di una generazione, tiene fuori ma non dimentica il dolce stile della poesia giovanile, all’insegna di una maturata «ascendenza trobadorica», come noterà accuratamente Alberto Bertoni, poeta e critico raffinatissimo, o come già aveva notato Giovanni Giudici quando, a proposito degli esordi di Sissa ha potuto parlare come di un «tenero poeta d’amore». La stagione del dolce stile, appunto, dove la lingua si metteva alla prova nel lavoro sulla scrittura, il ritmo, alle prese con Laureola di una memoria (Petrarca), è in questo libro dantesco, taciuta ma compresa, custodita e superata in una responsabilità nuova che si fa critica della lingua e del vissuto, insieme:

La poesia è dunque una responsabilità e contrario della rimozione. La poesia è il grado massimo dell’esposizione senza cautela, è anzi la reciproca ospitalità perché ogni uomo è la casa dell’uomo […] Del resto, la poesia è la logica della metafora verificabile nel corpo della storia […] La poesia è critica in modo implicito, anzi, è una rappresentazione esplicita delle criticità della lingua e del vissuto della contemporaneità.

Fatto sta che, giunti a un certo punto del processo creativo, Sissa sente il bisogno di lasciare la grazia, la leggiadria e sobrietà del segno lirico giovanile per approdare alla costruzione di un nuovo linguaggio, più aderente a quell’incontro col fuori, e con quella natura di un pensiero che tende per sua forza intrinseca a divenire altro. Mi servo a tal proposito di una espressione trovata in un interessante saggio di Franco Berardi “Bifo”, Disertate. In un capitolo alla fine del libro, intitolato La duplice disfatta dal pensiero, rifacendosi ad un libro di Alain Finkielkraut dove si parlava appunto della sconfitta del pensiero universalistico negli ultimi decenni, a favore di un riemergere del culto dell’appartenenza nazionale, razziale, l’autore contrappone cultura e pensiero:

La cultura, spiega Finkielkraut, è il patrimonio di valori mitologici, etici, estetici, che ereditiamo dalla storia. È un’eredità che riceviamo per appartenenza e che conferma questa appartenenza, questo nostro essere che si oppone a ogni divenire, che lo teme, lo respinge. Il pensiero è l’irrompere del divenire-altro nella continuità culturale […] Nella tarda modernità, la crisi dell’illuminismo e del principio di universalità sono state conseguenze dirette del riaffermarsi della cultura, dell’identità, della particolarità che rivendicano la propria storia, la propria tradizione, il proprio essere contro il divenire.

Si tratta proprio, nella poesia di Sissa, di questo irrompere del divenire altro del pensiero che c’è sempre stato fin dall’inizio, ma da un certo punto in poi lui ha creato una cosa di scrittura nuova per rendere fisica, materica, l’apparizione. Ha abbandonato quella musica per tema che divenisse maniera, ma non l’ha perduta, e, soprattutto, non è diventata semplice prosa, ma arte dei suoni, dei lacerti, dei formulari, scrittura stenografica di un diario scheggiato, come nello splendido Archivio del padre, o nel vivido e spettrale, insieme, Senza titolo alcuno, che riporta i giorni di chiusura del Covid, diario di pandemia. E qui si fa necessario riportare le intelligenti e preziose note di accompagnamento di Gabrio Vitali, che suggerisce la particolare struttura di questo diario:

Il diario di pandemia Senza titolo alcuno […] è proposto da Sissa in una lettura a ritroso rispetto alla datazione dei brani che lo compongono e che, perciò, risalgono la linea del tempo dal 2 giugno 2020, quando la quarantena stava per cessare, fino al 20 febbraio, quando essa stava per cominciare.

Quello che voglio sottolineare, infine, è che Sissa lascia una musica, ma rimane fedele alla sua malia, o pazzia, perché adotta una musica del pensiero, della sintassi e la porta nella prosa, da clandestina. Questa musica lo spinge lievemente indietro, liberando dalla falsa cogenza del dato morto, presente, per straniarlo in modo compiuto, per sottrarre tutti noi alla schiavitù delle cose come sono, e non possono più essere, pena l’estinzione. Chiudo con un esempio, fra i tanti, di una poesia prosa, martellata, franta, esempio magistrale e conclusivo di una musica bartokiana, tesa e segreta compagna. Da L’ordine cronologico della perfetta guarigione (i vivi):

Ma i vivi. I vivi. Cosi fieramente catalogati in. Marito fratello cognata. Non hanno mai. Un ripensamento. Un taglio. Una ferita stanchissima. Nella polpa dell’anima? I vivi. I vivi. Quelli che restano. Così certi. Convinti. Immortali. Non hanno soggezione. Di questa. Pallina gialla di gomma. Rotolata dall’aldilà. Lanciata dal gioco. Delle mani. Dei più antichi bambini?.

Tamen
di Giancarlo Sissa
Moretti&Vitali editore, 2023
Prezzo: Euro 16,00


In copertina: piazza Virgiliana, Mantova, foto di Gianfranco Sissa

L’irrompere nel divenire di un altro pensiero ultima modifica: 2023-09-18T17:47:17+02:00 da GIACOMO TRINCI
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento