Tra tempo ed eternità nelle solenni festività ebraiche. Abramo, Sara, Isacco e noi

Osservando la vicenda di Abramo, Sara e Isacco da una prospettiva più ampia e spostando l'attenzione dal momento del quasi sacrificio di Isacco, essa diventa molto più riconoscibile come la storia di una famiglia che vive un'esperienza inaspettata di gioie, conflitti interiori e disgrazie improvvise.
PAUL ROSENBERG
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Capita, ogni anno nella ricorrenza del Rosh Hashanah, che mi ritrovi a pensare al significato delle festività ebraiche più solenni. È un’osservanza, Rosh Hashanah, che si distingue da tutte le altre nel giudaismo, ed è un processo che può essere intensamente personale. A differenza del capodanno laico, Rosh Hashanah è l’inizio, in realtà, di un evento di dieci giorni che culmina nello Yom Kippur, e le due festività vanno considerate in coppia. Sono sempre rimasto colpito da come è strutturato il rituale ebraico e dal modo ponderato e intelligente in cui le festività e i servizi di preghiera sono organizzati e scritti per trasmettere messaggi specifici – ma, cosa più importante, forse, per creare un effetto molto specifico, e cioè evocare il tempo sacro. Entrare nel tempo sacro significa uscire dal tempo ordinario – mettere da parte il lavoro e le preoccupazioni quotidiane, preparare la casa e la tavola, consumare i pasti festivi in famiglia, trascorrere il tempo nella preghiera e nello studio in comunità, – e l’inizio di questo tempo è segnato materialmente dall’accensione delle candele, con la condivisione di vino e challah, e da una recita di gruppo delle benedizioni che sono pronunciate per ciascuno di essi, che sono sempre le stesse, qualunque sia la festività. Questa gestualità è il momento dell’ingresso nel tempo sacro, riconoscibile istintivamente da ogni ebreo.

Pronti per Rosh Hashanah a casa mia (Photo P. Rosenberg)

L’ingresso nel tempo del sacro è un evento settimanale per gli ebrei, ogni Shabbat e, naturalmente, in una qualsiasi delle tante festività e osservanze che arricchiscono praticamente ogni mese dell’anno ebraico. Rosh Hashanah e Yom Kippur, tuttavia, rappresentano un livello di osservanza più solenne, come indicato letteralmente dalla definizione di “Festività solenni”. Qui entriamo in contatto con il tempo eterno. Rosh Hashanah non è semplicemente un giorno segnato sul calendario ma è una commemorazione dell’atto stesso della creazione, e nel giudaismo la creazione non è vista come un momento fisso nel passato, ma come eterna e continua. Questo è ciò che s’intende per tempo eterno. Così durante le Solenni Festività usciamo dal tempo ordinario ed entriamo nel tempo sacro, e attraverso di esso entriamo in contatto con il tempo eterno e l’atto continuo della creazione, e così ci viene ricordato che ognuno di noi è parte di quell’atto. Siamo partecipanti attivi, con i nostri poteri umani di creazione.

Facciamo ora un ulteriore passo avanti nella particolare cornice del tempo sacro di Rosh Hashanah, che è definito in molti modi dalla lettura della Torah di quei due giorni: Genesi 21 e 22, che raccontano la storia della nascita di Isacco, seguita dal famoso Akedah, o Legatura di Isacco.

Tante volte mi sono chiesto perché questi due capitoli siano letti nel Rosh Hashanah, nonostante in apparenza la risposta sia almeno superficialmente chiara: alla fine del capitolo 22 ad Abramo è promesso che la sua discendenza “si moltiplicherà… come le stelle nel cielo e come la sabbia che è sulla riva del mare» (Gen 22,17). Questo è probabilmente il momento cruciale dell’origine del giudaismo, la “nascita” del popolo. Eppure il disagio (moderno) rispetto all’idea che Isacco sia involontariamente portato al sacrificio (per non dire che si tratta del sacrificio di un bambino) e la volontà di Abramo di portarlo a compimento hanno oscurato, a mio parere, alcuni significati essenziali della storia, che cercherò qui di seguito di analizzare in modo più argomentato. Innanzitutto è importante chiarire che in un contesto storico il racconto della legatura di Isacco sull’altare da parte del padre intende in realtà essere una presa di posizione contro il sacrificio di bambini, pratica molto diffusa a quel tempo. In questa storia, tuttavia, ad Abramo non è richiesto di sacrificare Isacco, e tale richiesta non si ripeterà mai più.

Detto questo, penso che se osserviamo la storia di questi due capitoli da un punto di vista più ampio, spostando l’attenzione dal quasi sacrificio di Isacco, la vicenda si fa molto più intellegibile come la storia di una famiglia che vive gioie inaspettate, conflitti interiori e disgrazie improvvise.

Genesi 22, Akedah (Photo P. Rosenberg)

La storia inizia con la nascita di Isacco. Le vite di Abramo e Sara cambiano inaspettatamente, grazie a una gioia inattesa, improbabile, e ridono e festeggiano. Tuttavia, questo felice sviluppo finisce per mettere Abramo in una situazione molto scomoda nella sua vita familiare, ed è costretto a fare una scelta molto difficile per mantenere la pace, mandando via Agar e Ismaele per placare Sara e assicurarsi che il suo erede sarebbe stato Isacco. Abramo deve quindi avviare trattative con il capo filisteo locale, Abimelech, verso il quale nutre un fortissimo rancore. Abramo prende allora l’iniziativa offrendo un patto, e anche qui rinuncia a qualcosa, in questo caso a sette agnelli. La pace è stabilita e la famiglia di Abramo può vivere nelle terre dei Filistei, vicino al loro pozzo, per “molti giorni”.

Poi un giorno la tranquillità è improvvisamente e inaspettatamente infranta quando ad Abramo e Isacco è chiesto di fare qualcosa non solo impensabile, ma anche ambiguo (ricordiamo che ad Abramo è detto in quale zona andare, ma non la montagna specifica, se non giorni dopo). Entrambi fanno risolutamente ciò che è loro richiesto, senza sapere quale sarà l’esito.

Sui dettagli della storia e sui suoi possibili significati si è ovviamente scritto ampiamente, il più delle volte concentrandosi sugli aspetti del sacrificio, sulla resa della volontà da parte di Abramo, sul suo amore per Dio, sulla sua fede. Da mio punto di vista, invece, è una storia incentrata fondamentalmente sulla fiducia. Nella prima parte della storia Abramo, infatti, deve stabilire un rapporto di fiducia all’interno della sua famiglia facendo una scelta decisiva per Sara e Isacco, e deve poi negoziare la fiducia tra la sua famiglia e i poteri locali chiarendo le differenze e specificando i termini. Sono azioni difficili ma necessarie che portano a un periodo di pace basato su quella fiducia.

Quei legami di fiducia in famiglia sono messi a dura prova nella seconda parte del racconto, il giorno in cui Abramo si sveglia di buon mattino e conduce Isacco e due servi con abiti cerimoniali per un olocausto – ma senza l’animale per il sacrificio – verso una destinazione sconosciuta. Sara non è menzionata in questa parte del racconto, ma possiamo facilmente immaginare il suo sconcerto e forse la sua angoscia per l’improvvisa partenza di marito e figlio. Abramo le ha detto cosa gli è stato chiesto di fare? Non lo sappiamo. In ogni caso, deve fidarsi di Abramo perché riesca a portare a termine la cosa. Poi c’è Isacco, forse ancora più fiducioso, mentre trasporta la legna per ciò che alla fine apprende essere per il suo stesso sacrificio. Come mai non si volta e scappa quando suo padre gli fa legare le mani o quando lo fa stendere sull’altare? Pensate a quanto si dev’essere fidato di suo padre in quel momento. E quanto ad Abramo, che tipo di fiducia in se stesso gli avrebbe permesso di alzare il coltello su suo figlio, che giace fiducioso e passivo sull’altare, in attesa di essere sacrificato?

Non c’è da stupirsi che da allora questo momento sia rimasto impresso nella mente di generazioni. Atti di fiducia così sono per molti versi il fondamento della civiltà in cui viviamo.

Interno di una sinagoga. (Photo: Encyclopedia Britannica)

Questa è la storia che ascoltiamo prima di iniziare la parte successiva delle Solenni Festività, e come tale possiamo interpretarla come un messaggio che ci prepara per i giorni che seguono Rosh Hashanah, giorni pensati per il pentimento individuale e l’esame di coscienza, che possono essere pienamente esperiti e convalidati solo con il perdono. Durante lo Yom Kippur gli ebrei si riuniscono come comunità per chiedere perdono a Dio col digiuno, che significa non mangiare né bere dal tramonto al tramonto, cosa difficile da fare. Tuttavia, i giorni tra Rosh Hashanah e Yom Kippur sono considerati un periodo sacro unico, durante il quale si è chiamati individualmente a riconciliarsi con coloro che ci circondano e con noi stessi. Significa chiedere perdono, l’uno all’altro, per le cose che abbiamo fatto di sbagliato e per il dolore che abbiamo causato nell’ultimo anno, consapevolmente o inconsapevolmente.

Ed è una cosa ancora più difficile da fare.

Anche qui, però, si vede la genialità del rituale ebraico, che in questo caso porta un così difficile calcolo personale e interpersonale a un livello gestibile: si deve dar conto dell’anno trascorso, non di tutta la nostra vita. Inoltre, alla fine del ciclo, quando finisce lo Yom Kippur, se avremo svolto come si deve il compito difficile richiesto, saremo una tabula rasa, con la possibilità di ricominciare da capo. Non dovremmo consentire che incomprensioni e ferite persistano. Siamo chiamati a sistemare le cose ogni anno, con noi stessi, gli uni con gli altri e con Dio. Possiamo perdonare ed essere perdonati qui e ora, in sintonia con il ciclo degli anni.

Questo è il messaggio delle Solenni Festività che ho cercato di argomentare, un messaggio che, proprio come la storia di Abramo, Sara e Isacco, non è in realtà esclusivo del giudaismo ma può avere un valore più universale, che è questo: siamo parti attive della creazione in corso, e questo richiede fiducia e perdono, che esigono entrambi molto da noi.

Con ciò vi auguro il tradizionale saluto ebraico per il nuovo anno: Shanah Tovah – un buon anno a voi, ai vostri cari e a tutti noi.

Tra tempo ed eternità nelle solenni festività ebraiche. Abramo, Sara, Isacco e noi ultima modifica: 2023-09-18T15:41:42+02:00 da PAUL ROSENBERG
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