Cosa resta a Venezia dopo il polverone sollevato dall’Unesco?
La città non sarà inserita nella blacklist, salva la faccia nel circuito cultural-mediatico internazionale, ma esiste una strategia per progettare la città del futuro? C’è un’idea politica per iniziare a pensare a Venezia da qui a fine secolo, quando si prevede l’innalzamento dei mari fino a un metro e chissà quale sarà il numero di visitatori?
L’Unesco ha manifestato le giuste preoccupazioni, che sono poi le stesse di qualsiasi persona di buonsenso.
Ma al di là dell’Unesco, che mette sotto tutela Venezia come la pizza margherita, abbiamo finalmente imboccato la strada giusta?
L’entusiasmo espresso dall’amministrazione e dal governo andrebbe misurato rispetto a queste grandi questioni, altrimenti si perde di vista il problema.
Del ticket d’ingresso se ne parla da decenni, sempre con la doppia finalità di governare i flussi e finanziare la città (leggere stenografici della Camera della commissione d’indagine su Venezia ‘91-‘93).
Sotto il profilo puramente contabile il ticket si aggiungerebbe ai balzelli già esistenti legati al turismo: tassa di soggiorno, maggiorazione biglietto per i mezzi pubblici di navigazione, Ztl bus e da ultimo la tassa aeroportuale. Tutte misure che non hanno prodotto alcun effetto nel governo dei flussi turistici, ma hanno garantito risorse aggiuntive per l’onerosa amministrazione della città.
Oggi il governo dei flussi non è pioggia rinviabile. Pena la perdita definitiva della dimensione urbana della città.

Ma il ticket così congeniato potrà produrre effetti positivi?
Potrà essere quello strumento, tanto evocato, per iniziare a studiare un efficiente sistema di prenotazioni, e finalmente stabilire quale sia il tetto di visitatori che la città è in grado di accogliere? Si capisce già che purtroppo non sarà così. E ci troveremo di fronte all’ennesimo espediente mediatico, come lo furono i tornelli. E come lo furono i ripetuti tentativi (falliti) di applicare la tassa di sbarco. Ma ammesso che si trovi un sistema efficace di applicazione, saranno sufficienti 5 euro per scoraggiare la massa di turisti ad arrivare in città nelle giornate da bollino nero? E comunque resta la grande ambiguità in tema di esenzioni. Se la metà dei circa 24 milioni di visitatori giornalieri proviene dal Veneto, è pensabile ottenere risultati, esentando tutti i corregionali? La vedo dura. Siamo alle solite: si parte con un grande annuncio, poi strada facendo: per non scontentare gli alleati, per lisciare il pelo agli elettori, e via discorrendo, si finisce per produrre tutt’al più un titolo sui giornali.
È andata così anche per la legge per la regolamentazione delle locazioni turistiche (promossa dal sottoscritto). Venezia è l’unica città d’Italia ad avere una normativa in materia, tutte le altre città turistiche la chiedono, ma noi non l’applichiamo.
Perché? Ho sempre sostenuto che la disciplina (non il divieto) degli affitti brevi rappresenta il tassello di un mix di azioni che va attivato con l’obiettivo di restituire a Venezia la sua dimensione urbana di città. Che significa agire sulla residenza, introducendo incentivi fiscali robusti per gli affitti di lunga durata, ma soprattutto agire sulla base economica della città. La tassa d’accesso, può essere un ulteriore tassello di queste azioni se sperimentata con più coraggio. Credo che sarebbe certamente più efficace l’incentivazione di un sistema di prenotazioni per la visita della città: aumentando i costi i dei biglietti dei servizi nelle “giornate nere” (trasporti, musei…). Ovviamente restringendo la platea delle esenzioni. Per la verità, anche di questo se ne parla da tanto tempo (leggere sempre stenografico Camera di trent’anni fa).
Non ci sono scorciatoie: per tutelare Venezia dalla deriva della monocoltura turistica,
serve il coraggio politico di fare scelte chiare. Coraggio e strategia politica. Un binomio che tutte le forze politiche dovrebbero appuntarsi.

Nella scorsa legislatura, in realtà, sono stati adottati dal Parlamento, diversi provvedimenti a favore di Venezia (i principali: ticket di ingresso, istituzione del centro internazionale sui cambiamenti climatici, Zls, Autorità per la Laguna, concorso di idee per il porto off-shore, stop alle Grandi navi in Bacino, regolamentazione locazioni turistiche). Il fatto è che solo lo stop alle Grandi Navi è stato applicato.
Le altre? Tutte leggi inapplicate vuoi per inerzia burocratica e/o mancanza di coraggio. Ma quest’impasse implica anche la necessità di riflettere se gli strumenti normativi utilizzati siano adeguati per governare una città complessa come Venezia.
Penso che questa sia un’altra questione in cui le forze politiche dovrebbero misurarsi con più realismo, oltre che con maggior coraggio. Ovvero è urgente Ri-Pensare alla specialità di Venezia, che vuol dire, attribuire alla città poteri e risorse adeguati per affrontare la dimensione dei problemi che abbiamo di fronte. Una nuova Legge Speciale che attribuisca a Venezia nuovi poteri, nuovi ambiti di competenza e la garanzia di un’adeguata continuità di risorse finanziarie. Ciò nell’interesse nazionale, perché una “Venezia forte” rappresenta una grande opportunità per l’Italia.
Non a caso con grande lungimiranza i nostri padri legislatori, cinquant’anni fa scrissero nero su bianco nella prima Legge Speciale che “la salvaguardia di Venezia e della sua laguna è un problema di preminente interesse nazionale”. E aggiunsero che “la Repubblica ne assicura la vitalità socio-economica”. Mezzo secolo dopo, la città è stata risanata, ma non è abbastanza, perché gli obiettivi di fondo non sono stati raggiunti. Cosa serve allora?
Una strada da seguire è quella di ottenere per Venezia un regime normativo di rango costituzionale, come quello all’esame del Parlamento per Roma Capitale.
Più poteri e più risorse significano, però, più responsabilità ed implicano più coraggio politico. Non ci sarebbero più alibi di fronte al mondo.
Serve però un colpo di reni da parte di tutta la città per la costruzione di un progetto condiviso nell’esclusivo interesse di Venezia. Non c’è più tempo da perdere.

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