Studioso di Leopardi (Genesi e varianti delle Operette Morali, Emil, 2016 e curatela dell’edizione commentata dei Canti per Demetra-Giunti editore, 2018), Francesco Capaldo ha pubblicato le raccolte poetiche Voce nova (2013), La promessa del giorno (2017) e la più recente Sulle foglie (Giuliano Ladolfi Editore, 2021). Ha scritto anche un libro di racconti, Narciso (2005), i romanzi Fino in fondo (2008) e L’estate di Caronte (2021), alcuni scritti drammaturgici (La signora Orlandi, 2017) e alcuni racconti umoristici sul Covid, pubblicati sul sito di “Infiniti Mondi”, 2020.

Capaldo si definisce “poeta passeggiatore” e sicuramente il suo ultimo libro Sulle foglie nasce dalle sue passeggiate nella campagna toscana, più precisamente tra Firenze ‒ dove ha risieduto per per un periodo sulla collina di Fiesole ‒ e l’entroterra toscano, con delle visite in città. In Sulle foglie si dice seguito sempre nel suo muoversi da «luce e ombra», luce e ombre che a me sembrano costituire il vero focus oppositivo del discorso poetico del volume:
Mi segui nella mia passeggiata
di ogni giorno. Con me passi sopra
Ponte Vecchio, poi svolti per Lungarno
Corsini. Diretto non sai nemmeno
tu. Solo cammini davanti a me,
senza voltarti, luce e ombra, fino alla fine.
Non mancano altri riferimenti a questa pratica quotidiana del passeggiare senza meta che è un po’ la cornice stessa del volume: «La tua passeggiata finisce qui» si dice verso la fine del libro, e in conclusione: «Mi siedo qui, sulla panchina / sul lungofiume». L’azione leopardiana del sedere e del meditare porta l’io lirico a seguire la voce del vento, affidandosi ad esso come un’onda che lo porta via verso la destinazione ignota «dove va ogni cosa». Il finale è uno dei luoghi del libro che preferisco, degna conclusione di questa “meditazione camminata”.
Mi siedo qui, sulla panchina
sul lungofiume. Brezza lieve
di vento seguo la corrente.
Anch’io passo nel tempo, con le cose
trascoloro. Poi l’onda mi porta,
dove non so, dove va ogni cosa.
Finale che richiama il testo iniziale della raccolta che insiste sul mistero della vita, sul nostro non sapere la meta finale della nostra passeggiata su questa terra, che per l’io lirico è comunque un ritorno (vengono in mente a tal proposito i noti versi di Milo De Angelis: «In noi giungerà l’universo, / quel silenzio frontale dove eravamo / già stati”»):
Tempo è di partire. Torniamo
da dove veniamo. Lontano ci porta
il vento: dove non sappiamo.
Questa sommariamente la cornice del libro di poesia attraverso le sedi fondamentali di incipit ed explicit.
Mi capita spesso di guardare le foto di scorci naturali che Capaldo pubblica su facebook e che accompagnano le sue poesie. Ogni amante del binomio natura e letteratura, come me, sa quale importanza ha il passeggiare in rapporto ad esso. Ho letto e riletto la bella antologia Melodie della terra. Novecento e natura di Plinio Perilli, pubblicata da Crocetti nel 1997, che spero vivamente sia ristampata, antologia che molti anni fa con l’autore presentai agli studenti in un cortile del mio paesino, San Paolo Bel Sito. Il pubblico poteva, appunto, passeggiare tra le strade con una scelta di poesie dall’antologia installate nelle strade su pannelli, cavalletti, o a muro, tra le case e i cortili.

Luigi Fontanella, recensendo sulla rivista “Gradiva” il libro di Capaldo, cita come esempio sublime di poeta passeggiatore Robert Walser, che potrebbe essere tra le letture di Francesco. Scorrendo il libro ad apertura di pagina e fin dall’incipit della raccolta cui ho accennato, si notano citazioni, richiami alla grande letteratura, ai classici che Capaldo quotidianamente legge, commenta nel suo lavoro di docente. Per fare alcuni esempi di chiara evidenza: l’incipit del primo testo del libro, in una sede strategica, quindi: «Tempo è di partire. Torniamo», è costruito in opposizione al celebre attacco di I pastori di d’Annunzio: «Settembre, andiamo. È tempo di migrare». Capaldo vuole che il lettore, ovviamente, colga il rapporto con questo grande classico. Così nel testo successivo, il passaggio: «il sentiero là in mezzo / agli olivi», che è da percorrere per porsi su «un’antica traccia» e ritrovare la via «smarrita» del ritorno, sembra alludere ancora al francescanesimo di d’Annunzio dei «fratelli olivi», rafforzato dal rimando nei testi successivi alla «pace»: «Pace sale dai colli./ Digradano gli ulivi […]». La connessione intertestuale sugli «ulivi» si ritrova nella terza poesia del libro, ulivi che saranno quelli reali della collina di Fiesole di cui parla ancora d’Annunzio, in un gioco di luci e ombre, nella Laus vitae: «Poggi di Fiesole, chiari / sono i vostri ulivi e foschi / i vostri cipressi […]». Capaldo recupera in rapporto agli ulivi ̶ che sono centrali nella raccolta ̶ l’uso di termini dalla grande tradizione letteraria: «S’alza / la fumea fra gli ulivi / nel mezzogiorno di pace»; «nella fumea di febbraio / si alza il vento fra le canne, scuote l’ulivo». «Fumea» è termine non frequente nella letteratura italiana, ha 1 occorenza in Marino, 1 in Leopardi, 2 Montale, ma 7 in d’Annunzio con 3 occorrenze in poesia.

Non è mia intenzione, sulla base di queste sommarie osservazioni, sottolineare una scelta di campo dell’autore per un determinato modo di far poesia, così che in questa nota finirei per insistere sul voluto anacronismo dei possibili rimandi a d’Annunzio (e anche a Pascoli che si avverte sullo sfondo, in diverse atmosfere). Ciò nondimeno alcune coordinate mi sembrano evidenti: la lontananza dello stile di Capaldo dalla poesia sperimentale e di ricerca di oggi; la compresenza sia del tema della natura sia del rapporto con d’Annunzio potrebbe far pensare alla lettura di un Giuseppe Conte (di cui non trovo però riscontri effettivi nel confronto fra testi). Ma ciò che mi preme invece sottolineare è l’autenticità di un’esperienza di vita, proprio quella del poeta passeggiatore da cui sono partito e di docente di materie letterarie. È a questa duplice esperienza cui Capaldo semplicemente mi sembra che attinga con convinzione, con consapevolezza, soprattutto senza barare, “a bassa voce”.
Capaldo pratica con dignità la poesia cercando di comunicarci quella sacralità della natura che si avverte ad ogni piè sospinto nel libro, come l’«anima del vento», il soffio vitale che investe «ogni cosa» e su cui lo sguardo del poeta si sofferma con tocchi essenziali, come notato nella prefazione di Gabrio Vitali che coglie nel segno, parlando di un «verso […] pennellato con leggerezza sia ritmica che musicale». Questa leggerezza, questa delicatezza passano al lettore, lasciando un segno di quiete nell’animo di chi legge, di riconciliazione ideale con la natura, oggi tanto minacciata e degradata: […] Al tuo essere / più vero torni. Natura è il tuo respiro». Non manca la presenza umana, di una donna, forse, e dell’amore, comunque si tratta di una presenza buona, che si connette a quei “verdi paradisi dell’infanzia” (Saba) perduti e che il personaggio lirico tenta di recuperare attraverso ungarettiane «foglie appena nate»:
Sulle foglie appena nate,
sul ramo che si veste di nuova
linfa ti posi; dai cipressi che salgono
lenti fra i casolari vieni, con te porti
intrecci di strade, cammini assolati.
Il male ignori che la terra scuote,
di innocenza vesti il mondo,
senza tempo è per te l’anno,
puro battito d’ali fra le fronde.

Sulle foglie
di Francesco Capaldo
Giuliano Ladolfi editore, 2021
Prezzo: euro 10,00

Copertina: foto di Francesco Capaldo

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!