“Ciò di cui andava più orgoglioso era la pubblicazione di due fotografie all’interno del libro Dream of Venice in Black and White di JoAnn Locktov“. Così Mara Ducoli, sulla Nuova Venezia ricordando Angelo Rigoni, muranese, sessantaduenne, deceduto giovedì mattina, 21 settembre, dopo una lunga malattia.
ytali gli rende omaggio in memoriam, riproponendo ai suoi lettori un’intervista alla nostra JoAnn Locktov.
Lunedì 25 settembre alle 10 nel Duomo di Murano si svolgeranno i funerali. Alla moglie Patrizia e alla famiglia il cordoglio di ytali.

Sei veneziano, nato e cresciuto a Murano. Quant’è difficile vedere la tua città obiettivamente, quando è il posto in cui hai vissuto per tutta la tua vita?
Sicuramente vivere a Venezia può rendere difficile vedere la straordinarietà di questa città, eppure io riesco ancora a stupirmi di quanto sia meravigliosa. Risvegliarmi qui tutte le mattine diventa un punto di forza, perché posso permettermi di fotografarla con i giusti ritmi, senza fretta e senza lasciarmi sedurre da quelli che sono gli stereotipi classici fotografati sempre nello stesso modo dai turisti di tutto il mondo.
Come hai scoperto la fotografia come forma di espressione creativa?
Alla fine degli anni Settanta, per la prima volta ho avuto modo di vedere alcune fotografie di Cheyco Leidmann e da quel momento mi sono reso conto che con la macchina fotografica si poteva andare ben oltre le semplici foto ricordo. Ora come ora preferisco fotografare con l’idea di documentare, senza preoccuparmi se sono o meno creativo, questo non significa però scattare in modo superficiale, cerco sempre di avere il totale controllo su quello che dovrà essere il risultato finale.
Inizialmente eri un disegnatore a Murano nella creazione dei lampadari. Hai dovuto riadattare il tuo senso di proporzione e distanza quando hai scoperto la fotografia e deciso di perseguirla? Sono compatibili le due abilità?
Fin da bambino il disegno è stata una tra le mie più grandi passioni, per alcuni anni ho anche avuto la possibilità di lavorare come disegnatore di lampadari in stile classico a Murano, quel breve periodo lavorativo mi è sicuramente servito per capire il delicato equilibrio di proporzioni che ci deve essere in un oggetto se si vuole che risulti gradevole a chi lo guarda.
Non credo però che le affinità tra disegno artistico e fotografia siano molte, il disegnatore parte da un foglio bianco e non ha alcun limite, mentre il fotografo dovrà sempre fare i conti con la realtà che gli si pone davanti e con i mezzi fotografici di cui dispone.
Le tue due fotografie in Dream of Venice in Black and White sono state scattate durante una notte gelida e piovosa d’inverno. Non molti sopporterebbero il freddo e la pioggia per fare una foto. Cercavi uno scatto determinato che poteva essere catturato solo in quella particolare atmosfera?
A dire la verità, è stato un amico a chiedermi di accompagnarlo in una uscita fotografica e convincermi ad uscire di casa a mezzanotte in pieno inverno.
A me piace molto fotografare di notte, perché nelle ore notturne Venezia diventa magica e misteriosa, anche se di solito preferisco farlo d’estate.
La pioggia è arrivata quando mi trovavo già in Piazza San Marco impreziosita in quel momento dalle luminarie natalizie.
Con la pioggia la superficie del Rio de Palazzo si increspava, così il riflesso del Ponte dei Sospiri diventava solo una forma indistinta, rendendolo in questo modo meno invadente nella composizione finale della fotografia Il guardiano del tempo.
Il Ponte dei Sospiri è uno dei monumenti più fotografati al mondo. Comunque nella tua foto hai scelto di focalizzarti sull’Ebbrezza di Noè, la scultura del tredicesimo secolo, in primo piano, con il ponte quasi come un elemento secondario. È Noè il “guardiano del tempo” del tuo titolo? Puoi dirci di più su cosa pensavi mentre componevi l’immagine?
Quando compongo un’immagine cerco di fare in modo che i vari fattori al suo interno abbiano tutti il giusto peso, chiaro/scuro, pieno/vuoto, anche se trovare il perfetto equilibrio non sempre è facile. Nel caso della foto che hai citato e che si trova all’interno del libro, la priorità è stata data proprio alla scultura l’Ebbrezza di Noè, più antica di oltre trecento anni rispetto al più fotografato Ponte dei Sospiri.
Il Noè in questo caso diventa protagonista, quando generalmente è soltanto il tacito osservatore del passaggio di milioni di turisti che spesso non lo degnano nemmeno di uno sguardo, rapiti come sono dal fascino del ben più famoso Ponte.
In passato hai detto di considerare August Sander, il brillante fotografo tedesco, una tua ispirazione. Sander elevava individui attraverso i suoi ritratti, impregnandoli di dignità. I ritratti nella tua nuova serie Mie foto…loro storie sembri condividere la stessa intensità, ma fotografata molto diversamente. Hai scelto di circondare i tuoi soggetti con gli strumenti del loro mestiere, che siano scarpe, cornici, martelli o cappelli. I ritratti sembrano una cacofonia di orgoglio, abilità, ambiente, patrimonio e identità, tutti fusi in un’unica meravigliosa immagine. Puoi dirci come i ritratti sono evoluti ad essere fotografati in questo stile così unico?
Per il progetto che sto portando avanti da qualche tempo dal titolo del tutto provvisorio Le mie fotografie…le loro storie, ho effettivamente preso spunto dal lavoro di August Sander, che nella sua monumentale ricerca ha documentato fotograficamente centinaia e centinaia di persone nei loro abituali abiti da lavoro, raramente però le contestualizzava nel loro ambiente lavorativo e questo lo percepivo come una mancanza di dati che invece considero importantissimi.
Chi trascorre molto del suo tempo nel proprio ambiente di lavoro, lo modifica, lo personalizza, lo rende in qualche modo parte di sé, perciò a mio avviso essere umano e ambiente diventano inscindibili.
La ricerca del rigore delle linee poi è un retaggio del mio amore per la fotografia d’architettura e per i lavori di Gabriele Basilico nello specifico.
Sono convinto che lo stile di un’immagine non possa che essere il sunto di quanto il fotografo che l’ha scattata conosce, ama e in qualche modo rielabora.
In questi ritratti spesso ci tocca guardare oltre il labirinto di oggetti per trovare l’essere umano. Sembrano una metafora per il rapido declino della popolazione veneziana. Ci sono paralleli tra la maniera in cui hai scelto di creare i ritratti e la situazione attuale a Venezia?
La scelta del bianco e nero è stata dettata proprio dall’esigenza di far emergere l’essere umano in quello che molto spesso era un ambiente ricco di colori, dal rosso al giallo, dal verde al blu, rendendone difficile la lettura.
Non è mai stato nelle mie intenzioni usare queste fotografie per denunciare l’attuale situazione di Venezia, è vero, questa delicatissima città è cambiata, è cambiata troppo e troppo in fretta e di sicuro non è migliorata, ma mentre mi preparavo a scattare, il mio unico pensiero era di trovare la giusta inquadratura e la corretta esposizione per poter riportare il maggior numero di dettagli possibile, cercando di raccontare una storia attraverso un’unica immagine.
Dialogare poi con ognuna di queste persone prima di poterle fotografare lo considero un vero privilegio.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!