Presidenza della Camera. La breve, intensa, era Napolitano

STEFANO RIZZO
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La lunga vita di Giorgio Napolitano ha conosciuto diverse stagioni: da militante comunista a presidente della repubblica, da uomo di partito, anzi di parte, a uomo delle istituzioni al di sopra delle parti e arbitro tra i partiti.
I ricordi di lui in questi giorni, com’è doveroso per una personalità così ricca, sono tanti e toccano i numerosi aspetti della sua carriera politica e del suo percorso umano, ma pochi si sono soffermati sul periodo in cui fu presidente della Camera, poco più di due anni (tanto durò quella legislatura) dal 1992 al 1994.

Nel suo partito, il Partito comunista italiano, Napolitano aveva già ricoperto incarichi di grande responsabilità: membro del comitato centrale, della direzione e della segreteria, presidente delle commissioni esteri e cultura. Dal 1953 era stato eletto continuativamente alla Camera dei deputati e nel 1981 era diventato  presidente del gruppo comunista, incarico che svolgerà fino al 1986. Ora, il capo di un gruppo parlamentare è forse la figura più di parte della vita del parlamento: il suo compito è di trasmettere e attuare la linea del partito che rappresenta in assemblea, nelle commissioni e in ogni altra sede; di fare rispettare la disciplina di partito, e di assicurare la presenza dei deputati del gruppo, che a quei tempi non ammetteva deroghe, neppure nei confronti del segretario del partito. Se si aggiunge che al capogruppo spettava in prima battuta di proporre le candidature dei deputati che potevano essere ricandidati  si comprende l’enorme potere politico che rivestiva in quanto uomo di parte.

Tanto più sorprendente quindi sarà la trasformazione di Napolitano in uomo delle istituzioni, quindi al di sopra delle parti, quando sei anni dopo verrà eletto presidente della Camera. Non mi riferisco soltanto alla conduzione dei lavori, equilibrata e sempre attenta ai diritti delle opposizioni, ma ad un piccolo gesto che compì all’inizio della suo mandato. 

Io ero all’epoca un funzionario dell’ufficio stampa della Camera e seguivo naturalmente per dovere di ufficio i primi passi della nuova presidenza. Ora, secondo tradizione, le amministrazioni di Camera e Senato, e i loro servizi, dovrebbero essere indipendenti dalla maggioranza parlamentare e dallo stesso presidente, e così spesso avviene. Il presidente ha tuttavia il potere di nominare tra i funzionari di carriera un capo della sua segreteria particolare, di sua stretta fiducia, che funge da contrappeso rispetto al segretario generale, dando luogo ad una sorta di diarchia che consente al presidente, se lo ritiene, di esercitare una grande influenza sull’amministrazione. È  quindi normale che il presidente scelga il capo della sua segreteria tra i funzionari del suo stesso partito. Così era avvenuto per i due precedenti presidenti comunisti: per Pietro Ingrao che aveva scelto Umberto Coldagelli, un giovane funzionario e brillante intellettuale comunista, per Nilde Iotti, per il socialista Sandro Pertini e naturalmente per tutti i loro predecessori democristiani.  

Non così per Giorgio Napolitano. Il Partito comunista, l’anno prima, aveva cessato di esistere e si chiamava ora Partito democratico della sinistra e, divenuto presidente della Camera, Napolitano decide di compiere un piccolo, ma significativo gesto di discontinuità: non nomina a capo della sua segreteria un iscritto al Pds, un ex comunista, ma uno stimato funzionario, genericamente di sinistra, ma non appartenente ad alcun partito, dando così un primo segnale di imparzialità cui seguiranno molti altri nel corso dei due anni di presidenza.

Si è parlato, giustamente, della curiosità intellettuale di Giorgio Napolitano, non solo uomo politico, ma intellettuale amante del teatro, del cinema, della pittura, amico personale di artisti e gente dello spettacolo. (Si ricorderà  che da giovanissimo aveva iniziato una carriera di attore.)

Anche qui un piccolo ricordo personale. C’era e forse c’è ancora alla Camera in occasione della festa della donna la tradizione che il presidente regalasse un mazzetto di mimose a tutte le deputate e alle impiegate. Un pensiero gentile che sfioriva però dopo pochi giorni. In previsione del suo primo 8 marzo Napolitano pensò a qualcosa di più  permanente. Un giorno mi chiamò e mi disse di andare da parte sua nella casa studio di Alberto Sughi in quel buffo edificio rococò davanti al Circo Massimo. Sughi, che non conosceva il mio ruolo di funzionario, mi ricevette come un amico di “Giorgio”, mi intrattenne a lungo facendomi visitare lo studio e poi mi consegnò un carboncino raffigurante un viso di donna, che firmò davanti a me come prova d’artista. Di quel carboncino facemmo stampare, su ordine del presidente e a sue spese (su questo punto fu particolarmente insistente), qualche centinaio di copie che vennero distribuite l’8 marzo assieme al consueto mazzolino di mimose.

Un ultimo ricordo della presidenza Napolitano s’inserisce nel clima di quegli anni di grandi cambiamenti seguiti alla fine dell’Unione Sovietica, del comunismo mondiale e anche di quello italiano. C’era l’esigenza, che Napolitano avvertiva più di ogni altro, di ripensare il ruolo del  parlamento per renderlo più rispondente a una democrazia meno ideologica e più basata sulla conoscenza della realtà sociale. Un parlamento in grado di prendere decisioni più rapide, all’altezza dei nuovi tempi, senza tuttavia pregiudicare i diritti delle minoranze. Questo, della necessità di riforme costituzionali per rendere più efficace la democrazia, è stato sempre da allora un assillo di Giorgio Napolitano, fino al suo drammatico discorso di accettazione della seconda nomina a presidente della Repubblica.

Qui, ancora negli anni Novanta, da presidente della Camera, ben consapevole che la fine del comunismo richiedeva una riflessione in sintonia con le grandi correnti del pensiero politico contemporaneo, Napolitano organizzò un ciclo di conferenze aperte a tutti i deputati, cui invitò personalmente studiosi come Joseph La Palombara, François Furet, Ralf Dahrendorf, Maurice Duverger, e altri.

Di queste lezioni magistrali e del dibattito che ne seguìm sempre su disposizione di Napolitano, l’ufficio pubblicazioni della Camera stampò una collana di volumetti che restano una delle più significative testimonianze della sua presidenza. Una presidenza contrassegnata dal rigore intellettuale e dalla più  grande imparzialità nel servizio delle istituzioni, due qualità che sono oggi merce rara tra le alte cariche parlamentari e di governo della Repubblica.

Presidenza della Camera. La breve, intensa, era Napolitano ultima modifica: 2023-09-24T19:03:58+02:00 da STEFANO RIZZO
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