Napolitano è stato Presidente della Camera, Presidente della Commissione Affari Istituzionali del Parlamento europeo, Ministro dell’Interno, Presidente della Repubblica.
Deputato pressocché continuativamente dal 1953 al 1996 (con un intervallo 63-68), dall’81 all’86 è stato presidente del gruppo dei deputati Pci alla Camera, avendo ricoperto precedentemente ruoli di primo piano nella segreteria nazionale del partito, ad esempio di responsabile della cultura, dell’economia e dei rapporti internazionali.
Alcuni dei suoi caratteri sono molto noti: l’accuratezza della sua preparazione e del suo eloquio, la cura per la salvaguardia delle istituzioni, italiane ed europee, specie delle istituzioni rappresentative, la sua eleganza anglosassone (Lord Carrington, lo chiamavano nel partito), la sua padronanza dell’inglese. Il primo dirigente del Pci ad essere invitato ufficialmente negli Stati Uniti. Il primo a puntare sull’Europa. Il primo ad essere rieletto Presidente della Repubblica.
Durante la sua Presidenza della Camera ero una deputata di nuova nomina (1992) della Commissione “Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni”. Quando Napolitano diventò Ministro degli Interni (1996), ebbi l’incarico di Sottosegretario con delega agli enti locali. Cosicché ebbi la possibilità di conoscerlo da vicino. Dirigere politicamente un qualsiasi ministero è tutt’altro che facile, ma gli Interni sono particolarmente impegnativi, specie nei rapporti con il Ministero della Giustizia, e mi è capitato spesso di pensare che difficilmente avremmo potuto trovare persona più competente di lui per quel compito. In cui deluse certo chi da un “comunista” in quella posizione si attendeva qualche atto eclatante.
Non ebbi reprimende da lui, se non una, all’inizio, per essermi immischiata in una faccenda che non mi riguardava. Neppure complimenti, non si usa: ero lì per il fatto di avere alcune competenze, quelle dovevo utilizzare, fare semplicemente il mio mestiere, sul quale non ha interferito. Io, per parte mia, facevo asse con il Ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini (asse piacevole ma anche obbligato, altrimenti avrei finito con il perdere, in materia di riforme, le mie competenze sull’attività amministrativa degli enti locali). E questo mi dava una maggiore solidità.
Dicono che il Presidente avesse stima di me e che mi trattasse con qualcosa di più della cordialità. Dicono. Gli scontri ci furono invece con il suo capo di gabinetto, un prefetto. Ma erano scontri con gli interessi della burocrazia.

Credo sia stato l’unico Ministro degli Interni che ha chiesto ai suoi uffici come mai gli sottoponevano così pochi decreti di cittadinanza da firmare. Un Ministro politico, ma non strettamente legato ai dettami del suo partito.
Parlare dell’incidenza della sua attività politica ed istituzionale in poche righe rischia d’essere un’esibizione presuntuosa. Consentitemi di schematizzare: è stato un importante dirigente politico di un partito che era al di fuori delle forze politiche ammesse al governo del paese (la conventio ad excludendum, come si diceva allora). Ed è stato un uomo delle Istituzioni di alto livello.
Ha detto di sé stesso:
La mia storia non è rimasta uguale al punto di partenza, ma è passata attraverso decisive evoluzioni della realtà internazionale e nazionale e attraverso personali, profonde, dichiarate revisioni.
Sul primo aspetto, sintetizzo così: Napolitano è stato un politico che ha lavorato per portare anche ufficialmente il Pci dentro la sinistra europea (nei fatti c’era da tempo), rendendolo parte di essa e non più del movimento comunista internazionale. Era un “migliorista” come dicevano i non miglioristi, un riformista, parola preferita allora dagli interessati. La sua sensibilità riformista immaginava un Partito Comunista Italiano proiettato verso un’evoluzione europeista, saldamente ancorato alla Nato e all’Occidente e in un rapporto organico con la socialdemocrazia europea.
Sarebbe stato un socialista, se non avesse fatto parte di un partito che aveva allora Craxi come nemico principale.

Non ha concretamente perseguito – facendosi capo politico – l’obiettivo dell’approdo riformista e socialdemocratico del suo partito, perché ha sempre sentito fortemente il vincolo dell’unità del partito (ma è stato fondamentale nel collocare poi il Pd nel socialismo europeo). E in effetti, ci vuole tempo, molto tempo per riconvertire un popolo cui hai promesso la rivoluzione – qualunque cosa questo volesse dire – in sostenitori convinti della socialdemocrazia. Probabilmente lo riteneva giusto, ma non possibile, non accettabile dalla vasta base del partito. Questo ritrarsi da un compito storico gli è stato sempre rimproverato. In compenso abbiamo avuto un grande uomo delle istituzioni.
Sul secondo aspetto le sue idee erano chiare e nette. Come disse nel discorso per la rielezione a Presidente, di fronte
ad esigenze fondate, a domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti (….), hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi.
[…] Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005.
[…] Non meno imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di (….) riforme della seconda parte della Costituzione (….) mai giunte ad infrangere il tabù del bicameralismo paritario.
Le sue parole restano di estrema attualità:
Non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite dei partiti o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del metodo democratico”. (…) “Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica.
Ancora più importante – perché non sempre ne siamo pienamente consapevoli – il suo richiamo all’antipolitica come eversione:
La critica della politica e dei partiti è degenerata in antipolitica, cioè in patologia eversiva. E urgente si è fatta la necessità di reagirvi, denunciandone la faziosità, i luoghi comuni, le distorsioni.
[…] Un tale impegno (….) richiede l’apporto finora largamente mancato, della cultura, dell’informazione, della scuola.
Di quel discorso per la sua seconda elezione parlamentare, le parole conclusive furono:
Mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni.
Avrebbe voluto quel rinnovamento della politica e dei partiti, ne aveva parlato, ma non la credeva possibile. Accettava la rielezione soltanto perché l’Italia si desse nei giorni successivi il governo di cui aveva urgentemente bisogno.
Incaricò cinque Presidenti del Consiglio, in particolare incaricò Mario Monti di formare un governo tecnico, ed è questa la critica più severa che gli viene rivolta, attribuendo a quella scelta (in luogo di elezioni anticipate?) il duplice effetto: di avere in qualche modo “commissariato” l’Italia in Europa, e di aver consentito/provocato l’inizio di una serie di “grandi coalizioni” confuse e disomogenee, incapaci di sostenere gli interessi nazionali; a loro volta causa di movimenti e voti di protesta, il grillismo anzitutto.
I giudizi a posteriori, si sa, sono più facili ma non per questo corretti. Riconosciuto che per Giorgio Napolitano lo scioglimento del Parlamento era l’extrema ratio, è noto che la situazione finanziaria del nostro paese nel 2011 (incarico Monti) era molto preoccupante, anzi fallimentare: lo spread sfiorava i seicento punti e i rendimenti continuavano a salire rendendo insostenibile il servizio del debito. Potevano essere affrontati mesi e mesi senza governo?
Rigore, equilibrio, prudenza, decisione. Il politico e l’uomo.

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1 commento
Non mi è mai piaciuto Giorgio Napolitano. Un vero amico di Putin.