Era il secondo AperiVida dell’anno: dopo quello di giugno sui plateatici e lo spazio pubblico.In questo di settembre si è discusso di come difendere la stessa sopravvivenza dei veneziani a Venezia. Si è partiti dal “compleanno della Vida”. Sei anni fa in questi giorni i cittadini riaprirono l’Antico teatro di anatomia, la Vida. Che per sei mesi una “casa della città”, frequentata e custodita ventiquattro ore su ventiquattro.
Dibattiti, presentazioni di libri e poesie, cori, teatro e concerti in campo (rigidamente chiusi alle 21 in modo da non recare disturbo al vicinato), una ludoteca per i bambini, pranzi e cene; amori, vita quotidiana e scambi tra gli abitanti (che non erano solo i residenti della zona, ma chi abitava lo spazio prendendosene cura, fino a turnarsi per la custodia notturna…).
Sei mesi chiusi il 5 marzo 2018, a urne chiuse dopo e elezioni politiche del 4 marzo.
Un centinaio di poliziotti, carabinieri, finanzieri in tenuta antisommossa invase il campo per sgominare gli “occupanti”.
Per sei anni si è tornati al buio che c’era prima, illuminato per un anno dal presidio in tenda esterno e poi dagli AperiVida. Che ricordano il passaggio dalla vita animata da chi la città la abita, alla morte delle relazioni urbane, ben simboleggiata dall’atteggiamento delle ultime amministrazioni comunali.
L’assenza di politiche pubbliche si è abbinata alla “porte aperte” a qualsiasi iniziativa dei privati.
Una de-regolazione ha portato al non rispetto delle norme e delle regole di convivenza urbana che il Comune stesso si era dato: dal blocco della trasformazione di palazzi in alberghi alla normativa urbanistica ai Regolamenti del commercio e di polizia urbana.
Al teatro di anatomia sei anni di lavori più o meno intermittenti dovevano portare all’apertura – abusiva in quanto in difformità dalla normativa urbanistica – di un ristorante, l’ennesimo in campo San Giacomo.
Ma il momento non se ne vede traccia, e la battaglia contro l’invasione dei plateatici ha ottenuto l’impegno dell’Amministrazione a non concederne di ulteriori in zona.
La discussione si è aperta riprendendo i contenuti della lettera di “invito” all’AperiVida, cui Mariolina, Monica Mario hanno dato l’impegnativo titolo DA CAMPO SAN GIACOMO ALLA CITTA’: UN PATTO PER VENEZIA? e che riporto
…La monocultura turistica sta uccidendo Venezia: ce ne accorgiamo tutti, ogni giorno.
Attività utili ai residenti, ma in primo luogo le case stesse, vengono convertite in attività utili ai turisti.
Noi residenti ci sentiamo ospiti non graditi. Non solo noi, ma anche chi viene in città non per turismo ma per necessità della vita quotidiana (studio, lavoro, affetti).
La città ci viene sottratta: in primo luogo la casa, ma anche gli spazi pubblici.
Gli spazi dove incontrarsi, dove giocare, dove vivere. Sono gli spazi pubblici che garantiscono quella qualità della vita che Venezia offre a chi la sa capire, come l’hanno capita i grandi urbanisti del ventesimo secolo. Quell’andare a piedi, quelle occasioni di contatto faccia a faccia, quel silenzio e, soprattutto per i bambini, quel muoversi senza i pericoli del traffico.
La battaglia contro l’eccesso dei plateatici, che abbiamo iniziato più di un anno fa, mira a questo: restituire agli abitanti, ma anche a chi capisce Venezia, questa qualità della vita.
Non a caso questa battaglia è partita da San Giacomo dell’Orio: perché qui si è svolta la gloriosa lotta per la nostra Vida, ma anche perché questo è uno dei luoghi dove la qualità del vivere a Venezia ancora sopravvive e dunque deve essere difesa ad ogni costo. Le panchine dove anziani e badanti si godono il sole, gli spazi – per quanto erosi dai plateatici – dove giocano i bambini, il pozzo intorno al quale si discute.
Il motto iniziale è stato “non un metro quadro in più di plateatico a San Giacomo” e per questo siamo disposti a batterci fino in fondo.
Ma non intendiamo fermarci qui. Poco lontano, ai Bari, la qualità della vita dei residenti è minacciata in modo ancora più radicale dal rumore fino a notte tarda di quelli che ormai sono i veri padroni della città: gente che la usa solo per bere e fare chiasso, incurante dei diritti elementari – al sonno, alla salute mentale – di chi a Venezia vive e magari lavora.
La battaglia contro questo degrado, portata avanti da un comitato (Danni da Movida) ormai diffuso in tutta la città, è la stessa, ad uno stadio più avanzato, che è partita da qui, prima per l’uso pubblico della Vida e poi per il diritto allo spazio pubblico.
Da qui dobbiamo partire per difendere in tutti i modi e le sedi possibili, ciascuno secondo le proprie capacità e in alleanza con tutti coloro che difendono questo obiettivo, il diritto alla città per chi – residente, aspirante tale o semplicemente amico di Venezia – vuole usarla come una città vera, anche se unica, e non come una location per il consumo e lo sballo.
Vi proponiamo di discutere se abbia senso l’idea di un “patto per Venezia” che unisca, e porti a sistema le azioni di tutti i movimenti che lavorano per assicurare le condizioni per continuare ad avere degli abitanti e una città: dalla residenza al lavoro, dai servizi alla salute, dalla tranquillità del vivere alla difesa dell’ambiente – urbano e lagunare.
Cominciamo a valutare non solo quello che ognuno di noi sta facendo oggi, ma la possibilità e l’utilità di mettere collettivamente a sistema le nostre pratiche per un’idea di città che vada oltre la monocultura turistica. Non aspettiamo sia un’altra epidemia a ricordarci quanto è fallimentare.
E, alla fine, passiamo ad ombre e cicchetti, scambiandoci quello che abbiamo portato.
È una delle “regole di ingaggio” di base che conserviamo dall’esperienza della Vida. …

Sono seguite testimonianze importanti, da persone nate o arrivate a vivere a Venezia.
In questa città sono nata e ci vivo, ma ora mi sento “mal sopportata” e di troppo, come se i suoi abitanti “naturali” ormai fossero i turisti e i veneziani fossero un fastidioso impedimento, non a caso invitati dal Sindaco a lasciare la città e andare in terraferma.
Sono romagnola, ma a Venezia vivo da 23 anni: una volta era bello, ora non si vive più. Eppure, basterebbe far rispettare le regole, che ci sono: da noi c’era chi parcheggiava in doppia file. Dopo un po’ di multe ripetute il problema non c’è più
Sono state ricordate molte importanti iniziativa civiche in corso per difendere la città.
Prima tra tutto quelle sulla residenza, perché non ci sono abitanti senza case.
A partire dalla madre di tutte le battaglie contro l’overtourism: quella portata avanti dal gruppo di Alta Tensione Abitativa (ATA) per la disciplina delle locazioni turistiche brevi, in modo da riequilibrare il rapporto con le locazioni residenziali di lunga durata.
Una battaglia che ha avuto significativi riconoscimenti: è stata fatta propria dalle amministrazioni delle grandi città e posta all’attenzione delle Regioni, ed è approdata in Parlamento dove ATA ha illustrato in Senato una proposta di legge che sarà presentata da alcuni parlamentari. Per colmare un buco (dal momento che il nostro è quasi l’unico tra i paesi europei a non aver normato la materia).
Venezia, grazie al cosiddetto “emendamento Pellicani”, è l’unica città che – da oltre un anno – potrebbe già darsi questa disciplina, ma il nostro Sindaco si è ben guardato dal farlo.
Sempre al centro dell’attenzione l’uso dello spazio pubblico, che proprio l’esperienza della Vida ha contribuito ad innescare.
Si è parlato delle iniziative per la difesa dei campi e delle strade dai plateatici.
La decantata approvazione dei pianini non ha frenato l’espansione dei plateatici e la “regolarizzazione” di molti che non c’erano prima del Covid non ha impedito il sorgerne di altri. L’espansione a fisarmonica al di là degli spazi attribuiti appare pratica generalizzata.
Eppure basterebbe unire controlli più sistematici al rispetto dell’obbligo previsto di segnare i limiti delle superfici concesse.
Si sono sentite numerose testimonianze dei danni da movida, dapprima in tutta la città, poi anche al Lido e nelle zone centrali di Mestre e alle azioni per contenerli, grazie all’iniziativa di un altro gruppo nato dall’iniziativa dal basso dei cittadini: il Gruppo Danni da Movida.
Si è denunciato l’uso di ordinanze provvisorio che ora si vorrebbero rendere permanenti: millantate come a difesa dei diritti dei cittadini sono in realtà peggiorative della normativa esistente.
Le cose da fare sono due: abrogare le ordinanze e far rispettare le indicazioni del regolamento di polizia urbana che pone limiti ad assembramenti e rumori sia per fasce orarie (salvaguardando con particolare cura quelle attorno all’ora di pranzo e quelle notturne), sia ponendo limiti da rispettare per tutto il giorno.
Durante l’evento si sono raccolte ulteriori firme all’appello per contenere i danni nella zona dei Bari. E testimonianze su come l’indicazione per i vigile sia in realtà quelle di “non disturbare il manovratore”.
La Municipalità era presente ed è intervenuta con il Presidente e il responsabile della commissione urbanistica e commercio, confermando il suo percorso di difese dei diritti dei cittadini e di ascolto delle categorie.
Ha però comunicato che gli assessori non hanno dato la loro disponibilità all’assemblea pubblica su plateatici e danni da movida che voleva organizzare.
Allora sarà costretta a limitarsi a esprimere un parere come Municipalità, senza un peso diretto sul piano amministrativo ma giocando politicamente il percorso di ascolto di movimenti e categorie fatto in commissione per dare un peso alle voci alla città.

Si sono levate anche voci di critica al Contributo di accesso e al ruolo di controllo che assume la misteriosa control room del Tronchetto e per ricordare lo stato di crisi della sanità pubblica (con le lotte che si è costretti a fare per avere i servizi minimi – per il Giustinian come casa di comunità o per la carenza dei medici di base) e con l’invito a essere presenti alla seduta del consiglio comunale in cui se ne parlerà (solo perché i cittadini hanno raccolto le firme).
È stato proposto anche di valutare se il “non uso” che la proprietà sta facendo dell’antico teatro di anatomia (forse perché un ristornate senza plateatico non ha senso e il costante presidio da parte della comunità potrebbe portare guai…) non renda possibile richiedere alla Regione (ad es. lanciando una raccolta di firme) di riacquistarlo e restituirlo alla città
Importante e autorevole è stato l’intervento della professoressa Laura Fregolent, che nell’AperiVida di primavera presentò e ci aiutò a leggere con i suoi allievi dello IUAV il lavoro di mappatura dei pianini.
Dopo aver ricordato come la presenza dei movimenti sociali urbani costituisca di per sé un importante valore a presidio della democrazia, ha criticato il modo di progettare lo spazio pubblico da parte dell’Amministrazione comunale.
Ad esesempio, sui pianini lavorano commercio e tributi. Ora è certamente fondamentale assicurare le entrate che ne derivano per la casse comunali. Ma è importante che in tutti gli atti che incidono sull’uso dello spazio pubblico intervenga anche l’urbanistica.
Per consentire ai cittadini di vivere il territorio è importante che in campi e fondamente oltre che plateatici si trovino panchine, verdi, fontane. E che oltre a bar e ristoranti possano usufruire di luoghi pubblici di e relazione e di incontro, liberi e gratuiti, al chiuso e all’aperto.
Il fatto stesso che molti campi siano indicati come sostitutivi di spazi verdi e relazionali nella vigente carta degli standard allegata al piano regolatore parla chiaro al riguardo.
A quali conclusioni si è giunti, prima di passare alla deliziosa parte enogastronomica che è il dato fondante degli AperiVida e che anche stavolta non ha deluso le attese?
Un orientamento generale sulle questioni di difesa amministrativa degli spazi pubblici occupati o minacciati da plateatici e movida.
No a ordinanze, si all’applicazione dei regolamenti esistenti, segnalazione dei limiti degli spazi concessi e controllo sulle irregolarità di gestione (espansioni a fisarmonica).
Ma soprattutto rendere reali, costanti e nelle ore giuste i controlli – di default e a partire dalle segnalazioni dei cittadini.
La presa d’atto di una necessità: ogni associazione (quelle presenti oggi ma anche le altre che costituiscono lo scheletro pensante della nostra città) deve continuare a fare la sua parte e presidiare il problema o la parte di territorio di cui si prende cura.
Ma servono altre due cose:
- creare una rete di mutuo sostegno, esplicitare un’alleanza che le rafforzi perché “non sono sole”
- mettere a sistema le singole battaglie e le singole proposte, perché dal loro intreccio nasca e trovi un radicamento reale una “idea di città e di territorio” amica di ambiente e cittadini.
Un’idea del genere ha molti estimatori, lo provano attestazioni di apprezzamento del testo di invito giunte anche da chi non è potuto intervenire.
Per andare avanti è necessario lavorare sui due punti richiamati sopra: la definizione della rete e la messa s sistema delle proposte e delle azioni.
L’AperiVida 26.09.2023 ha chiamato: vediamo se, chi e come risponderà e quali passi saprà proporre…
Servono due cose. Metterci un po’ di tempo e impegno, pur cercando di essere i più agili e snelli possibili e spogliarsi di quell’abito mentale (inconscio o no) per cui “quello che fa la mia associazione è il massimo, quello che fanno gli altri è accettabile”.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!