Governo e amnistia. La Spagna allo specchio 

La necessità di un governo mette la Spagna davanti allo specchio che riflette la crisi dello Stato delle Autonomie. Nella fine del bipolarismo, lo scontro tra nazionalismi spagnoli blocca le destre che lo fomentano e, forse per la prima volta, se ne rendono conto.
ETTORE SINISCALCHI
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Feijóo perde il primo voto di fiducia, in cui occorreva la maggioranza assoluta, con matematica corrispondenza alle previsioni: 172 sì e 178 no. Il presidente del Partido popular (Pp) ci riprova venerdì, quando basterà che i sì superino i no: a meno di improbabili sorprese, andrà più o meno allo stesso modo. Prima di continuare, è periodo di cose grosse per la Spagna — se dovessimo parlare a modo, “un importante momento per il futuro della democrazia ecc.”, saremmo lunghi e pomposi —; forse la Spagna finalmente è davanti allo specchio, a contemplare l’immagine della sua crisi. Son passaggi storici, se accadono, che hanno un contesto, e avvengono nei cambi d’epoca, magari già arrivati ma lenti da vedere. Proviamo ad accennarvi, a passaggi, cambi e contesto, per provare a dare un senso alla cronaca.

Partiamo dai numeri, che ci descrivono un primo consolidato cambio di epoca, la fine del bipartitismo. Dal voto del 23 luglio è uscito un parlamento frammentato in cui nessuno, non diciamo dei due principali partiti ma neanche dei due blocchi, può governare autonomamente. La maggioranza assoluta è 176 seggi su 350 ma dalla seconda votazione basta che i sì superino i no; Feijóo ne ha 172 — Pp (137), Vox (33) e i due di Coalición Canaria (Cc) e Unión del Pueblo Navarro (Upn) — e nessuna possibilità di trovane altri (a meno di fatti inquietanti). Sánchez ne ha 152 — Psoe (121) e Sumar (31) —, pare assicurato l’appoggio di Esquerra republicana de Catalunya (Erc, 7), EH Bildu (6), Partido nacionalista Vasco (Pnv, 5) e Bloque Nacional gallego (Bng, 1), oltre a Cc per cui il voto a Feijóo non esclude quello per Sánchez quando fosse il suo turno: a Sánchez servono quelli di Junts (6), con cui la trattativa è in corso sulla base dell’amnistia. In questa fase, Sánchez sa come muoversi, Feijóo non può farlo.

La presidente del Congresso, Francina Armengol, annuncia i risultati della prima votazione nella ritrasmissione in diretta di Rtve; la televisione pubblica spagnola è stata leader negli ascolti durante tutto lo speciale sull’investitura

Complessivamente è stato un dibattito teso, non “bello”, lungo, con colpi di scena, avvincenti scambi di mazzate, ma non un modello di prassi parlamentare. Forse non poteva essere altrimenti, vista la scelta di convertire l’investitura in una specie di mozione di censura o di dibattito sullo Stato della nazione. Feijóo, che è arrivato al Congresso in corteo, un Quarto stato in cravatta e vestiti griffati, ha usato parole da capo dell’opposizione, rivendicato la vittoria — in eccesso, anche contro liste con pochi punti percentuali ha risolto dicendo: ho più voti, ho ragione —;  ha fatto una dimostrazione di forza — sindaci e presidenti delle Comunità autonome, la forza nei territori in sfilata contro un futuro governo Sánchez —; tentato di mettere sul banco degli imputati chi candidato alla guida del governo, ancora, non è, provando a convertirsi da figura sotto esame, il presentatore di un programma di governo, a accusa. 

Ha nominato immediatamente l’amnistia, fingendo di accettarla assieme al referendum per dire subito: “No, non io!”. La versione di Feijóo è: Se avessi voluto sarei capo del governo ma non accetto i ricatti che invece il traditore Sánchez subisce dai golpisti catalani — senza virgolette ma è sintesi fedelissima —. Proposte di governo praticamente inesistenti, una modifica all’articolo 49 della costituzione per sostituire la parola “minorati”, a cui il Pp si era opposto precedentemente, sei “Patti di stato” con titoli vaghi, a evocare la Transizione, l’introduzione di un reato di “slealtà costituzionale”, dando ai socialisti l’assist di avvertirlo che sarebbe il primo imputato perché son cinque anni che il Pp non adempie alla costituzione rifiutandosi di rinnovare il Csm spagnolo, per non perdere l’antica maggioranza. 

Feijóo, però, al debutto nel Congresso, ha comunque superato la prova. Con mezze verità e bugie ma senza gaffe e incertezze si è dimostrato un interlocutore coriaceo, affondando la lama nelle contraddizioni socialiste, tra vecchio e nuovo Psoe, e dimostrandosi un politico tosto, resistente, senza timore della contraddizione, quindi in grado di lanciare segnali.

Per sfuggire alla trappola della non-investitura, Sánchez ha deciso di passare la mano, non al portavoce Patxi López ma al combattivo Oscar Puentes. Ex sindaco di Valladolid, vittorioso nelle urne ma disarcionato da un accordo Pp – Vox, plastica confutazione della richiesta di “far governare il più votato”, il neo deputato è stato brillante, muscolare, sorprendendo avversari e alleati nel rispondere a tono a Feijóo. Menando botte da orbi e attirandosi gli strali del galiziano, ha fatto da scudo al al suo segretario, disinnescando in buona misura la conversione da investitura a messa in stato d’accusa di Sánchez per il “reato” di pensata amnistia. 

Quando Felipe VI ha nominato Feijóo, in quanto candidato del primo partito, da subito si è notato come fosse anche quello con minori possibilità di riuscita. Feijóo ci ha provato all’inizio, ha parlato con tutti, anche con Puigdemont, tramite sherpa, ma era chiaro dall’indomani del voto che i numeri non ci fossero. Il Partido nacionalista Vasco (Pnv), anche nei colloqui col re, si era detto indisponibile a qualsiasi accordo che contemplasse Vox. 

Perduta l’investitura, Feijóo ha altri obiettivi. Con l’incarico ha evitato la defenestrazione, il nemico è in casa. Ora tocca impedire che Sánchez riesca, per tornare al voto, in quello che Enric Juliana, su La Vanguardia, ha definito il tentativo di “strangolare la legislatura”. Ma le possibilità sono poche e le difficoltà si esplicitano nel richiamo al tradimento in casa socialista. Lo spettro del Tamayazo — dal nome di uno dei due deputati socialisti che nel 2003, non presentandosi in aula, fecero perdere la presidenza della Comunità di Madrid al candidato socialista Rafael Simancas viene evocato ma non pare aggirarsi per Madrid. 

Una ripetizione, che si terrebbe il 14 gennaio, aprirebbe nuove possibilità, un miglior risultato elettorale per il Pp a spese di Vox che, anche se non sufficiente per governare consoliderebbe la leadership di Feijóo. Anche se Sánchez dovesse riuscire, non sarebbe tutto perduto. Quanto durerà un governo con una maggioranza così complicata? L’opposizione di Feijóo, del sistema mediatico madrileno — con tanta Italia dentro — sarà durissima, tesa a logorare Sánchez, utile a tenere insieme il partito.

Feijóo arriva in corteo al Congresso di deputati martedì per spiegare il programma e chiedere l’investitura

Contesto. Alla crisi del bipartitismo la destra ha risposto con la destrissima, l’alleanza nazionalista tra Pp e Vox a vocazione maggioritaria. Solo che non è maggioritaria e, per sua natura, impedisce accordi indispensabili per governare il paese. La destrissima è roba di José María Aznar, due volte capo del governo e influente nelle destre spagnole con la sua fondazione Faes (Fondazione per l’analisi e gli studi sociali); nel Pp, dove si può dire ci sia una sua corrente ufficiosa, la presidente della Comunità di Madrid Isabel Díaz Ayuso ha goduto di tutela aznarista sin dagli inizi, come in Vox, creatura aznariana, con Abascal accompagnato sin dai primi passi. Cambio di epoca. Questa roba, strutturalmente tesa ai trumpismi, alla divisione, non serve, non funziona, non fa governo. Altro contesto. Questa roba riguarda anche noi, Meloni alleata di Vox la promuove in Europa, seguendo la stella indicata dal presidente del Ppe Manfred Weber.

Feijóo è davanti a un’evidenza — che anche la destra spagnola arrivasse davanti allo specchio della Crisi della Spagna del ’78 non era automatico, né certo, e non lo è ancora del resto —: questo parlamento che non riesce a investirlo potrebbe farlo senza i nazionalismi contrapposti. Rompere i muri che il Pp stesso ha costruito, e che ora gli chiudono ogni margine di manovra, non è adesso nelle forze di Feijóo. Aznar lo ha scavalcato chiamando a una manifestazione contro l’amnistia che si è tenuta domenica, due giorni prima dell’investitura — 40 mila persone, pochine, i nazionalismi spagnoli sono in affanno, anche l’11 settembre indipendentista a Barcellona è stato sotto tono, anche se erano almeno dieci volte di più —, Ayuso aspetta il suo turno. Il nemico è dentro. Il politico galiziano è abile, capisce il cambio di epoca, è razionale, nel misurare le sue forza, scaltro, nel rimanere a galla in attesa di potersi muovere. Sa che può entrare nella storia riportando le destre, spagnole, catalane e basche, a governare insieme il paese. Deve però resistere e quindi farà opposizione senza scrupoli.

La crisi del modello Aznar ha conseguenze non solo sul Pp. Pp e Psoe non hanno potuto rispondere alla crisi del bipartitismo alleandosi, come avvenuto in altre democrazie europee, perché quel modello lo impedisce. Anche il centrodestra indipendentista catalano è fuori dai giochi nazionali — e la Catalogna quasi mai lo fu, in democrazia e dittatura —. Puigdemont rientra miracolosamente, per la contingente indispensabilità, ma non è “governo vero”, posti, stipendi, potere, nomine, appalti. Per una volta per il catalano tutelare i suoi interessi — fine della persecuzione giudiziaria, un buen retiro come eurodeputato, gli allori di aver ottenuto l’amnistia — vale anche la tutela della sua parte politica, il rientro nei giochi.

Vecchi modelli e cambi di epoca anche per i socialisti. Felipe González e Alfonso Guerra hanno in diverse occasioni caricato a testa bassa, da soli o insieme, contro l’amnistia e gli accordi con gli indipendentisti. I vecchi leoni hanno ascolto ormai soprattutto nei media di destra e influiscono poco o nulla sulla militanza socialista, infastidita, anzi, dalle reiterate critiche al partito. González chiude: “l’amnistia non rientra nella costituzione”. Guerra forse tocca il punto vero quando dice che “l’amnistia è l’umiliazione deliberata della transizione”. Vive così quella che non è un’umiliazione, bensì la Spagna allo specchio, che constata come quel sistema democratico, la Spagna delle Autonomie, 45 anni dopo, non corrisponda più al paese di oggi — Guerra in un’altra intervista liquida affermazioni di Yolanda Díaz come opinioni espresse “tra un parrucchiere e l’altro”, uscita machista a marcare la distanza con la sensibilità del popolo socialista —.

Ci siamo dilungati su Feijóo, pur presupponendo il fallimento della sua investitura, perché, finalmente, la destra spagnola si trova davanti a una crisi di prospettive tale da renderle evidente l’iceberg che la nebbia nazionalista ha occultato; che ci sia tempo per fare macchina indietro non sappiamo. Il Psoe, con Sánchez, è riuscito a interpretare i tempi nuovi, il Pp, comincia a vedere l’iceberg. Ma anche sul cammino di Sánchez non sono pochi gli ostacoli, tanto che, allo stato, il risultato più probabile di questa corsa al governo è la ripetizione elettorale. Prima di accennarne qualcuno veniamo, finalmente!, allo psicodramma: l’amnistia. 

La verità è che c’è poco da dire. Il dibattito politico è apodittico e belligerante, in quello tra costituzionalisti non ci addentriamo. Si parla su nessuna base, su ipotesi, spauracchi. Quel che sappiamo è che il dialogo tra Sánchez, Junts ed Erc, ufficialmente, è nelle mani di Yolanda Díaz. Dìaz auspica il concorso delle parti sociali, si muove molto, ostenta ottimismo e riservatezza. Ci sono richieste incontrollate provenienti da settori indipendentisti, evidentemente irricevibili, alcune suicide, la richiesta di inserire reati che nulla hanno a che vedere coi fatti, come i falsi in bilancio e in atto pubblico per appalti a amici, per cui è stata condannata l’ex presidente del Parlament, Laura Borràs. 

Sánchez, interpellato sui commenti del repubblicano Oriol Junqueras, che dava l’amnistia decisa già nell’accordo per la presidenza del Congresso, senza mai nominarla ha detto che “gli incontri sono discreti ma gli accordi saranno trasparenti”. “La crisi politica non si sarebbe mai dovuta giudizializzare. Quel che abbiamo fatto da allora è tentare di riportare alla politica quel che le spetta”. Sollecitato dai giornalisti ha concluso: “Sarò coerente con la politica che ho fatto in Catalogna. E sto dicendo molto”. 

Quello che sappiamo è che ci sono un migliaio di funzionari comunali e autonomici indagati o rinviati a giudizio per aver seguito le indicazioni di dirigenti politici, quindi processi per anni a rinnovare quella frattura che non serve più al Pp né agli indipendentisti catalani, anzi gli impedisce di governare; che condanne e capi d’accusa sono a norma di legge ma, non per questo, meno discutibili, e discussi, anche da tribunali europei che hanno respinto domande di estradizione per i leader indipendentisti, giudicando esagerate le ipotesi di reato e non trovando equivalenti nelle loro legislazioni; e che tra un po’ i procedimenti giudiziari saranno al vaglio del Tribunale europeo dei diritti umani.

Dell’oggetto, dal poco che sappiamo, deduciamo che si tratti su una cosa che potrebbe essere un’amnistia oppure no, chiamarsi così o diversamente, e che prima o poi, qualcosa che potrà essere o non essere un referendum, sancirà il percorso per riportare alla politica la questione catalana. Il tutto, senza accrocchi legislativi che possano essere smontati dai giudici e dalle verifiche di legittimità e costituzionalità, come già avvenuto col governo Sánchez. Cosa può andare storto a Sánchez, a parte tutto?

Il Psoe. Saldo è il controllo del partito ma la forza avverte sempre una vibrazione. La smaccata caccia al voltagabbana ha messo in imbarazzo l’unico dissidente di peso, Emiliano García-Page, presidente di Castilla-La Mancha, ma se non si arrivasse al governo e un eventuale nuovo voto andasse male i giochi si riaprirebbero. Tra mille anni, dunque. Oggi il problema è incastrare il puzzle.

Il crollo psicologico dell’indipendentismo. Non sono da escludere difficoltà nel gestire un ritorno alla realtà. L’astensionismo, alto in Catalogna il 23 luglio, ci dà la dimensione di un indipendentismo irriducibile, ancora marginale, ma in grado di far mancare voti preziosi. I leader indipendentisti si giocano il futuro, personale, politico e giudiziario, mai sottovalutare però i rischi della corsa tra Erc e Junts per l’egemonia catalana, che per ora sta beneficiando i socialisti catalani ma che può travolgere gli accordi di governo, e quelli del corto circuito tra realtà e finzione; l’esigenza di tenere insieme militanti e elettori, prima o poi si scontrerà col dover smettere di evocare nuovi referendum e dichiarazioni d’indipendenza, visto che qualsiasi cosa sia quella che chiamiamo amnistia, prevederà la rinuncia all’unilateralismo.

Destre e sistema mediatico madrileno faranno a un eventuale governo Sánchez e a qualsiasi cosa sia l’amnistia un’opposizione feroce. Non hanno i numeri, sembra difficile riescano in breve a erodere troppo Sánchez, che più la battaglia diventa dura più diventa forte, come Hulk. Le sinistre possono dargli grattacapi. Sumar può non funzionare e Podemos può creare problemi, nella guerra, raccolta, che i vertici dei viola hanno dichiarato a Díaz. Per tutti il cambio di epoca è difficile da capire, anche per chi, prima di tutti, lo ha propiziato.

Nel frattempo, al Congresso si possono parlare le lingue co-ufficiali, basco, catalano e galiziano. Parte dell’accordo per l’elezione della presidenza, quando il 20 settembre col debutto dei lavori d’aula passò la riforma-express, pareva dovesse cadere il mondo, Vox abbandonò l’aula a sentire le prime parole in galiziano, il Pp la definì “una buffonata”, salvo poi intervenire in basco, scomodando nuovamente i deputati di Abascal appena rientrati. Ieri e oggi non è successo niente, qualcuno ha parlato in basco, catalano o galiziano e la traduzione simultanea ha funzionato egregiamente. Cambio d’epoca.

Immagine di anteprima: particolare da Arlecchino allo specchio, olio su tela, Pablo Picasso, 1923, museo Thyssen-Bornemisza di Madrid

Governo e amnistia. La Spagna allo specchio  ultima modifica: 2023-09-28T12:52:31+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
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