Non è facile scrivere di Giovanni Lodetti, per il semplice motivo che se c’era un simbolo di concretezza, questi era lui, centrocampista tutto grinta e sostanza, scomparso di recente all’età di ottantun anni. Eppure, campione lo era davvero. Non un gregario o uno sputapolmoni che in campo correva per due o, per meglio dire, non solo ma un fuoriclasse nel suo ruolo, capace di illuminare tante domeniche rossonere e di mettere geni come Rivera e Altafini nelle condizioni di dare il meglio di sé.
Nato a Caselle Lurani il 10 agosto del ’42, era figlio di un falegname e, prima di iniziare la carriera calcistica, aveva iniziato a lavorare, a quattordici anni, in un’azienda meccanica. L’umiltà, del resto, è sempre stata la sua forza, al pari dell’abnegazione e della passione per il prossimo: virtù che lo inducevano a battersi sempre a testa alta, con un coraggio e un impegno che facevano la differenza. Non a caso, col Milan di Nereo Rocco ha vinto tutto, in Italia e in Europa, conquistando anche il primo Europeo degli Azzurri di Uccio Valcareggi nel ’68 e godendosi poi una serena vecchiaia calcistica fra Genova, sponda Samp, Foggia e Novara.

Non possedeva la classe abbagliante tipica dei numeri 10, ma non se ne faceva un cruccio. “Giuanin” Lodetti giocava per divertimento, cosciente che il calcio gli avesse offerto opportunità di cui nessuno, nella sua famiglia, aveva mai goduto e convinto di doversi conquistare ogni giorno il proprio ruolo in campo e nella vita. E ci riusciva alla grande! Sacrificarsi per gli altri era, anzi, la cosa che gli riusciva meglio, anche se non ha mai rinunciato al piacere del gol.
È quando ha smesso di giocare ad alti livelli, tuttavia, che ha dato il meglio di sé, quando i riflettori si sono spenti e ha ritrovato quella dimensione umana che per molti si trasforma in una trappola mentre per lui costituiva una dimensione naturale, quella in cui si trovava più a suo agio, avendo conservato, anche dopo la gloria, la genuinità dei veri grandi, dei miti che non fanno pesare mai a nessuno la propria unicità.
E così, citiamo con gioia un aneddoto che lui stesso amava raccontare: “Poteva essere l’82, avevo smesso, ero al parco di Trenno a fare footing e mi fermo a vedere una partita di ragazzi sul campo a 11. Mi metto dietro una porta e chiedo al portiere: mi fate giocare? ‘Ma non vedi che siamo tutti giovani, cosa entri a fare?’ risponde. Ho insistito: una squadra è in dieci, e sotto 4-1. ‘ Va bene, entra ‘.
È finita 4-4 e me la sono cavata bene. Come ti chiami? Ceramica, ho risposto. Avevo una giacca a vento con su scritto ceramica, non volevo fare il bauscia. Mi hanno accettato e per due anni, ogni sabato alle 9.30, per loro ero Ceramica. Finché non è passato uno anzianotto in bici, mi ha squadrato per bene e poi ha detto: ‘Ragazzi, ma lo sapete chi è quello lì? È uno del Milan, l’ho visto cancellare Bobby Charlton’. Finito l’anonimato, siamo andati avanti fino al 2007. A mia moglie dicevo che andavo a giocare a tennis, sennò stava in pensiero. Solo quando mi sono incrinato quattro costole, ha capito che non giocavo a tennis”. Poi passava a illustrare la sua filosofia di calcio e di vita: “Se avessi fatto l’allenatore, la prima volta avrei convocato la squadra alle 7 di mattina, in una stazione affollata di metrò, e gli avrei detto: questi qui fanno i sacrifici, non voi. Quando mi chiedono la differenza tra il calcio dei miei tempi e quello di oggi, rispondo che è il controllo telefonico di Cattozzo, un tecnico del Milan, sul telefono di casa alle 22.45. Se non rispondevi, multa. Invece, a quell’ora o anche più tardi, molti oggi escono di casa per andare in discoteca. Io ci ho messo quasi due anni a farmi una 600, Niang aveva la Ferrari appena arrivato al Milan. Ma non so se sono felici, hanno tutto in apparenza, ma non la passione”.
Il vero Guanin Lodetti non era, dunque, quello che incantava San Siro ma quello che inseguiva un pallone fra i ragazzi al parco di Trenno, quando le luci della ribalta erano svanite ed era rimasto l’uomo, con la sua gioia bambina, il suo amore per la vita, il suo garbo e la sua squisita gentilezza. Valori ormai desueti, cui si tende a non dare più alcuna importanza, e le conseguenze purtroppo si vedono.
Addio dal profondo del cuore!
Roberto Bertoni Bernardi

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