
“Il mio scopo è di far intravedere
il potere dei nostri occhi,
non le potenzialità di un apparecchio fotografico”
[Robert Adams, M.O.M.A. 1960]

La scelta di ricordare Alberto attraverso tre percorsi esprime l’interesse per un’estetica in grado di trasformare le immagini in riflessione, stupore e iconismo; è sintesi di un “saggio” visivo significativo della ricerca fotografica. Ritornano alla mente i nostri dialoghi, i confronti culturali in occasione delle passeggiate serali e notturne tra le vie del centro storico o presso abitazioni amiche, dove le riflessioni di Alberto erano declinate in maniera intelligente investendo una pluralità di ambiti, dalla fotografia all’arte, dalla letteratura alla politica, all’ironia, aspetti che delineavano una tensione umanistica, sentimento con il quale ha approfondito la sua ricerca fotografica.
L’apparato iconico esposto trova, nei temi descritti, una comune identità linguistica, costruita a partire dal rapporto luce/ombra. L’uso del bianco e nero struttura le immagini con una paritaria gerarchia tra le parti, illuminate e in ombra. Dalla visione delle montagne agli spazi urbani e ai ritratti, la scelta costruttiva mostra l’intenzionalità di assegnare valore a questa relazione. Quasi a riprendere inconsciamente il mito pliniano della pittura, ingloba l’ombra nello spazio della rappresentazione, sottraendola da un ruolo secondario. Le fotografie sono strutturalmente costruite su questo rapporto nel quale l’ombra e luce sono congiuntamente legate in una indissolubilità compositiva nella quale l’una non esiste senza l’altra.
L’ombra rende presente l’assente, il non visto, il non percepito assumendo l’egualitario ruolo di ciò che è già visibile e segna il suo rapporto con il tempo. Un’ombra al sole è la risultante di un preciso momento temporale, un istante; un’ombra notturna “…esce dall’ordine naturale del tempo, arrestando il flusso naturale del divenire…”. Il significante dei “colori della notte” determina una valenza semantica di “sospensione”. Nel ritrarre le montagne, i valori contrapposti di luce e ombra assumono funzioni di attanti, non inferiori al soggetto rappresentato.
Questa modalità di interpretare la realtà esprime un lirismo iconico, identitario del linguaggio artistico personale di Alberto.

Le immagini delle montagne sono espressione di un modo di guardare la natura fatta di stupore e ammirazione, di amore e di coinvolgimento emotivo. Sono composizioni costruite con un rigore fondato sulla distribuzione equilibrata di masse e piani, sulla giustapposizione di primi piani e campi lunghi, ottenendo dei bilanciamenti grazie all’armonia di linee dove, in un caso, spicca un inconsapevole parallelo costruttivo con il giottesco San Francesco che dona il mantello.
Forse, l’interesse di Alberto nei confronti del testo di Robert Adams, l’ha portato a guardare con curiosità la fotografia di Timothy O’ Sullivan o Ansel Adams. È una natura intesa come architettura, con immagini costruite su composizioni ordinate, equilibrate. Armonie formali, restituite sui contrasti chiaroscurali e su una quiete silenziosa, acquistano una valenza meditativa profonda, un’impressione di calma e immobilità: “… è unicamente il piacere e l’impegno verso ciò che si vede, non verso ciò che si può comprendere razionalmente…”. La forza e il sublime della natura sono categorie riportate alla quiete, confermate nel perfetto ordine delle singole composizioni.

Lo sguardo usato sulla natura o sull’architettura non è una ricezione distratta, è una fruizione tattica e ottica, una percezione mediata sul piano dell’attenzione e sull’abitudine di osservare, qualità opposte al corrente sguardo occasionale. Questo spiega perché la fotografia non è riconducibile allo scatto meccanico ma, al contrario, è “…una riproduzione esemplare dell’opera, è la forma con cui l’opera si mostra riproducendosi nell’infinità delle sue possibili repliche…” e, con l’esigenza di conoscere, è portatrice di una implicita saggezza.
Delle città occorre ricordare che la loro natura è da intendersi nel mito di Anfione e Zeto, quale risultante di poesia (Anfione) e tecnica (Zeto). L’architettura è modificazione continua, è “contra naturam”, non è un fatto della natura, va contro la natura e, di questi cambiamenti, le fotografie di Alberto esaltano il lavoro degli uomini interpretabile nelle componenti materiche (urbs) e civili (civitas) della città. Qui convivono spazi aulici insieme ad altri più modesti, caratteri aristocratici delle architetture monumentali e altri frammenti secondari, minori, una realtà polifonica. Aspetti accumunati dallo stesso ambito temporale (la notte) e tecnico (bianco/nero, luce/ombra) e dall’assenza di persone. Non sono rappresentazioni inclini alla facile acquisizione ma portatrici, nelle singolari composizioni, di un senso umanistico. Il brano urbano fotografato è una sineddoche, rinvia all’unità storicamente consolidata della città di pietra e della città degli uomini.
Nella loro poeticità queste opere sono un atto elegiaco, in cui la ricercatezza compositiva nel suo esito fattuale, è sustanziale a un’idea di bello. Ciò che si vede non è solo uno spazio, ma è anche un tempo, scivolato dal passato a un presente, certamente non assoluto, ma identificabile con la sensibilità di Alberto; è un’educazione sentimentale esplicitata in questo lavoro, “…se gli occhi guardano con amore, se amore guarda, essi vedono...”.

Tempo storico e tempo presente, spazio esteriore e spazio interiore, rappresentano binomi attraverso i quali le immagini esprimono un’alterità rispetto alla mìmesis. È un’appartenenza a corpo intero con lo spazio della città indagata, lo abita, lo percorre, lo sente, ne riconosce il valore nelle componenti monumentali e popolari, la cui restituzione fotografica accompagna entrambe su dimensioni poetiche, sublimandole.
La presenza dell’uomo è suggerita da un sentimento d’amore per la bellezza, grazie a una personale cifra stilistica reiterata con ponderazione e pacatezza, in grado di disegnare relazioni con le quali conferire significati; è la storia” …del popolo di una città … Di un’infinità di uomini senza nome …”.
L’alterità, rispetto al “qui e ora”, suggerisce una lettura conflittuale rispetto allo stato delle cose presenti, ai modelli di pensiero attuali. Guardando e ritraendo queste architetture, questi spazi urbani, si palesa la fondata centralità dell’esperienza umana nell’opera d’arte totale che è la città, un’unità plurale, prodotto degli uomini. È il gradiente umanistico del lavoro di Alberto, la cui disciplina esercitata nella fotografia ha espresso il fine proprio di questo sapere, la conoscenza e la saggezza.
Arte e fotografia, rigore e disciplina, sentimento e saggezza, rappresentano dialettiche appropriate nel dare senso e significato alle cose, ai luoghi, a farli propri, esistenziali, celebrandoli attraverso l’indagare lo spazio. Un indagare vicino al concetto di itineranza, quale processo di acquisizione, di conoscenza e saperi, attraverso un continuo spostamento spazio-temporale.
Sul senso della storia delle città e degli uomini, sulla natura artificiale delle stesse, le immagini dello spazio urbano mostrano la contrapposizione con la realtà naturale (montagne).

Con il ritratto, si identifica nel soggetto l’elemento mediano tra mondo naturale e quello antropico, la figura umana. In riferimento all’etimo della parola, (re-trahere), l’azione del fotografo “estrae”, “tira fuori” dal modello una sua ri-produzione. La ricerca fotografica su questo tema è stata costruita, nel tempo, con l’obiettivo di coniugare l’insegnamento della tradizione fotografica con la personale libertà di costruzione nei confronti dei soggetti. Storicamente, in pittura o in fotografia, il contesto in cui le persone ritratte sono inserite allude a identità interpretabili, rappresenta una ricerca che sollecita ogni osservatore a “sporgersi” sulla realtà della vita e sui significati a cui rinvia.
Non sono estranee le relazioni tra figura e lo sfondo, la sottolineatura di una specifica identità o l’esigenza di cogliere i valori psicologici del “mostrarsi” assumendo, quale esito finale, una valenza iconica. Il ritrarre, diventa così una sovrapposizione tra l’immagine proposta dal fotografo e lo sguardo e la conoscenza dell’osservatore. È da sottolineare il ritrarsi del soggetto (di colui o colei di cui si fa il ritratto) dato che l’operazione del ritrarre comporta la sostituzione del modello con la sua immagine. Il ritratto, in quanto sostituzione, implica l’assenza del modello, è la figurazione e la messa in scena di un “personaggio o personaggi” o di un “ruolo” e/o di un “emblema” e/o di “espressioni” che, alla luce del ritrattista, si impongono in quanto ritenuti importanti.

Si ritraggono, perciò, le persone con le cose a loro riconducibili, per suggerire uno spazio identitario oppure per riflettere sulla relazione tra più immagini simultanee (mise en abyme) quale risultante della natura intertestuale del linguaggio. La figura ritratta ostende/mostra un’esteriorità che contende l’interiorità. L’operazione alla quale il ritratto si dedica è una caratterizzazione, “un’impronta”, del soggetto, la sua storia. Come nella mìmesis, il ritratto non deve cercare necessariamente l’imitazione della morfologia ma quello della forma “interiore”, dell’anima del modello, forma che si chiama “idea” (forma visibile di ciò che non è dato come apparenza).
Contro ogni formalismo pittorico, le fotografie di Alberto mostrano gli effetti di una insistita e tenace ricerca formale. L’obiettivo è la nitidezza dell’immagine raggiunta mediante un appropriato uso della tecnica, un bello che corrisponde all’assoluta padronanza tecnica grazie alla quale è giunto alla bellezza in fotografia, alla bellezza data dalla forma, nella scelta a favore dell’ordine e della composizione. È un punto di vista sul mondo esterno e su un mondo più nascosto, interiore, di attenzione. Un percorso che ha alimentato le riflessioni sul lavoro e sull’identità delle cose e della vita, per dare una soluzione all’immagine dell’uomo.
Nel lavoro di Alberto c’è il suo tempo individuale, lo spazio narrato dalla sua azione, un arco di esperienze vissute, traiettoria esistenziale soggettiva. Ciò continuerà a parlarci attraverso le sue fotografie e i luoghi poeticamente documentati sui quali resta impressa l’impronta della persona fisica che quelle opere ha realizzato.

BIBLIOGRAFIA
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Uomini e profeti, fedi e mondo-Abitare la terra, costruire la città RAI 2019


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