Reazione composta unanime a Venezia, di rispettoso silenzio dopo l’incidente di martedì sera sul cavalcavia. Non roviniamo questo clima e anzi mettiamolo a profitto, rafforziamolo per ragionare con serenità, onestà intellettuale, rigore etico e morale.
Da tecnico che opera e con una certa esperienza acquisita in materia sul campo, specializzato in ogni ambito della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, negli spazi pubblici, nei locali di pubblico spettacolo, nei cantieri, ecc., ho la sensazione che non ci sia un’unica ragione ma che siano concause ad aver determinato questo doloroso incidente. Nonostante la mia competenza, mi astengo dall’azzardare ipotesi, non ho fatto sopralluoghi e non ho potuto valutare gli eventi più di quanto non lo abbia fatto qualunque cittadino. Preferisco il silenzio.
Vero è che i guardrail appaiono inadeguati a proteggere i mezzi stradali e la sottostante ferrovia, già di per sé e ancor di più per l’assenza di continuità in quel punto con un varco, superato, inutilizzato e comunque sbagliato perché riduce le caratteristiche prestazionali del dispositivo di contenimento della forza d’urto. Il mezzo ha strisciato ed evidentemente il guardrail non ha assolto alla funzione a cui è destinato. Non l’ha cambiato tizio? Non ha fatto nulla Sempronio?
Il problema non sono solo i capi espiatori (che comunque se hanno responsabilità dovranno assumersele), insieme a loro ci sono anche i tecnici (che dovrebbero sovrintendere ma non sempre lo fanno e talvolta sorvolano o sottovalutano le possibili conseguenze di lavori non bene eseguiti), le ditte e il personale incaricato (che non sempre fanno i lavori a regola d’arte approfittando della carente sorveglianza o per via di contratti di appalto e accordi spesso con eccessivi ribassi, con prezzi a cui fan fatica a star dentro). Peraltro, le ditte hanno il dovere a non eseguire interventi che ritengono inadeguati, anche se gli vengono commissionati, ulteriore controllo della efficacia delle misure messe in atto, pena la corresponsabilità. Chi fa le manutenzioni dovrebbe essere il primo a vigilare, con o contro il responsabile dei lavori e del procedimento. In ogni caso ciascuno dovrebbe far bene il proprio lavoro, a prescindere.

Le responsabilità le accerterà la magistratura. C’è stata carenza nella regolarità della vigilanza o delle manutenzioni ordinaria e straordinaria? Ci sono state lacune di progettazione o costruzione? C’è dietro volontà speculativa o la ragione è ignavia consolidata, incapacità di chi aveva la competenza di quel tratto di strada, concessionario o pubblica amministrazione che sia? Il vero problema è che ci sono dietro carenze strutturali, di sistema, non di questo o quell’ufficio o di questa o quella amministrazione, sono carenze del sistema Italia che si tollerano fino a farsi innegabili e insopportabili quando avvengono i disastri (per questo mi preoccupa il PNRR affidato a uffici pubblici che hanno personale insufficiente e spesso impreparato per le mansioni che gli vengono affidate).


C’è da augurarsi che i cittadini non cedano alla consueta tentazione di farsi esperti e giudici (“colpa delle batterie” è affermazione spericolata da incompetenti, come ogni altra che non sia avanzata da personale esperto incaricato di fare rilievi e indagini nel sito e sul mezzo). C’è da sperare che la politica tutta si astenga dal gioco dello scarica barili o delle affermazioni strumentali al supporto delle proprie convinzioni. Asteniamoci dal puntare l’indice lontano da noi, anzi rivolgiamolo contro noi tutti perché c’è un diffuso concorso di colpa, i responsabili siamo noi tutti, l’intera società, per la riduzione delle risorse, per le scarse capacità, per l’evasione fiscale tollerata e incentivata: se tutti facessimo bene il nostro mestiere e pagassimo le tasse e spendessimo bene le risorse, potremmo forse anche riuscire ad accantonare delle riserve per incentivare i servizi che invece si riducono sempre più in quantità e qualità.

Approfittiamo per riflettere su come avviare una inversione di tendenza, dopodiché certo, le amministrazioni portano in capo la responsabilità politica di stabilire le priorità a cui destinare le risorse disponibili, ma importante è ora riconoscere le nostre carenze. Ragioniamoci libera-mente con onestà intellettuale, è il momento del lutto e della preghiera per il credente, ma anche dell’esame di coscienza, del ripensamento degli orientamenti individuali e collettivi. Sarebbe bello e bene se cogliessimo l’occasione per impegnarci in positivo, nell’azione di cambia-menti ciascuno a partire da sé stesso: “Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo” diceva Gandhiji. Non lo abbiamo fatto con la pandemia, ma non è mai troppo tardi. Di errori ne compiamo tutti, importante è riconoscerli per evitare di ripeterli.
Mettiamo da parte le polemiche e collaboriamo insieme per il bene comune evitando di additare altrove ché il concorso di colpa è inevitabile: “per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti” cantava a ragione De André.

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