Fatalità…

Trascorsi i giorni di lutto in rispettoso silenzio, proviamo ora a ragionare serenamente sulla “strage degli innocenti” di Mestre allargando il campo della riflessione. 
GIOVANNI LEONE
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In Italia permane un grave deficit culturale in materia, la sicurezza è subìta come imposizione e costo anziché apprezzata come opportunità. Continua a essere percepita come un fastidioso obbligo di legge inevitabile se l’attività è soggetta ai controlli di prevenzione incendi o igienico-sanitari. Negli altri casi ogni scusa è buona per cercare di sottrarsi, continuando a navigare a vista nella convinzione che “abbiamo sempre fatto così e non è mai successo niente, perché dovrebbe accadere ora? sarebbe proprio sfortuna e su quello non si può fare niente”, affermazione che non esclude la possibilità che un incidente o un’emergenza possa accadere improvvisamente con conseguenze che possono essere evitate o certamente ridotte se ci si è attrezzati per tempo. La sicurezza è scienza applicata, una teoria che si consolida e si evolve in pratica con l’esperienza sul campo, che consente di gestire un’attività in sicurezza, a vantaggio di tutti, datori di lavoro, lavoratori, utenti. 

Fatalità è intercalare tipico veneziano che sta per “guarda caso”, espressione quanto mai pertinente su incidenti gravi come quello occorso sul cavalcavia e in effetti alla buona sorte o alla sfiga si pensa subito. Il caso è una componente importante nelle nostre vite, ma nella sicurezza riguarda solo il rischio residuo dopo l’adozione delle misure per il massimo contenimento dei rischi, l’altra faccia della medaglia di gran lunga preponderante: negli eventi dannosi più importante della casualità è la causalità, cioè il rapporto causa/effetto da cui derivano poi colpe (per atti volontari) e/o responsabilità (per inazioni o atti sbagliati anche quando involontari). Una delle prime leggi in materia di sicurezza (L. n. 350/1898), che introduce l’assicurazione obbligatoria distingue tra fatalità o errore umano nell’accadimento degli infortuni.

Non sono un tecnico esperto di guardrail o chimica, batterie, motori elettrici e simili, quindi mi astengo dal parlarne. Sono solo un architetto che si occupa di sicurezza e lo fa da Architetto. Il nostro è un mestiere bastardo perché deve conciliare istanze tecnico-scientifiche con la radice/matrice umanistica, che privilegia l’interrogazione, evitando di saltare alle conclusioni a partire da mere supposizioni. Indugiare in analisi e ragionamenti è tempo ben investito, tutt’altro che perso. Per questo dovremmo discutere dei rischi che rileviamo e ragionare su cosa fare per ridurli, senza accanirci soltanto nello sport più diffuso in Italia dopo il calcio che è il canto d’invettiva, lo scarica-barile e il lancio del peso lontano dalla propria coscienza.

Sicurezza di carte vs sicurezza di fatto

La sicurezza è una materia di grande rilevanza sociale che ci riguarda tutti, a partire dalla sicurezza domestica nella vita quotidiana in ogni casa privata, dove sovraccarichiamo gli impianti elettrici, con prolunghe, doppie prese, ciabatte, pantofole e stivali.  Ci sono poi la sicurezza stradale, la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, in locali e spazi pubblici. In cima alla piramide sta il legislatore che però si attiva generalmente dopo che le tragedie sono avvenute, sull’onda della spinta emotiva provocata nell’opinione pubblica che della priamide costituisce la base. Sono due gravissimi eventi a dare impulso e aprire il nuovo corso della normativa italiana: l’incendio alla mostra dell’antiquariato nel palazzo del Vignola a Todi il 25 aprile 1982 (35 morti e 40 feriti) e quello al cinema Statuto di Torino il 13 febbraio 1983 (64 morti e una trentina di superstiti).

È tragico che debbano crollare il ponte Morandi, cadere autobus da viadotti e cavalcavia, esplodere treni carico di gas, crollare funivie, ecc. per svelare le carenze strutturali di sistema spesso imperniate su manutenzioni troppo spesso gravemente e scientemente lacunose. Ma la vera tragedia è che non “funzioniamo” noi: le norme non vengono rispettate e quando lo sono vengono applicata innanzitutto per mettere al riparo datori di lavoro e tecnici dalle conseguenze penali che possono derivare loro, si privilegia la sicurezza formale (quella che mi piace definire di carte) e si trascura quella di fatto che deve integrare le norme intervenendo su quei fattori di rischio che possono essere sfuggiti al legislatore perché legati a condizioni specifiche in relazione alle modalità di svolgimento di un’attività in un dato luogo e ai soggetti che vi operano, utenti o lavoratori. 

Della sicurezza ci ricordiamo solo quando mettiamo la fascia nera al braccio e subito a sparare sentenze e pretendere pene esemplari o il loro inasprimento, senza impegnarci tutti per una battaglia culturale che rafforzi del corpo sociale gli anticorpi, acquisendo forma mentis, incrementando formazione e informazione, aumentando le risorse per vigilanza e monitoraggio. 

Se per un verso l’alternanza scuola-lavoro introduce utilmente la formazione obbligatoria in sicurezza per gli studenti delle scuole superiori del triennio del liceo, per altro verso gli incidenti occorsi hanno dimostrato che quest’attività si è spesso ridotta a sfruttamento a basso costo di manovalanza giovanile nell’attività lavorativa, in assenza di adeguati percorsi formativi e vigilanza, come hanno dimostrato gli insopportabili incidenti con vittime.

Nozioni di sicurezza

Ci sono nozioni fondamentali che s’insegnano nei corsi che sono una bussola utile a orientarsi in questa materia che non è una teoria ma una pratica che si affina con l’esperienza e l’applicazione.
La prima si chiama ciclo di Deming, si parte dall’AZIONE (misure di prevenzione e protezione) per poi passare alla PIANIFICAZIONE (con il cronoprogramma conseguente alla valutazione dei rischi), alla REALIZZAZIONE (delle misure pianificate nei tempi stabiliti) e infine alla VERIFICA (dell’efficacia delle misure), per poi ricominciare daccapo. Questo è il circolo virtuoso della sicurezza, a cui devono partecipare tutti, ciascuno nel proprio ambito di competenza, dal tecnico, all’esecutore, al manutentore, al responsabile del controllo della qualità dei lavori, ma specialmente all’amministratore, pubblico o privato che deve reperire e mettere a disposizione le risorse necessarie. Anche l’utente  deve partecipare, in questo senso è di grande utilità l’esposizione delle norme di comportamento in caso di emergenza sugli aerei da parte del personale di cabina, istruzioni che sono anche riportate in piani di sicurezza inseriti nelle tasche delle poltrone di ogni passeggero. 

L’altra è la formula per il calcolo del rischio, e cioè R=f x M dove il rischio deriva dal prodotto della probabilità che un dato evento dannoso accada per la gravità delle conseguenze nel malaugurato caso in cui comunque accada. Le misure di prevenzione intervengono a ridurre il primo fattore, quelle della protezione il secondo. La formazione incide su entrambi i fattori: aiuta prima a prevenire e poi a ridurre i danni grazie a misure gestionali e procedure operative.

Partiamo da qui, prendiamo questa bussola per orientare le nostre considerazioni. Visto l’intenso traffico in transito di automobili, trasporto pubblico e mezzi pesanti, entrambi i fattori di rischio erano alti, e la logica avrebbe voluto che quel guardrail fosse messo in evidenza come rischio da rimuovere al più presto da parte di chi dovrebbe monitorare, vigilare e poi provvedere a far fare manutenzioni, azioni queste fondamentali in ogni strategia della sicurezza come abbiamo visto prima. 

Col senno di poi

Le criticità ci sono sempre, in misura variabile di caso in caso, una quota resta comunque dato che il rischio si può ridurre anche drasticamente, ma non eliminare. Ciò che fa la differenza è la consapevolezza  circa la valutazione dei rischi di cui si è in presenza. Dopo Genova, abbiamo appreso che l’avevano i dirigenti della Società Autostrade e l’hanno scientemente ignorata e nascosta confidando che continuasse a non accadere nulla, come nei decenni precedenti. Avere chiaro il quadro delle criticità  è determinante per consentire di pianificare le azioni. In questo caso: o il quadro non era chiaro e la responsabilità è in capo ai tecnici (responsabili della gestione per l’amministrazione pubblica e personale delle ditte incaricate); o il quadro era chiaro, ma non c’erano a disposizione risorse e in questo caso la responsabilità è della politica che privilegia altre opere che portino loro maggiore visibilità e immediati vantaggi elettorali. Al tempo stesso è vero che le amministrazioni locali hanno visto progressivamente ridursi le risorse a disposizione senza adeguarle a obblighi che non riescono a onorare.

In questi casi è meglio tacere, ma l’assessore Boraso non ce l’ha fatta a trattenersi, e si è grossolanamente affrettato a cercare di allontanare la palla, prima fuori dal campo di gioco calciandola verso la tribuna (dove siedono ormai gli amministratori che lo hanno preceduto),  poi ha passato di testa alla sicurezza di carte  (affermando che il manufatto è a norma grazie alla non retroattività delle norme vigenti, considerando di poca importanza che fosse stato realizzato oltre mezzo secolo fa e che risultasse evidente anche a un profano che qualche acciacco il tempo glielo aveva provocato), infine intervenendo con fallo di mano (sostenendo che i lavori sono in corso ma, fatalità, non si era ancora fatto a tempo a intervenire in quel punto). Perché fallo di mano? Perché nel pianificare i lavori che si stavano finalmente eseguendo seppur con colpevole ritardo  l’intervento su quel tratta di strada andava realizzato subito, con la massima priorità. Perché? Perché l’obsolescenza del guardrail, la presenza di un varco, e la vicinanza con la stazione determina un rischio “non ammissibile”.

Ciò detto, umanamente l’assessore Boraso ha tutta la nostra considerazione, fatalità ha voluto che sia lui oggi l’assessore alla mobilità, ma non è detto che altri avrebbero fatto di meglio. 

Concludo riportando due citazioni storiche. 

La prima è della Legge del 1898 già citata, dove al secondo capoverso dell’articolo 22 si legge “Rimane anche la responsabilità civile al proprietario o capo od esercente dell’impresa industria o costruzione quando la sentenza penale stabilisca che l’infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha preposto alla direzione o sorveglianza del lavoro se del fatto di essi debba rispondere secondo il codice civile”.

La seconda è di Francesco Saverio Nitti in Meditazioni e ricordi dove si legge che

I ministri che hanno per abitudine di far cadere tutte le responsabilità sulla burocrazia dan prova della propria incapacità. Nei tempi normali un vero capo trova sempre modo di utilizzare i suoi dipendenti. E se proprio i suoi dipendenti sono incapaci, trova il modo di eliminarli.

Risulta evidente come la burocrazia abbia le sue responsabilità, molte altre sono però del corpo politico, sia perché i legislatori esondano esageratamente, sia perché i politici lottizzano con logiche clientelari, distanti dalla tanto spesso invocata meritocrazia.

Le eventuali responsabilità civili o penali saranno valutate dagli organi competenti a conclusione delle indagini e poi eventualmente vagliate nei procedimenti penali e civili, la responsabilità politica resta però in capo all’assessore Boraso e al Sindaco Brugnaro, che dirige la ripartizione delle risorse nei bilanci comunali, risanati grazie alla riduzione dei servizi al cittadino. Prima di investire ingenti risorse nella nuova viabilità tra VEGA e via Torino si sarebbe dovuto provvedere a mettere in sicurezza la rete stradale esistente, questo avrebbe dovuto essere la priorità di una buona amministrazione pubblica. Di tutto questo il cittadino ha diritto a chiedere conto al Sindaco, che ha il dovere di renderne.

Immaginie di apertura: Boubacar Tourè, 27 anni, originario del Gambia, e Godstime Erheneden, 30 anni, originario della Nigeriano, i due operai che non hanno esitato un attimo a salvare vite nel bus in fiamme.

Fatalità… ultima modifica: 2023-10-07T20:01:00+02:00 da GIOVANNI LEONE
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