Solo lo sport è in grado di regalare determinate emozioni. Può sembrare un luogo comune ma non lo è. Basti pensare alle quattro storie che stiamo per raccontare.
La prima riguarda i cartellini, che furono introdotti in Italia esattamente mezzo secolo fa, per sancire a livello visivo ciò che prima era affidato alla voce del direttore di gara. L’aspetto più interessante è che l’idea venne, mentre era in macchina in coda al semaforo, a un arbitro tristemente celebre per il calcio italiano: Ken Aston, l’artefice della direzione, a dir poco pessima e a senso unico, nella corrida che ebbe luogo a Santiago del Cile il 2 giugno del ’62, quando i padroni di casa si imposero sugli Azzurri per 2 a 0 dopo averci letteralmente massacrato di botte per tutta la partita.

Mezzo secolo è anche l’età dell’ex portiere del Milan, Dida. E qui bisogna aprire un capitolo a parte, perché dopo la finale di Manchester, quando ipnotizzò dal dischetto i campioni juventini, regalando ai rossoneri una Champions che mancava in bacheca da ben nove anni, in molti commentammo che, per la prima volta, il Brasile aveva un fuoriclasse anche in porta. Persino Nanni Moretti, in una scena de “Il caimano”, pone Silvio Orlando di fronte alla domanda del figlio se sia più forte Buffon o Dida, e Orlando risponde Dida. No, Gigi è stato un’altra cosa; tuttavia, non c’è dubbio che nel quadriennio 2003 – 2007 il brasiliano sia stato uno dei migliori al mondo: un estremo difensore agile e in grado di comandare la difesa, sempre estremamente concentrato e capace di fare la differenza nei momenti decisivi. Non a caso, dopo di lui il Milan, almeno fino all’ascesa di Donnarumma, non ha più avuto un portiere di quel livello. Ora c’è Maignan, che per certi versi lo ricorda e probabilmente è ancora più forte, ma il ricordo di quella notte all'”Old Trafford” rimarrà indelebile nella memoria di ogni tifoso milanista. Per prendere il posto del panterone brasiliano, pertanto, non basta la conquista dello scudetto, benché da protagonista, e questo Maignan lo sa bene.

Due fenomeni contemporanei, entrambi estranei al mondo del calcio, illuminano invece la scena in questo tempo buio. Parliamo della ginnasta americana Simone Biles, capace di dare il proprio nome al salto Biles II, ispirato al complicatissimo Yurchenko (quello eseguito dalla Biles ai Mondiali di Anversa è uno Yurchenko doppio carpiato al volteggio), dimostrando di essersi ripresa alla grande dopo i patimenti degli anni scorsi e il crollo che l’aveva caratterizzata alle Olimpiadi di Tokyo. Una farfalla che spicca nuovamente il volo, dunque, uno spettacolo ineguagliabile, grazie al talento di una ragazza in grado di far sembrare semplice un gesto atletico ai limiti dell’impossibile.

Infine, il nostro Jannik Sinner, il tennista altoatesino che, battendo all’ATP 500 di Pechino prima lo spagnolo Alcaraz e poi il russo Medvedev, ha raggiunto il quarto posto nel ranking. Non accadeva dal ’76, protagonista Adriano Panatta, nell’anno che si concluse con il trionfo della Davis nel Cile dilaniato dal regime di Pinochet.
Ci sono emozioni uniche, come dicevamo, ed è bello che non riguardino solo il citatissimo mondo del calcio ma anche sport differenti, in nome di un’altra idea di società, di vita e di umanità. Il che, in una stagione segnata dalla violenza e dall’odio, non è affatto poco.

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