Un esercito popolare

La popolarità di cui è del tutto priva l’attuale classe dirigente politica israeliana è cresciuta invece per le forze armate, in cui è molto importante la componente dei riservisti.
DAN RABÀ
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[TEL AVIV]

Prima storia. Poco dopo l’attacco di Hamas, Naftali Bennett arriva in caserma, t-shirt e blu jeans, stringe mani ed è ripreso da un telefonino di uno dei soldati presenti. Il breve video, pochi secondi, gira immediatamente nei social, ed è rilanciato dai giornali. Fa notizia e dà la misura della gravità della situazione l’immagine di un ex-primo ministro (ha guidato il governo dal 13 giugno 2021 al 1º luglio 2022) di nuovo in divisa.

Seconda storia. La più ampia organizzazione di volontari della riserva, Brothers in Arms, che ogni fine settimana, da gennaio fino all’estate scorsa, si sono uniti alle oceaniche proteste di piazza contro Benjamin Netanyahu e la sua riforma della giustizia, diffondono un tweet, immediatamente dopo l’aggressione di Hamas, in cui

invita tutti coloro che sono tenuti a schierarsi in difesa di Israele senza esitazione e immediatamente. In questo momento la cosa più importante è la sicurezza dei cittadini del Paese.

Tanti riservisti, va ricordato, tra cui molti piloti, hanno manifestato contro il governo e le forze che lo sostengono, rappresentanti dei coloni e dell’Israele più oltranzista, anche nei confronti degli arabi israeliani.

Un riservista di Brothers in Arms partecipa a una dimonstrazione contro la riforma giudiziaria a Bnei Brak, presso Tel Aviv, 16 marzo 2023. (Photo by Flash90, jns.org)

Terza storia (che riprendiamo dall’agenzia Adn Kronos).

Due figli riservisti richiamati, un amico assediato nella stanza blindata con una pistola in mano in attesa dell’arrivo dei jihadisti in un kibbutz di fronte a Sderot, un altro ucciso a colpi d’arma da fuoco mentre stava facendo jogging. […] Roberto Della Rocca, medico italiano che fa parte del partito israeliano sionista di sinistra Meretz, sostiene che Hamas abbia deciso di colpire ora pensando che Israele fosse ”più debole”, dopo la grande protesta antigovernativa in corso a livello nazionale contro la riforma della giustizia voluta dal governo di Benjamin Netanyahu.

Ma ”Israele è unito quando si parla della sua esistenza” e ”le persone che sono scese in piazza a contestare la riforma della giustizia non ci hanno pensato un minuto a entrare in campo per difendere” la nazione. Perché Israele ora ”è in guerra”, una guerra ”per la sopravvivenza, che comunque non è in discussione”. Perché ”vinceremo questa guerra” e ”la risposta sarà molto molto molto dura, è giusto che sia così”. Per cui ”temo che sia solo l’inizio”.

La figlia di Della Rocca, maggiore riservista, è stata richiamata subito nell’aeronautica. E così anche il figlio, che abita a Sderot, ma che fortunatamente nel momento dell’attacco si trovava a Tel Aviv. ”È stato mandato al nord ad aiutare i militari di leva che sono stati trasferiti al sud”, spiega.

Tre storie, tra le tantissime che potrebbero essere raccontate, tre vicende che danno la misura dello stato di angoscia e di allarme che regna in Israele e dell’importanza vitale, permanente, della sua sicurezza, affidata a Tsahal, le forze di difesa israeliane (IDF Israel Defense Forces), che godono di ottima reputazione e anche affetto nell’opinione pubblica – quella stima che ormai manca del tutto al grosso della classe dirigente politica del paese – anche per la loro caratteristiche peculiari, prima di tutte quella di essere un esercito di leva con una notevole componente di riservisti.

Sono 177mila i soldati attivi nell’Idf che rientrano nel personale di leva: gli uomini hanno un fermo obbligatorio di tre anni, le donne di due. La leva inizia a 18 anni. Il trenta per cento circa degli effettivi sono donne. Fino alla metà degli anni Novanta le riserviste erano molto rare. Con l’apertura delle attività militari alle soldatesse, a molte è stato proposto di accettare anche il servizio di riserva dopo aver terminato il periodo di leva obbligatorio iniziale come condizione per entrare in determinate posizioni nell’Idf. Sono oltre 400mila i riservisti – i miluim – che sono richiamati in caso di necessità. Sono circa mille gli italiani con doppio passaporto italo-israeliano – dei 18.000 in Israele – che stanno facendo il servizio di leva.

Le cronache di questi giorni descrivono i piazzali delle città israeliane pieni di auto parcheggiate, lasciate dai riservisti accorsi per l’imminente offensiva.

Chilometri di automobili posteggiate lungo la via – racconta Manuela Dviri sul Fatto quotidiano – automobili scassate e lussuose, nuove e vecchie, piccole e grandi: a migliaia erano posteggiate ai due lati della grande strada, anche in doppia fila e terza. Erano le automobili dei riservisti che le avevano lasciate lì per arruolarsi: trecentomila persone che hanno lasciato a casa mogli, figli, luoghi di lavoro. Si sono infilati la vecchia divisa stazzonata che ormai gli sta un po’ stretta, gli scarponi ancora impolverati dalla polvere di altre guerre e sono tornati a essere soldati.

Le scene da Gaza hanno mostrato finora soprattutto in azione l’aviazione, con pesanti e ripetuti bombardamenti, mentre non si sa se e quando ci sarà un intervento via terra dentro la Striscia.

Come si comporteranno i militari impegnati nell’intervento? Mai prima, anche se circostanze drammatiche di guerra si sono ripetute tantissime volte, le vite dei soldati di leva e dei riservisti saranno così a rischio e le loro coscienze saranno messe alla prova nello scontro diretto con Hamas.

Immagine di copertina: Gi ostaggi nelle mani di Hamas

Un esercito popolare ultima modifica: 2023-10-16T14:47:59+02:00 da DAN RABÀ
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