Una mostra che sta in una valigia. È quella che la fondazione Guggenheim di Venezia dedica a Marcel Duchamp, aperta nei giorni scorsi e visitabile fino al 18 marzo del 2024.
“Marcel Duchamp e la seduzione della copia”, curata dallo studioso indipendente Paul B. Franklin, si sviluppa attorno a una celebre – ma non unica – valigia. Celebre perché presente nelle grandi collezioni mondiali e non unica, dal momento che l’autore – sostenitore dell’affascinante teoria che azzera le differenze tra originale e copie – ne produsse più edizioni nel corso del tempo.
Stiamo parlando della Boîte-en-valise. Un museo portatile contenuto in una scatola, a sua volta inserita in una valigetta di pelle, nella quale il pittore, scultore e scrittore francese (1887-1968) inserì 69 riproduzioni in miniatura di propri lavori.
“Tutto ciò che di importante ho fatto può essere messo in una piccola valigia“: citando questa frase di Duchamp, la rivista Life il 28 aprile 1952 pubblicò una foto della Boîte-en-valise – edizione IX/XX – acquistata dal Museum of Modern Art di New York. La prestigiosa testata americana informava che ogni esemplare della scatola in valigia conteneva una serie di riproduzioni – realizzate dall’artista e talvolta volutamente modificate rispetto all’originale – di sue celebri opere come la Mona Lisa con baffi e pizzetto o Apolinère Enameled o Il re e la regina circondati da nudi veloci.
L’articolo, oltre a elencare i titoli più significativi inseriti da Duchamp nella sua personale arca, sottolineava come, tra gli acquirenti della Valise, ci fosse anche Peggy Guggenheim.
Ed è la ”valigia“ di Peggy – restaurata accuratamente dall’Opificio delle pietre dure di Firenze – a troneggiare nella seconda sala della mostra ospitata nella dependance dedicata alle temporanee della Guggenheim.
Nelle teche sono squadernate tutte le 69 opere in miniatura, realizzate con tecniche diverse, scelte da Duchamp per il suo museo portativo, che è una sorta di cabinet de curiosités.
Su una parete campeggia, invece, un olio: si tratta di una tela prestata dal Philadelphia Museum of Art. È il quadro, citato da Life, Il re e la regina circondati da nudi veloci, un dipinto del 1912 ascrivibile alla fase cubista dell’artista che attraversò e contribuì a plasmare tutte le avanguardie e le correnti espressive del Novecento.
Questo originale – ma quanto appare inadeguato e privo di senso questo vocabolo per identificare un’opera di Duchamp – quasi si specchia nel proprio doppio in scala ridotta inserito nella “boîte”. All’occhio attento o curioso del visitatore il compito di cercare i dettagli e le difformità che rendono ciascuna delle due opere “originali”.

Non un gioco da ragazzi, sebbene trovare le differenze sia un popolare passatempo da settimana enigmistica ma anche il fortunato tema di un filone di libri di intrattenimento illustrati per bambini. Ma è, questo cercare il simile e il dissimile, l’intrigante fil rouge del percorso espositivo, viaggio intorno e dentro la valigia la cui prima serie è stata realizzata a partire dal 1935/1936 e venduta dal 1941.

Le prime venti valigie (ma esistono anche dei numeri zero) tutte realizzate dall’artista e tutte in versione deluxe, furono personalizzate con un originale alloggiato nel coperchio. La numero I/XX di quelle prime scatole venne comperata da Peggy Guggenheim ed è proprio quella che si può osservare a Venezia. L’opera originale inclusa in questo esemplare è il “Coloriage original” da lui preparato come guida per la riproduzione, con la tecnica della collotipia a colori, proprio dell’olio “Le roi et la reine…”. Fino al 1966 sarebbero state circa trecento le “boîte” assemblate. Tutte firmate “de ou par Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy”, pseudonimo/clone femminile di Marcel immortalato, con trucco e parrucco, in un ritratto fotografico di Man Ray. Ancora un gioco di specchi, di “inganni” autentici o di autentici “inganni“.
Verso la fine del percorso della rassegna, s’incontra un secondo esemplare della “valise”, appartenente alla serie F (comprendente 75 esemplari) “montata“ nel 1966 e contenuta in una scatola rivestita di pelle rossa.
Ma quella della scatola – e del resto quante scatole ciascuno di noi ha riempito di cose care – per raccogliere e custodire appunti e abbozzi è una pratica cha ha radici lontane e parentele con i “libri d’artista” o i “libri oggetto” dei futuristi. Un concetto di “boîte surréaliste” fu elaborato da Duchamp e da Man Ray ai tempi della fondazione del collettivo artistico americano “Société Anonyme Inc.”, nato nel 1920. Ma, già nel 1913, Duchamp aveva prodotto, servendosi della fotografia, facsimili di annotazioni e schizzi per alcuni esemplari di una scatola (Boîte 1914) ciascuno dei quali personalizzato. Con il tema della scatola, si confrontarono anche André Breton e Joseph Cornell. Mentre un’altra famosa scatola di Duchamp, la Boîte verte del 1934, è esposta in mostra: 93 tra fogli di appunti disegni e fotografie.
L’idea di una “scatola” delle meraviglie fu il fertile ginnasio in cui si allenarono molti artisti della cerchia di Duchamp, ma Marcel ne fece la propria personale palestra per esercitarsi nella pratica delle variazioni.

“L’idea dell’originale – affermava Duchamp – non esiste in musica né in poesia”. Concetto, questo, valido anche per l’arte dato il grande numero di tavole e tele prodotte in maniera seriale, per secoli, nelle botteghe dei pittori che avevano uno “status” di artigiani. Tuttavia, nella musica – altro ambito nel quale Duchamp si mosse – le variazioni hanno consentito ai compositori una infinità di possibilità espressive intervenendo su un tema. E proprio alle variazioni in campo musicale si ispirò Duchamp nella prassi di creatore–assemblatore ma anche nelle riflessioni teoriche. Artista estremamente influente, sebbene non prolifico, abbandonò a soli 31 anni, nel 1918, la pittura su tela dedicandosi successivamente ad assemblaggi, readymade, progetti multimediali.
Oggi, nell’epoca dei Meme, dell’Nft, dell’intelligenza artificiale, si potrebbe facilmente disquisire della chiaroveggenza profetica di Duchamp.
Ma le sue variazioni sono, più che il frutto di un’arte divinatoria, una raffinata analisi filosofica e concettuale sulla creatività umana e sul valore, anche materiale, a essa attribuito. La distinzione tra vero e falso, tra imitazione e copia, secondo Duchamp era questione tecnica priva di senso. E un duplicato o una ripetizione meccanica equivalevano per lui a un originale. Visione distante da quella espressa da Walter Benjamin – con il quale Marcel Duchamp s’incontrò – nel suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.”
Alle variazioni musicali rimandano la pratica della serialità, della duplicazione, e la trasformazione di un oggetto del vivere quotidiano in opera d’arte, il raedymade, appunto. Termine entrato nella storia dell’arte e utilizzato, per la prima volta, da Duchamp nel 1913 per la sua Ruota di bicicletta posta su uno sgabello. Il più celebre dei readymade è probabilmente l’orinatoio, ribattezzato Fontana, che il tocco di Duchamp trasmutò in capolavoro. Non è un caso che una Fontana mignon sia inserita nell’antologica valigia duschampiana insieme all’ampolla di vetro miniaturizzata contenente l’aria di Parigi.

Se il focus principale della mostra è il fascino della replica e la famosa scatola in valigia – che ha anche un contenuto immateriale di storia e storie – meritano attenzione altri due filoni di narrazione che, in filigrana, appaiono sullo sfondo: la ricostruzione del milieu culturale e artistico in cui si mossero Peggy Guggenheim e Duchamp e l’appena tratteggiata figura di un appassionato collezionista d’arte veneziano, il gioielliere Attilio Codognato. Dalle raccolte di quest’ultimo – per la prima volta offerte alla pubblica fruizione – proviene oltre la metà delle sessanta opere visibili nella “Seduzione della copia”. Sessanta opere: e qui l’intrico di specchi, doppi, cloni, citazioni, che si stemperano nello sguardo sull’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, produce un nuovo “gioco”, o uno scherzo se ci si volesse rifare all’origine latina del vocabolo. Perché il numero dei pezzi in mostra si moltiplica se nella conta si inseriscono i contenuti di valigia e scatole…
C’è da perdersi. E la sensazione è che Marcel Duchamp, grande scacchista, tanto da aver fatto parte anche della nazionale olimpica francese, continui, ridendo di noi inesperti e incerti visitatori/pedine, una sua personale partita, muovendo il re e la regina su un tavoliere in cui noi siamo solo dei nudi veloci…

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