Il quadro politico tedesco è stato scosso e messo alla prova dalle elezioni dello scorso 8 ottobre in Assia e in Baviera. Il voto locale, in Germania, non produce un cortocircuito immediato a livello politico nazionale, e anche questa volta è così. Eppure, al tempo stesso, sono elezioni che segnano un prima e un dopo, per molti versi, nel paesaggio politico del più importante paese europeo. I risultati nei due Länder offrono pertanto diversi temi che meritano un’analisi a freddo più approfondita e più ampia. Per questo ytali ha intervistato Rino Pellino, capo della redazione giornalistica della Rai a Berlino, profondo conoscitore della realtà tedesca.

Tenendo conto che nei due Lãnder abita circa il venti per cento della popolazione tedesca, il voto in Assia e Baviera era atteso come un test della tenuta politica della coalizione semaforo e dei partiti che la compongono. Ma anche un test sulla crescita dell’ultradestra. Che segnali manda il voto dello scorso 8 ottobre?
Solitamente le elezioni regionali hanno una valenza esclusivamente locale. È, potremmo dire, una regola aurea, rimasta sempre valida.
Va detto però che tra i temi della campagna elettorale e tra quelli più sentiti dall’elettorato in Assai e Baviera spiccava quello dell’immigrazione, che è anche al centro dell’agenda politica nazionale.
Le politiche sull’immigrazione sono di pertinenza del governo centrale…
Certo, ma sono molte ed evidenti le ricadute a livello regionale. Da diversi mesi c’è un’accesa discussione sulla distribuzione dei migranti nei vari Länder che è ancora determinata sulla base di un criterio elaborato dopo la Seconda guerra mondiale. Si trattava allora di ripartire i profughi che arrivavano dall’estero, tedeschi che ormai non erano in territorio nazionale e dovevano rientrare. Fu dunque elaborato questo sistema, volto a distribuirli in maniera proporzionale in base alla popolazione dei singoli Länder. Pertanto i Länder più popolosi accoglievano anche più profughi, e, venendo a oggi, richiedenti asilo e così via. Tutto questo, però, si scontra anche con l’esigenza di voler far tornare i conti pubblici. Di qui i tagli ai bilanci dei governi regionali e quindi anche ai sistemi di accoglienza e pian piano in molte regioni ormai si è giunti al livello di saturazione, soprattutto dopo l’arrivo di tanti profughi dall’Ucraina. Sono circa un milione e trecentomila i profughi che sono arrivati in seguito alla guerra. Hanno anche ricevuto tutta una serie di agevolazioni che tanti altri in analoghe condizioni non hanno.
Possono accedere a tutti i benefici che sono previsti per i richiedenti asilo praticamente senza formalità burocratiche, direi quasi “in automatico”. E questo però, per tanti versi, ha prosciugato le casse degli enti locali, in particolare dei comuni. Soprattutto cominciano a non esserci più alloggi a sufficienza.
Una situazione sempre più problematica, dunque. Che incide sui comportamenti elettorali, anche per quel che riguarda il dato dell’astensionismo? C’è un fenomeno simile a quanto accade da noi?
No, nel complesso la partecipazione al voto a queste elezioni è stata in linea con quella di quattro anni fa, cioè del precedente turno elettorale. Intorno al 73, 74 per cento. Un dato, bene o male, medio. In Germania non ci sono stati finora fenomeni di assenteismo forte, si è sempre superato ampiamente il sessanta per cento, anche nei casi di minore affluenza.
Quali sono dunque i dati politici più rilevanti delle elezioni in Assia e in Baviera?
Va detto innanzitutto che hanno vinto partiti che, a livello nazionale, sono di opposizione, la Cdu e la Csu. E dei partiti di opposizione sono stati premiati particolarmente quelli di destra. C’è stato un netto spostamento a destra dell’elettorato, non soltanto in Assia, dove per la prima volta l’AfD è diventato il secondo partito e per la prima volta ottiene un risultato così rilevante in una regione dell’ovest. In genere buoni risultati, fino a ora, li aveva ottenuti a est. Essere il secondo partito significa avere visibilità. Il secondo partito, per dire, è quello che interviene per primo nei dibattiti parlamentari, subito dopo le comunicazioni del governo. L’Alternative für Deutschland ha ottenuto il 18,4 per cento dei voti, un risultato enorme nell’ovest, in una regione per giunta dove per tanti anni, nei decenni passati, ha governato l’Spd, una regione di grande tradizione industriale con un’osmosi forte tra Spd e sindacato. Il segnale che sia andata molto avanti la destra arriva anche dalla Baviera, non tanto per il risultato in sé, perché il posto di secondo partito se lo sono contesi diversi partiti, tutti intorno al 14, 15 per cento, quanto perché in Baviera un altro 14 per cento – quindi nell’insieme siamo quasi al trenta – è andato a un’altra forza di centrodestra, Freie Wähler (Liberi elettori), più che altro populista.
Insomma, l’elettorato si è spostato fortemente a destra, in una regione dove la Csu ha sempre avuto una stragrande maggioranza e dove, per tradizione, ha sempre presidiato il fronte destro. Fin dai tempi di Strauß assorbiva tutto quello che era sostanzialmente il voto degli ultra conservatori, impresa politica che alla Csu non è più riuscita e sempre meno le riesce, perdendo sempre più consensi. L’ultimo risultato della Csu è 36,7 per cento, risultato miserrimo rispetto a quelli che erano i risultati a cui la Christlich-Soziale Union era abituata. In più è anche un colpo di freno a quelle che erano le aspettative del suo presidente, Markus Söder, il primo a dire non governeremo mai con l’AfD, non vogliamo nessun alleato a destra, non intendiamo spostarci ulteriormente a destra, tenendosi su posizioni che potrebbero in qualche modo affascinare un certo elettorato a livello nazionale nel caso di una corsa alla cancelleria. Ma trovarsi ora al di sotto del quaranta per cento in Baviera diventa un handicap abbastanza rilevante.
Perché?
É già difficile che un leader dalla connotazione regionale così forte riesca poi ad avere affermazioni a livello nazionale. Con questo risultato lo è ancor di più.

E le altre forze politiche?
Soprattutto in Baviera, lo stop all’avanzata dei Verdi è molto forte, considerando anche il loro exploit di quattro anni fa, quando raggiunsero un bel 18 per cento, con una candidata giovane che sembrava portare una ventata di aria fresca nel partito, soprattutto in un partito che in Baviera non aveva mai preso piede. Si può sempre vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, per cui 14 per cento in Barriera per i Verdi non è un risultato trascurabile. Contemporaneamente sono riusciti a confermarsi in Assia, ottenendo un risultato analogo e perdendo un quattro per cento dopo aver governato per quattro anni insieme ai cristiano democratici. Se bisogna prestare fede a queste due elezioni regionali, i Verdi sembrano mostrare di avere espresso tutto il potenziale elettorale che avevano, pare difficile che riescano a fare presa su altri ceti. Anche perché i Verdi hanno fatto in questi ultimi quattro anni una politica che ha radicalmente cambiato faccia al proprio elettorato, trovandosi a fare i conti con molti mal di pancia nella propria base. Nelle politiche sui migranti, sulla guerra e sull’invio di armi in Ucraina, sullo sviluppo stanno scendendo a troppi compromessi, dal punto di vista della base, che è sempre più arrabbiata. Tutto questo potrebbe pesare anche sulle prossime elezioni nazionali.

Pesa anche il rapporto, che sembra sempre più difficile, della loro presidente, Annalena Baerbock, con il cancelliere socialdemocratico Scholz? Quant’è forte la sua leadership?
Difficile a dirsi. Per svariati motivi. Prima di tutto perché bisogna vedere se è Annalena Baerbock, nel partito, a dettare la linea. È un partito, i Grünen, che ha sempre avuto due leader. Annalena Baerbock è affiancata da Robert Habeck, attuale vicecancelliere e ministro dell’economia e della protezione climatica. Ma ci sono altri leader di spicco, come il ministro dell’agricoltura, Cem Õzdemir, alla ricerca di una linea che possa andar bene un po’ a tutti. Bisogna vedere se non si scatenerà una guerra che si direbbe peraltro sia già partita, due anni fa, subito dopo le elezioni. Allora uno dei leader nazionali, il bavarese Anton Hofreiter, fu praticamente fatto fuori da tutte le cariche, non solo da quelle di partito, ma anche da incarichi di governo. Adesso gioca un po’ da battitore libero. Attacca il governo, critica la linea del suo stesso partito, come nel caso dell’Ucraina, spingendo sull’acceleratore di questioni di cui i due al governo non riescono o non vogliono farsi carico, come per esempio la fornitura di armi a Kiev in risposta alle continue richieste di Zelensky, compresa quella di missili di fabbricazione tedesca, Taurus.
Scholz, da parte sua, non intende concederli ancora, temendo che siano utilizzati, essendo di lungo raggio, per colpire la Russia in quanto tale. Non vuole queste immagini di armi tedesche che tornino a colpire il territorio russo. È lo stesso scetticismo sull’invio dei carri Leopard. Hofreiter ribatte che, se devono combattere una guerra, se si è d’accordo che gli ucraini si devono difendere, allora si diano loro le armi che chiedono. Posizione, questa, in contrasto con la crescente riluttanza se non contrarietà della stessa base, che riflette il sentimento di una forte componente della popolazione tedesca, contraria alle forniture di armi all’Ucraina e anche a un così massiccio afflusso di aiuti a Kiev. E forse questa è anche in parte la chiave di spiegazione delle ultime sconfitte elettorali.
Sul lato opposto, invece la CDU esce bene dal voto regionale…
Sì, in Assia l’Unione Cristiano-Democratica ha ottenuto un ottimo risultato. Non ci speravano, avevano candidato Boris Rhein, un volto relativamente nuovo, anche se già al governo da un anno e mezzo. Era subentrato all’ormai ex-grande capo della CDU e ministro-presidente dell’Assia, Volker Bouffier, costretto improvvisamente a lasciare l’incarico per motivi di salute. Gli elettori l’hanno premiato, perché è apparso comunicativo, capace di parlare ai propri elettori, di passare, come si dice. Ha avuto un ottimo risultato, ma probabilmente questo non avrà effetti a Wiesbaden; il governo dell’Assia sarà ancora retto con ogni probabilità da un’alleanza nero verde. Conseguenze sul governo nazionale, sulla coalizione semaforo? Ho qualche dubbio. Difficilmente rapporti di forza che cambiano a livello regionale automaticamente si riverberano sui rapporti di forza nel quadro politico nazionale.
Bisognerà anche vedere quale sarà la posizione dei liberali. Un altro dato politico di cui tener conto. L’FDP è rientrato proprio per il rotto della cuffia, per una manciata di voti arrivata l’ultimo secondo. Fino all’ultimo momento dello spoglio, in Assia, sembravano inchiodati al 4,9 per cento – sotto la soglia di sbarramento – poi sono entrati con il 5 per cento. Praticamente non pervenuti in Baviera, dove hanno preso il tre per cento. Per un partito che sperava invece di rafforzare le proprie posizioni è una battuta d’arresto, che suscita interrogativi sulla strada scelta da Christian Lindner, una strada ibrida che è quella di impuntarsi improvvisamente su determinati argomenti, peraltro anche poco rilevanti, per poi invece cedere su tanti altri. Contribuendo ad alimentare quello che, per gli elettori, è il vero problema di questo governo e della coalizione che lo sorregge, come rilevano anche i sondaggi, cioè un eccesso di litigiosità tra le sue componenti, che non piace, sottrae tempo ed energie alle scelte e al compito di governare il paese.
Descrive una situazione di confusione allarmante ai vertici del più importante paese europeo…
É una vita difficile per questa coalizione. È la prima volta che in Germania c’è una coalizione a tre, anzi – se vogliamo considerare CDU e CSU due partiti diversi – una coalizione a quattro. E loro non sono abituati a mediare tra troppe istanze, peraltro con un cancelliere che manca di carisma, anche se per tanti versi è sicuramente una persona molto preparata, anche dal punto di vista economico. Scholz non ha appeal nell’elettorato ma soprattutto nel suo partito che sta vivendo una forte crisi di identità.

Anche in Germania la forma partito è in crisi, una crisi che riguarda anche una forza politica storica e strutturata come la SPD?
Politicamente parlando, la Germania è un paese interessante proprio perché lì continua a esistere e a resistere quella forma partito che in altri paesi è scomparsa. Diversamente dall’Italia, dove s’è liquefatta un’intera galassia di partiti dopo il ‘92, dalla Francia, dove è successa più o meno la stessa cosa con la scomparsa di tutta la vecchia sinistra, dalla Spagna, dove c’è stato un cambiamento considerevole di sigle, la Germania è l’unico paese dove resiste la forma partito di forze politiche che esistono dal dopoguerra.
Pensa che quel modello possa ancora resistere a lungo?
La CDU è riuscita in qualche modo a tenere, addirittura si considera il 34,6 per cento ottenuto in Assia un exploit, che difficilmente potrebbero ripetere a livello nazionale. Nel frattempo la SPD sembra iniziare a sgretolarsi. Il 15,1 per cento nel voto in Assia è il peggior risultato di sempre. In Baviera è il quinto partito, con l’8,4 per cento. Sono dati che parlano di un partito che sembra destinato a non esistere quasi più, e parliamo di un partito che tradizionalmente ha sempre governato. Nelle sue roccaforti industriali, come Monaco, Norimberga, Augusta è praticamente scomparsa. In parte quel voto trova rifugio nei Verdi, che vanno considerati una forza relativamente nuova, un punto di riferimento per un elettorato che non lo trova più nei propri vecchi partiti.
Prima citava la guerra in Ucraina come una criticità di fronte all’elettorato. Ora c’è anche un grave crisi in Medio Oriente. Come gioca la politica internazionale nella vita di questo governo, del cancelliere Scholz, a livello domestico e a livello europeo?
Non è stato molto fortunato, Scholz. Si è ritrovato improvvisamente a dover gestire crisi internazionali senza precedenti. Il Cancelliere sta cercando di rinchiudere la Germania in una specie di fortezza, ovvero dentro un rapporto strettissimo con la Francia. Tanto Parigi quanto Berlino sanno che l’una non può fare a meno dell’altra a livello europeo. Tutti i tentativi, anche quello recente del governo italiano, di spezzare questo legame sono destinati a fallire. È un legame robusto, di lunga data, anche se ci possono essere qui e là delle frizioni e delle difficoltà. Francia e Germania hanno un sistema industriale fortemente integrato, un sistema di relazioni e soprattutto un sistema di amicizie che funzionano a tanti livelli. L’Italia non è riuscita a inserirsi in questa relazione speciale. Contemporaneamente la Spagna, che è un altro paese di peso sia come estensione sia come possibile mercato, si sta dimostrando più stabile e quindi può essere considerato come interlocutore più interessante.

La Germania comincia tuttavia a mostrare evidenti difficoltà…
Improvvisamente si è vista svanire tra le mani il rapporto con la Russia. Erano relazioni quasi esclusivamente basate sull’economia. Ora c’è un rapporto molto stretto con la Cina, che resta il primo partner commerciale. Ma i tedeschi stanno giocando piuttosto male la partita dei diritti umani, della democrazia. Sono presi dal panico di fare la stessa fine che hanno fatto il gas russo e quindi di essere troppo dipendenti dagli ordini cinesi e soprattutto dalle importazioni cinesi. L’altro legame sicuro, stabile e certo è quello atlantico. Questa relazione ha sempre avuto una certa continuità nel tempo, a prescindere da chi fosse il Presidente – per paradosso, i rapporti di Angela Merkel erano più saldi con un presidente democratico…
… Merkel e Trump non si sono mai “presi”.
Decisamente no. Ma era difficile anche trovare qualcuno con cui Trump si prendesse. E adesso? La Germania va un po’ a rimorchio anche perché non capisce bene quale sia la politica di Biden, cioè quanto interessi realmente al presidente statunitense un’alleanza europea forte e coesa, un’Unione europea che rimanga unita. Probabilmente il suo unico interesse è quello di rompere quello che gli americani vedono come un cordone ombelicale, quello della via della seta tra Europa e Cina, nell’ottica della loro contrapposizione con Pechino nel Pacifico.
A Scholz e a Macron, anche se alquanto malconci per ragioni elettorali, spetta dunque il compito di cercare di aggregare intorno a qualche idea e a qualche interesse una comunità che potrebbe avere 550 milioni di cittadini, di consumatori, di voci e di peso, e presentarsi sullo scenario mondiale con una simile massa critica politica ed economica.

La Germania, quindi, continua a credere nell’Europa, oppure guarda ormai fuori dell’Europa?
La Germania sa che il suo essere è l’Europa, nell’Europa, anche se con l’Europa è in difficoltà. Lo stato attuale degli scambi commerciali con l’Europa sta avendo una lieve battuta d’arresto. In tutti questi anni si è tenuta a galla, in una situazione complessiva di crisi, soltanto grazie ai commerci fuori dell’Unione europea, e adesso che anche quelli sono in affanno, c’è in vista una possibile recessione. Va detto però che i tedeschi sono anche consci del fatto che hanno un sistema che è sostanzialmente solido. Se riescono a individuare i punti critici su cui intervenire – e loro sono bravi in questo – non c’impiegheranno tantissimo a riprendersi.
Torniamo al quadro politico nazionale. Alternative fûr Deutschland si pensava fosse un fenomeno prevalentemente se non quasi esclusivamente tedesco orientale. Il loro successo in Baviera dice che non è più così…
C’è grande preoccupazione anche perché AfD sta pian piano evolvendo in un partito sempre più di destra radicale. Rispetto agli anni degli inizi, quando era una piccola formazione di un gruppo di intellettuali, professori universitari, faceva leva sulla negazione dell’euro. Era il loro punto di forza. Quelli di allora erano dei bolscevichi rispetto a quelli che stanno prendendo piede adesso nel partito in maniera più o meno evidente. come Björn Hõcke, che nel partito ha grande influenza, è un neonazista che elucubra teorie e slogan presi di sana pianta dall’immaginario nazista. Il problema politico è che la CDU ha avuto un atteggiamento abbastanza ondivago nei confronti di AdF.
A livello di vertice c’è sempre stata una negazione della possibilità di trattare con loro. Con Afd non si governa insieme, dicono. Poi però pian piano queste affermazioni sono rimaste sempre un po’ a mezza bocca in alcune regioni e in alcune aree del partito. E c’era chi diceva in fondo anche loro prendono voti come noi. Lo stesso Friedrich Mertz ha detto, be’, in effetti, forse, a livello locale dobbiamo cominciare a entrare nell’ottica di lavorare anche con loro. Suscitando un’immediata, netta, levata di scudi. È stato subito sconfessato dai notabili del partito, per fare immediatamente marcia indietro e dire in stile puramente italiano sono stato male interpretato. All’interno della CDU ci sono sempre state tendenze ultraconservatrici e, con la comparsa di queste altre forze di destra, queste tendenze ultraconservatrici tendono ad andare fuori di quello che era l’alveo della della CDU. E c’è chi pensa di evitare queste uscite guardando a intese con l’AfD. Potrei anche sbagliarmi, ma il rapporto con AfD potrebbe portare a spaccature profonde all’interno della CDU.
Una parte ha ben chiaro l’ancoraggio nella democrazia in determinati valori, nel valore dell’antisemitismo, ha ben chiaro che non si scherza con certe cose, su quella che è la Germania del dopoguerra. Un’altra parte, per così dire revanscista, vuole andare nella direzione opposta fino a cancellare sostanzialmente l’onta dell’olocausto, anche solo il suo ricordo.
Rispetto alla diffusione territoriale, c’è una parabola di AfD molto simile a quella della Linke, entrambi con insediamenti a Est ma poi espansi anche a Ovest…
Le accomuna solo la capacità di attrarre entrambe una quota crescente di elettorato che non si sente rappresentata dai partiti. Ma il caso della Linke ha una sua specificità a Est nel senso che nella sua storia politica conta molto il fattore della continuità con il passato della DDR. Caduto il Muro, affermatosi un nuovo sistema, anche economico e sociale, chiude un asilo, chiude un centro anziani, chiude un centro policulturale, la Linke subentra con la sua organizzazione di partito…
La Linke intercetta a Est anche l’ostilità al sostegno dato all’Ucraina…
A Est il fascino per la Russia è rimasto. Anche in questo c’è una continuità. Ma va notato che, se agli inizi la Pds era un partito fortemente connotato regionalmente, quando si è fuso con la costola dell’SPD di Oskar La Fontaine ha acquisito un pezzo di DNA dell’ovest, è stata sdoganata, è andata al governo di regioni e città, come Berlino, in Turingia il presidente è della Linke, Bodo Ramelow, dal novembre 2021 è inoltre presidente del Bundesrat.

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