Biden, un discorso importante

MARTINO MAZZONIS
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Il discorso di Joe Biden alla nazione, ieri in prima serata, aveva due scopi, ed era diretto all’opinione pubblica interna. Il primo obbiettivo: convincere gli americani dell’importanza per l’America di esserci, di sostenere Ucraina e Israele, di non cedere all’isolazionismo che serpeggia tra le fila dei repubblicani, spiegare che la richiesta di fondi che invierà al Congresso va concessa, perché gli alleati non si lasciano da soli e per continuare a mantenere un ruolo di leadership senza il quale i valori democratici rischiano di arretrare.

Un altro scopo del discorso è nel contesto della campagna elettorale, già in corso, per le prossime presidenziali: Biden traccia una linea tra sé e Trump, tra l’idea di un’America che si occupa solo di sé, volta le spalle agli alleati, non mantiene la parola e la sua, interventista “Ma senza mandare truppe a combattere”. Biden sa che dopo i dieci anni di guerra al terrore gli americani non vogliono truppe in giro per il mondo, sa che quelle guerre sono state un danno immenso per il prestigio americano, così come lo è stata la presidenza Trump.

Infine quando dice sono il primo presidente USA ad andare in zona di guerra dove non erano truppe USA a combattere, sono tornato stanotte da Israele, ho viaggiato dieci ore in treno dalla Polonia verso Kiev, sta dicendo: “Vecchio io?”

Nel corso del discorso ha fatto paragoni tra Israele e Ucraina, Hamas e Putin. Ha tuttavia sottolineato che Israele non deve commettere gli stessi “errori” commessi dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, quando, ha detto, gli americani erano “accecati dalla rabbia”.

Biden ha dichiarato: “Per quanto sia difficile, non possiamo rinunciare alla pace, non possiamo rinunciare alla soluzione dei due Stati” e che “gli Stati Uniti restano impegnati nel diritto dei palestinesi alla dignità e all’autodeterminazione”.

Dunque, parole di sostegno incondizionato a Israele, come è inevitabile che sia per la storia della relazione “speciale” tra i due paesi e per l’efferatezza dell’attacco da parte di Hamas, parallelamente e in maniera crescente, parole di cautela: se questo è il vostro 11 settembre, non commettete gli stessi errori che abbiamo commesso noi (firme molto autorevoli in materia di politica estera e opinionisti molto noti ed ebrei come Ezra Klein o Thomas Friedman l’hanno sostenuto in questi giorni in maniera molto netta).

Joe Biden sull’Air Force One al telefono con il presidente egiziano al Sissi

Come mai? Si riconosce senza dirlo ma provando a frenare, che il governo Netanyahu e i suoi ministri nazionalisti di estrema destra hanno portato avanti una politica sbagliata, che vedeva in Hamas un asset contro l’Autorità Nazionale Palestinese (che l’entità con la quale si negozia, mentre con Hamas non si parla) e che parallelamente ampliava insediamenti colonici protetti dall’esercito nell’area della West Bank governata dall’ANP.

Sottostante a qeesto ragionamento, la riflessione sull’11 settembre: accecati dalla rabbia abbiamo fatto guerre sbagliate, incendiato la regione, alimentato il terrorismo, peggiorato l’immagine degli USA nel mondo, rafforzato l’Iran e non abbiamo ottenuto nulla.

Infine c’è la ratio sull’oggi: nella regione ogni guerra e violenza ne produce di nuova; si rischia l’escalation; il lavoro di questi anni di riavvicinamento con la penisola araba rischia di saltare, si rischia che Hamas o qualcosa più radicale diventi maggioritaria anche in una West Bank dove i coloni si comportano in maniera inaccettabile. E militarmente è molto difficile capire cosa sia una vittoria, cosa fare di Gaza dopo.

Dal punto di vista americano, Biden intende far pesare proprio il sostegno dato e le nuove forniture militari per chiedere a Netanyahu (che è probabilmente destinato a uscire di scena passata questa crisi) di usare grande accortezza. Gli USA da anni vogliono occuparsi d’altro che non sia il Medio Oriente, ma continuano a rimanerci invischiati e senza di loro gli equilibri rischiano di saltare. L’idea del riavvicinamento tra Israele e Arabia Saudita è proprio la volontà di sottrarsi alla regione: se i due alleati degli USA, meglio armati di tutti, vanno d’accordo, tutto è più facile. Ma gli USA sanno che più la risposta di Israele sarà brutale e meno facile sarà portare avanti il processo di riavvicinamento. Così come sarà più complicato trovare dei modi per contenere l’Iran, dialogare su alcune questioni.

Gli USA temono anche per il loro standing globale, che le beghe politiche interne e la presidenza Trump hanno già ridimensionato. Devono sostenere Israele, ma se Israele esagera, si trovano a sostenere una reazione impopolare nella regione e altrove, sono i soliti forti che fanno male ai deboli, una narrazione in parte vera e in parte usata dai nemici degli americani. Poi c’è la partita Ucraina, su quella gli USA hanno messo assieme quasi tutti, costruito un fronte ampio, ma se Israele ucciderà civili, sarà difficile chiedere a India, Brasile, Indonesia di condannare Mosca senza condannare Tel Aviv. È un argomento vero: i diritti umani, il diritto internazionale, non possono valere a corrente alternata, è una cosa che è troppo facile da denunciare.

(Il testo è basato su considerazioni a braccio raccolte da G. M.)

Biden, un discorso importante ultima modifica: 2023-10-20T11:53:57+02:00 da MARTINO MAZZONIS
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