La rivincita del centrosinistra. Col proporzionale?

Si è sbagliato a teorizzare – a partire dai primi anni Novanta – che era giusto e conveniente dare agli elettori la possibilità di scegliere il governo e non soltanto i propri rappresentanti?
ADRIANA VIGNERI
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Proporzionale o maggioritario, dal punto di vista di chi si colloca a sinistra o nel centro sinistra? Come dice Carlo Rubini in questa rivista (Per non morire di destra destra) “il mio credo proporzionalista attuale deriva dalla presa d’atto che i sistemi maggioritari alla lunga hanno favorito una radicalizzazione del bipolarismo che non trova riscontri diretti nelle società attuali, quantomeno in Europa”. Proviamo ad approfondire un po’, iniziando da

Che cosa è successo nelle elezioni del 2022.

Nel 2022 la coalizione di centrodestra ha preso complessivamente 12.300.244 voti. La coalizione di centrosinistra se si fosse formata avrebbe potuto raggiungere i 13.000.000. 13.868.694 sommando i voti effettivamente avuti dai singoli partiti della possibile coalizione. Ovviamente se si fosse votata la coalizione che non c’è stata la somma avrebbe potuto essere un po’ diversa, ma sempre in grado di competere.

Quello che interessa ricordare sempre è che le espressioni di voto – l’orientamento degli elettori – tra le elezioni politiche del 2022 e quelle del 2018 sono cambiate di poco. Gli elettori hanno votato il centro destra tanto quanto lo avevano votato nelle elezioni precedenti. Non tanto da giustificare il predominio assoluto parlamentare, che è il risultato del 2022.

Il risultato del 2022 è il prodotto del mutato “sistema elettorale” (chiamato Rosatellum). È quella formula che cambia i voti in seggi, cioè in eletti che votano in Parlamento e determinano il Governo e la politica. Il sistema elettorale è ora maggioritario, ma i sistemi maggioritari non sono tutti uguali. Con il Rosatellum si è introdotto un sistema maggioritario fondato su collegi uninominali a turno unico, il che significa che – se non formi subito un’unica alleanza con la quale presentarti nel voto per il collegio, in cui il vincitore è una sola persona – o sei un partito del 40 per cento, 45 per cento, o perdi sicuramente. E non c’è un secondo turno (come c’è per i sindaci).

Sarebbe stato più saggio andare alle urne col proporzionale, ripartendo dal “come” gli elettori avrebbero ridistribuito le “carte del potere” parlamentare, soprattutto di fronte ad un evidente riposizionamento di alcune forze politiche. Ovvero non legiferare affatto e andare al voto col cosiddetto Consultellum, cioè le leggi elettorali di Camera e Senato nate per risulta da due sentenze della Corte costituzionale, già a forte orientamento proporzionale (v. Francesco Morosini, Rosatellum, Dio acceca chi vuole perdere, in questa rivista). 

Insomma, contarsi e di lì partire, col tempo di una legislatura nuova, per una più ponderata costruzione di interessi ed alleanze politiche al fine di fare una decorosa legge elettorale.

Avrebbe potuto essere un rischio in termini di governabilità (se nessuno avesse vinto chiaramente la tempestiva formazione di un governo – necessaria per evitare i giudizi negativi dei mercati finanziari – avrebbe potuto essere difficile), ed è presumibilmente questa la ragione per cui si scelse l’altra strada. 

Con il Rosatellum il pericolo di “nessun vincitore” non poteva essere del tutto escluso. Ma sempre più – avvicinandosi la data del voto – risultava chiaro che avrebbe vinto la destra, in grado di competere efficacemente per i collegi uninominali, mentre la sinistra, non alleandosi al suo interno, li avrebbe persi in massima parte. E così le elezioni.

Cosicché la sinistra è andata al voto sapendo in anticipo e con certezza che avrebbe perso, anche se la destra non avesse preso un voto in più della volta precedente. Veniamo dunque all’interrogativo fondamentale

Proporzionale o maggioritario? 

Ci sono ragioni politiche per dire che al centro sinistra “conviene” un sistema proporzionale piuttosto che un sistema maggioritario?

Dobbiamo ripetere qui che c’è maggioritario e maggioritario. Ad esempio, c’è grande differenza tra un maggioritario a turno unico o a doppio turno, come dimostra la legge sull’elezione dei sindaci, di cui tutti abbiamo esperienza. E non per nulla il centro destra si è sempre opposto all’adozione di leggi elettorali a doppio turno. E tuttavia in questa sede dobbiamo necessariamente semplificare, accontentandoci di dire che il maggioritario consegna più potere in mano ad una forza politica o ad una coalizione di forze, che può governare senza o con meno bisogno di mediazioni con gli avversari. Mentre il proporzionale – meglio se con soglia di sbarramento – affidando la scelta del Governo ai partiti presenti in Parlamento è accusato di tutti i mali della prima Repubblica: eterogeneità delle coalizioni e lunghezza delle trattative per formare il governo; breve durata dei governi e quindi instabilità; impossibilità per gli elettori di scegliere direttamente il governo e il suo capo; e minore efficacia delle politiche.

Ritorniamo ora alla domanda che ci siamo posti, al centro sinistra conviene il proporzionale? Ha dunque sbagliato la sinistra a teorizzare – a partire dai primi anni Novanta – che era giusto e conveniente dare agli elettori la possibilità di scegliere il governo e non soltanto i propri rappresentanti?

Alla domanda non si può rispondere in poche righe, ma si può almeno porre il tema e dire che queste valutazioni non possono essere fatte in astratto, debbono essere calate nella situazione delle forze politiche nei singoli paesi. Laddove le forze politiche sono più o meno frammentate un sistema maggioritario difficilmente può funzionare. In Italia non ha funzionato perché la capacità di coalizione esiste soltanto in un versante, non nell’altro. Produce quindi gli esiti distorti a cui stiamo assistendo.

Il tema va anche considerato da altro punto di vista, non soltanto nelle modalità e nell’efficienza del funzionamento del sistema rappresentativo, ma anche dal punto di vista dei contenuti prodotti dalle decisioni di governo. 

Quale dei due sistemi è più adatto, più efficiente nel produrre uno sviluppo, una crescita inclusiva e a ridurre le disuguaglianze? Vi sono su questo tema studi che individuano nella contrattazione resa necessaria dalle democrazie proporzionali (ricordate il consociativismo?) l’ambiente più favorevole alla redistribuzione, mentre le democrazie maggioritarie non hanno spazio per la concertazione, e producono una crescita economica con alte diseguaglianze. 

Certo, una crescita inclusiva richiede un welfare più costoso e maggiore difficoltà per le imprese ad adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato. Ma qui vi possono essere prassi istituzionali che attenuano tali difficoltà: concertazione a livello centrale che favorisce la responsabilizzazione sindacale; forme di partecipazione alla gestione delle imprese; politiche di istruzione e ricerca che aiutano le imprese. Che assicurano servizi.

Tutto da valutare e discutere, da approfondire in una prospettiva tale da

Valutare non soltanto l’efficienza del sistema, ma anche la qualità dei suoi prodotti

La cura migliore per le sfide che minano la legittimità sia del sistema economico che della democrazia è ricostruire un equilibrio meno asimmetrico grazie a un sistema istituzionale che favorisca la ricerca di un funzionamento del capitalismo (anche) al servizio del benessere collettivo.

ytali ringrazia Stefano Navarrini per il consenso a pubblicare sue illustrazioni (QUI per ulteriori informazioni sul suo lavoro)

La rivincita del centrosinistra. Col proporzionale? ultima modifica: 2023-10-25T19:09:03+02:00 da ADRIANA VIGNERI
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