Preambolo con ritratto. Sì, David Parenzo è davvero un simpatico opinionista, un conduttore televisivo di talk shows dotato di ironico autocontrollo e di verve comunicativa che gli hanno permesso di fare carriera nei canali radiofonici e poi nella prestigiosa rete di Urbano Cairo. Quando però gli capita, come avviene spesso in questi giorni cupi, di parlare di Israele e della tragedia in Medio Oriente, prevale il suo familismo identitario. Eccolo infatti alzare il tono, strabuzzare gli occhi, mentre accusa il popolo palestinese di non aver mai osato condannare le malefatte di Hamas. Convinto di sfoderare un sillogismo vincente, contrappone appunto ai terroristi il fronte avversario dove David Grossman e altri coraggiosi intellettuali non esitano di frequente a criticare anche con asprezza il governo di Netanyahu e le sue malefatte. Il fatto è che costoro sono una democrazia, in quanto vi circola il libero confronto, del tutto assente nell’infelice mondo palestinese. A Parenzo mi verrebbe da ribattere definendo astrazione illuminista un atteggiamento del genere, se sorvola sulla concreta particolarità del contesto, ignorandone geografia e storia, coi drammatici compromessi tra palestinesi stessi e le minoranze violente di Hamas. Anche se è sempre scorretto associare casi diversi, considero infatti l’antica assuefazione con cui gli ‘indigeni’ in Campania e in Sicilia si rassegnano alla camorra e alla mafia, senza manifestare una qualsiasi opposizione, sia pure con nobili eccezioni. Una zona grigia, omertosa tra padroni e servi, per dirla con Primo Levi, maturata in mezzo a paura e a opportunismo, ammirazione latente e avversione rabbiosa nei confronti di uno Stato esoso e lontano.
Compagnia di giro
Ora, Parenzo non è per niente un solista. Non può esserlo, oggi. Fa parte anzi di un’autentica compagnia teatrale di giro, che la pensa diversamente da lui, in una precisa assegnazione delle parti in commedia. Tant’è vero che l’uno ha un bisogno organico degli altri e viceversa. Si attirano, calamite in apparenza infastidite e impazienti. In realtà, una regia sagace e in attesa delle indispensabili inserzioni pubblicitarie, li aizza fingendo di moderarne gli eccessi e ne fa un prodotto esportabile. E siamo noi il pubblico che li foraggia cogli indici di ascolto, noi che beneficiamo delle performance di questo gruppo variegato e deciso ad assediarci.
Noi spettatori privilegiati e masochisti, ridotti ad un neurotico voyeurismo, nella misura in cui ci sentiamo protetti in case intatte, distanti per nostra fortuna dai bombardamenti e dagli eccidi, in una viziosa comfort zone, a seguire ogni sera non tanto lo scontro in diretta, ma gli echi ovattati e filtrati nei media. Telegiornali e trasmissioni compulsive vi crepitano intorno, in un chiacchiericcio penoso dove ognuno assume una determinata maschera, ovviamente ricavandone lauti contratti. E non appena sorgono nel teatrino illuminato dalle telecamere, reggendo in mano un ruggente microfono, in smaniosa attesa di urlare le proprie chiose personali di cui vanno fieri, sappiamo perfettamente quel che diranno. Meglio ancora, un’autentica delizia per l’audience allorché si pestano la coda, quando si interrompono con esagitata indignazione, incapaci di contenere la verità che dal cuore sale loro in bocca.
Ma li riconosciamo all’istante questi personaggi colorati, novelli ciarlatani di piazza sbucati dalla foire medievale. Son tornati nel terzo millennio gli Zanni chiassosi e debordanti, i Pulcinella affamati e i Matamori vantoni, i Traccagnini dementi e i Capitani smargiassi, cresciuti a dismisura nel frattempo, e sempre grazie ai tanti morti accumulati ai bordi delle apposite rubriche. Ma, si sa, “esse est percipi”, come sentenziava Berkeley nel Settecento. I dibattenti, spesso senza titoli accademici, o studi specifici accertati, e gli esperti improvvisati erano fantasmi per strada, in mezzo alla folla anonima, anni fa, mentre ora sono affermati divi luttuosi, promossi sul campo, esaltati nel loro narcisismo dall’imbarazzante euforia. Bolle psichiche che li rende impuniti.
Ogni rete dispone così di una sua Aria che tira, in medesime fasce orario, e reciproche sfrenate concorrenze, in fondo tutte eredi del Costanzo show, fucina fecondissima dei Frankenstein del piccolo schermo, tra tutti l’astuto Sgarbi che rende oro ogni sua epifania. Si pensi ai recenti Di Battista, agli Scanzi, allattati da uno scatenato grillismo allora in auge nella loro infanzia mal difesa. Costoro declinano da tempo concitati monologhi a smentire i Parenzo di turno.
Da questa drammaturgia incapace di ascoltare ma solo di sentenziare, spuntano pure in controluce residui anti-sionisti, col compito di rintuzzare il filosemitismo di bandiera. E nel contempo aprono siti personali, si gonfiano di followers, intrattengono sui social profili sempre più gonfi, rispondono a poste invasive, in un’incessante corrispondenza, dove tutti scrivono e nessuno pensa, la mano sempre pronta a premere il cellulare, fumante come un revolver.
Di fatto, ogni volta che la Storia colla esse maiuscola si rimette in moto, facendo sanguinare le sue tante vittime, subito questi avvoltoi travestiti da cronisti si attaccano convulsi al nuovo vettovagliamento. Recita, la loro, che si sporge sugli abissi della tragedia dietro la porta. Ospiti fissi in studio, firmano autografi allorché mettono in vendita i loro instant book che assemblano con pigrizia i tanti interventi registrati (dispongono di devoti ghost writers per la bisogna) e spesso persino sconfinano in palcoscenici alla lettera, dopo aver trasformato la tribuna televisiva in una scena metaforica per i loro soliloqui.
Non dimentichiamo che il dramma israeliano-palestinese in tal senso costituisce un perfetto pendant se pensiamo ad altri scenari drammatici, come la derelitta Ucraina, dove si continua a morire ma in questi giorni inevitabilmente passata in secondo piano. E sì che Kiev è precipitata da oltre un anno in una guerra altrettanto epocale, nel cuore dell’Europa, ben sfruttata dai vari Orsini e company. A tale proposito e nelle controversie che ne seguono, sono ben accette le contrapposizioni manichee tra Putin invasore ( o liberatore della Crimea e delle regioni ucraine di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson) e Zelensky (eroe romantico o astuto prevaricatore delle minoranze russe nel suo paese). E si ricorre senza pudore allo spettro del mostro nazista. In un pendolarismo tra i due canovacci, fa poi un certo effetto se vediamo l’icona demonizzante di Hitler accostata non tanto a Putin, che ci può stare, quanto alla stessa Israele, in questo caso non nel ruolo di vittima ma di perfetta erede.

Due orrori speculari
Torniamo al 7 ottobre. Due le immagini medusee evocate. Da un lato si enfatizza giustamente la spietata carneficina che falcidia un’intera generazione, spazzando via centinaia di ragazzi che ballavano liberamente. Inno alla giovinezza che si scopre fragile, in quanto non si conclude nei pregustati gesti d’amore ma nell’inopinata e sistematica distruzione dei corpi. Ma questi ragazzi hanno avuto il torto di organizzare la loro festa nel deserto del Negev, troppo vicino ai lupi, agli addestrati esecutori che hanno scatenato l’inferno irrompendo e facendo scempio dei presenti. Un rave party che se promosso in Italia avrebbe prodotto tra l’altro severe sanzioni, stante i recenti, grotteschi provvedimenti legislativi nostrani. Laggiù in compenso ha comportato una ecatombe inesorabile, senza possibilità di scampo alcuna. E non trascuriamo l’aspetto culturale di un simile evento, dal momento che nella barbaria di Hamas si annida la tabe talebana, l’oscurantismo patologico e anti-modernista che pretende le donne sequestrate in casa, inibite allo studio, e fasciate dal nero in tutto il corpo, volto compreso. Per non parlare degli attacchi scientifici condotti nei kibbutz di Kfar Aza, Be’eri, Re’im e Urim.


Luigi Manconi su Repubblica del 25 ottobre, li definisce lucidamente il crimine più efferato dopo la Shoah. Dall’altro, gli risponde idealmente il segretario dell’Onu António Guterres che da oltre mezzo secolo gli israeliani oppressi sarebbero divenuti oppressori, in una dialettica snervante e provocatoria, non facile da accettare. Lo affiancano in modo più esagitato gli studenti di Harvard, solo in parte e in ritardo tacitati dalla docenza dietro le minacce di blocco di finanziamenti ai colleges da parte dei ricchi ebrei. Giustificano, costoro, nei loro rumorosi cortei questo massacro colle tante sopraffazioni subite dal popolo palestinese, arrivando in certi casi ad applaudire Hamas stesso. Enfasi e foga adolescenziale che ricordano le tante Valle Giulia del nostro ’68, colla deriva terroristica di parte del movimento studentesco, specie nella componente cattolica. E salgono in mente allora gli arditi distinguo pasoliniani che si collocava a fianco dei poliziotti.
Ma nelle argomentazioni di costoro, così come dei chiosatori da tv, remunerati un tanto al minuto, alla strage inequivocabile della giovinezza e delle famiglie si contrappone quella degli innocenti, se è vero che in nemmeno due settimane sarebbero morti tremila bambini. L’iperbole, nella seconda tirata oratoria, viene raggiunta dalla distruzione dell’ospedale di Gaza, in una furente, reciproca accusa, ora errore di fuoco amico, ma efficace tuttavia per svuotare l’arrivo di Biden, ora voluto obiettivo israeliano, in quanto nei suoi sotterranei vi si celavano arsenali militari e covi terroristi. In generale, hanno un fondamento entrambe le posizioni, al di là dei registri adottati. Hegel affermava che il tragico avviene quando tutti e due i Soggetti in conflitto non mancano di ragioni. Si potrebbe solo introdurre, ma non fa testo davanti allo schiamazzo giornalistico e e all’odio dei cuori, il dato incontrovertibile costituito dall’apporto dell’Iran che ha armato Hamas per sabotare le trattative tra Israele e i paesi arabi. In queste ore, Israele prepara l’invasione finale per terra alla striscia di Gaza, area minuscola, quaranta chilometri per dieci, intasata all’inverosimile da un’umanità derelitta e schiacciata, polveriera destinata ad accendersi ulteriormente e a moltiplicare se possibile l’effetto catastrofe. Andare casa per casa in una guerriglia spietata potrebbe risultare inconcludente oltre che un’esibizione di muscoli guerrieri del tutto inefficace. Un’umana, nevrotica ritorsione, funzionale alle strategie di Hamas.
Aneddoto personale.
Sono stato anni fa invitato a un convegno universitario teatrale a Tel Aviv. In una bella serata in casa di un collega di origini spagnole, dunque una versione più scanzonata, sefardita, dell’ebraismo, cenavamo in un giardino cintato da folti gelsomini in fiore, in un profumo stordente. Vicino abitava proprio Grossman, che ho conosciuto in quell’occasione. Mi parlava, il grande scrittore, del figlio in partenza imminente per il servizio militare (gli sarebbe tornato cadavere). Alcuni degli ospiti commensali, russi, intanto esaltavano le opere agricole e industriali effettuate nella Cisgiordania occupata. Non avevano alcuna intenzione di lasciarla a selvaggi che ne avevano fatto un mero deserto.
Tertium non datur
Tempo di guerra, infatti. Ma tu da che parte stai? Prevale ormai dappertutto una polarizzazione che pretende e impone di schierarsi, o di qua o di là. In generale, durante le querelles televisive, non si fa altro che contare i morti, per lo più i vecchi e i bambini, sorvolando sul fatto che tutti i morti, specie se civili, sono eguali, smorfie di dolore e bocche espressioniste dilatate a lanciare grida inascoltate.. Si vorrebbero persino esibire le vittime sconciate, a suggello del demoniaco della vicenda in una bilancia mostruosa, (numero di cadaveri in due settimane che superano quattro volte quelli in un anno e mezzo dell’Ucraina). Bisogna necessariamente schierarsi o cogli uni o cogli altri, sotto l’imperversare dell’odio fazioso. Ognuno interviene all’inizio fingendo di riconoscere l’orrore subìto dall’altro, salvo poi aggiungere un “ma” eloquente. Sulla scena reale si combatte e si muore. Nelle tribune dove si sentenzia e si chiosa, si rilasciano pagelle e si redigono oroscopi. Nel frattempo, il termometro segna febbre altissima. L’altro è solo il nemico da abbattere ed eliminare, prima che lo faccia lui, non l’avversario con cui dialogare e convivere. Questo, perché ambedue i contendenti sbandierano la ferma decisione di andare fino in fondo, e pronunciano il fatale appellativo di martiri per i caduti: giurano di fermarsi pertanto solo coll’annientamento dell’altro da sé.

Grande confusione con digressioni italiane
Alle spalle si intravede la fosca e inquietante sagoma dell’ex capo stratega della Casa Bianca, nel tempo delirante di Donald Trump. Intendo Steve Bannon, spin doctor poi passato al volo anche nel brain storm della Meloni e di Salvini. Costui professa la demonizzazione dei rivali politici, dipinti con tratti satanici, ovvero ricorrendo alla paranoia del potere occulto in un clima da Guerre stellari o da serie neogotica. Ne derivano i gorghi del populismo nazionalista, con spezie ulteriori quali islamofobia, denuncia della multietnicità, omofobia e perché no? isterie di no vax alimentate durante la pandemia e allucinazioni terrappiattiste. Stiamo sconfinando in tal modo nell’ossessione complottista dove cresce l’estremismo di destra, marea aggressiva, foraggiata dalle fake news e dagli haters di tastiera che rovesciano infamie e turpitudine, marea che circonda democrazie scoperte all’improvviso precarie e minoritarie. Ci si scaglia così contro le élite, le caste, le specializzazioni tecniche e la globalizzazione del mercato. E questo per difendere noi gente comune minacciata da loro, gli immancabili Soros e la plutocrazia ‘semita’.
Qui scattano però le contraddizioni. Questo suprematismo bianco, con contorno di Ku Klux Klan, si spinge a riutilizzare lo scontro di civiltà teorizzato da Samuel Huntington nel suo omonimo libro del 1996. In effetti, il 7 ottobre ha visto un novello pogrom di inaudita ferocia, implacabile un po’ come l’11 settembre, col crollo delle Twin Towers, pittoresco sugli schermi televisivi, perché orrore truccato da cartone animato. Da qui, s’innesta la spirale mantrica di Dio, patria e famiglia, salvo poi incidenti privati come nel recente caso del fidanzato della nostra Primo ministro (declinato su suo vezzo al maschile). E allo stesso tempo si amalgamano scorie dai Protocolli dei Savi di Sion, l’ombra di Qanon, e l’assalto al Congresso degli Stati Uniti. Un apocalittico insomma immaginario, un millenarismo di stampo biblico nell’avversione alle forze istituzionali, sostenuta dagli elettori repubblicani di età avanzata, residenti lontano dall’East Coast, fino agli esponenti di movimenti spirituali New Age. Spinte del genere finiscono per mescolarsi colla sinistra radicale e militante determinando un rosso-brunismo antimperialista da campo Hobbit, con ex Lotta Continua che flirtano colle calcistiche curve nord e colle sette neonazi. Eppure costoro stentano a rendersi conto che devono appoggiare lo Stato di Israele nella sua politica coloniale e nello spirito guerriero ultimativo, idolo in precedenza polemico di schieramenti del genere.
Una sterile fantasia
Tra tanti vaneggiamenti e sproloqui, si intravede all’orizzonte un’incerta figura. E non è chiaro se sia previsione razionale, dettata dai corsi e ricorsi della Storia, o wishful thinking desiderio delle frange più nevrotizzate. Perché ci si domanda se non stia volgendo a termine l’impero americano, inaugurato sui disastri della seconda guerra mondiale, e all’alba del terzo millennio avviato al tramonto. Dopo ottant’anni di dominio verticale, ci si avvia forse verso una dispersione orizzontale, paratattica, del potere, una centrifugazione dinamica e conflittuale, senza più l’egemonia degli USA che sembra trascinare con sé l’intero Occidente, prospettando in cambio catastrofi e macerie. Del resto, dopo l’Ucraina e il Medio Oriente, una terza miccia, magari tra Taiwan e la Cina, e il Mondo potrebbe saltare. Allo stesso tempo, il rischio nucleare sempre più spesso evocato quale minaccia estrema, da prosopopea bullistica di bambini irresponsabili, diviene all’improvviso realtà probabile, in un’apocalisse che si sta paurosamente avvicinando.
Quanto a me, confesso di non avere soluzioni di sorta. Mi sento impotente come il Papa. No, sto vivendo solo una grande confusione, sapendo che non basta dichiararsi contro il fuoco reciproco, non basta proporre, ipotesi ora resa pallida e improponibile, i due Stati, Israele e Palestina, Golia e Davide, pacificati e riconosciuti in un mutuo accordo pacificatore.
Come sfogo però, ogni tanto penso con intensità alla casualità della mia nascita. Potevo vedere la luce non a Venezia ma in Nigeria. Se condividessero una simile intuizione tutti, gli italiani in primis, muterebbe all’istante il loro punto di vista. Non avrebbe più senso la crescente intolleranza verso i migranti che invadono su canotti traballanti la nostra “Nazione” (nella scansione clinicamente coatta della nostra Meloni) allo scopo di attuare la sostituzione etnica, martellamento da parte del governo. Non occorre neppure ricorrere alla pur sacrosanta e auspicabile pietas cristiana. Basta semplicemente mettersi nei panni dell’altro, alla lettera. Così ci piacerebbe proporre ai coloni israeliani, magari di origine russa, di svegliarsi una mattina, come nel film Una poltrona per due di John Landis del 1983, nelle decrepite baracche di Gaza, sotto i bombardamenti martellanti e implacabili, poco prima della temuta invasione via terra delle truppe del Netanyahu, da loro eletto. Ancora meglio, ma certo sarebbe la mia una pura hybris di un pensiero debole, perché non proporre ad un barbuto killer di Hamas di diventare per atto magico un ragazzo che danza nel deserto, flirtando colla sua ragazza, per vedersi all’improvviso sgozzato o decapitato da ossessi con gesti frenetici? Un giusto contrappasso. Impossibile da realizzare, certo, tutto ciò, lo so bene. Ma almeno allenta la tensione, per un attimo.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!
4 commenti
Condivido totalmente lo scritto di Paolo Puppa
Ho letto con attenzione e partecipazione
Grazie a Paolo Puppa non soltanto per la chiarezza del quadro storico che propone ma per l’umile ammissione di vivere confusamente quanto accade e di non poter prendere posizione. Mi rincuora perché vivevo lo stordimento provocato dai media.
Analisi precisa e molto condivisibile. Grazie Paolo, per la chiarezza della sintesi geopolitica.