Giancarlo Franco Tramontin. Solo Franco per gli amici, che apprendendo della sua scomparsa hanno comentato: “Anche l’ultimo se n’è andato!”. Era, infatti, rimasto l’ultimo di un popolo di artisti che nel secondo dopoguerra ha dato vita a Venezia, e soprattutto nella zona di San Vio dove c’è anche la sede della Accademia di Belle Arti, ad un grande e irripetibile fenomeno di creatività, inventiva, impegno in tutti i campi dell’espressione artistica e nella vita civile. Nella pittura ci furono i protagonisti del Fronte Nuovo delle Arti, tra cui il giovane Emilio Vedova, che fu anche, assieme a Giuseppe Santomaso, del Gruppo degli Otto formatosi attorno a Lionello Venturi, e Armando Pizzinato e Gino Morandis, il grande Edmondo Bacci e poi Virgilio Guidi e Mario De Luigi e ancora Bruno Saetti e Luigi “Gigetto” Tito, l’ultimo grande ritrattista nella scia della gloriosa tradizione veneziana. E non li ho nominati tutti! Il neonato Istituto di Architettura (IUAV) raccoglieva i massimi protagonisti dell’architettura e dell’urbanistica italiana: Giuseppe Samonà, Franco Albini, Ludovico Belgioioso, Giovanni Astengo e Luigi Piccinato, questi ultimi padri dell’urbanistica italiana, al tempo maestra nel mondo. Per non dire dell’arte di Carlo Scarpa, un grande del secolo passato.

Nella musica non c’era di meno: Bruno Maderna e Luigi Nono tentarono nuove vie, innovando la tradizione dei Gabrieli e di Monteverdi. Nella scultura ci furono, dopo l’ultimo Martini morto nel ’47, Alberto Viani e, infine, Giancarlo Franco Tramontin, che tennero in successione la cattedra di scultura presso l’Accademia. In questo ambiente effervescente Peggy Guggenheim coglie l’opportuntà per far conoscere in Italia e nell’Europa del dopoguerra le nuove esperienze artistiche newyorchesi, soprattutto l’action painting ed i suoi principali autori: Pollock e De Kooning. Compra casa a Venezia e vi porta la sua collezione. Così Palazzo Venier dei Leoni diventa uno dei più importanti musei di arte contemporanea italiani.
È in questo contesto culturale che il nostro si va formando, assorbendo criticamente gli stimoli a cercare nuove vie e nuove forme espressive. Il tratto caratteristico che lo distingue è aver innovato senza fare rivoluzioni: essere rimasto fedele alla “forma”, nel significato più alto e pregnante, quello della forma-contenuto, proposta ed elaborata con un “gusto” di grande modernità, sempre trattata con cura perfettissima e di grande bellezza. In ciò Franco è e resta un “classico”, nel senso che usa come vocabolario per le sue opere il reale e lo ripropone in forma d’arte usando la grammatica della bellezza, cioè l’epifania della sacralità dove si realizza l’aspirazione dell’uomo all’assoluto e dove accade che quest’uomo possa provare, come la chiamava Friederich Shelling, l’estasi artistica.

La sua maggiore e più intensa attenzione era rivolta al corpo femminile, assunto come portatore oggettivo di bellezza, poi magnificata e valorizzata con l’intervento artistico. In questo, come s’è detto, sta la classicità della produzione di Franco: nella grafica con straordinari disegni nei quali con non più di quattro o cinque linee, tracciate con grande sicurezza e senza sollevare la penna dal foglio, rendeva tutta l’armonia di un copro in movimento; nei papier découpé, di matissiana memoria, dove invece il corpo era elaborato in composizioni geometriche materialmente eseguite con assoluta perfezione nel taglio della carta e con grande attenzione all’armonia dei rapporti. Ma soprattutto nella scultura, la sua passione e la sua vera cifra. Nelle sue figure il volume va sempre più sottigliandosi, fino quasi a ridursi ad un foglio, levigatissimo, luminosissimo e lucidissimo, senza mai perdere la tridimensioanlità, dove la luce disegna ombre dilatate e sfumate conferenti al corpo femminile movimento e una delicatissima sensualità. Questa tecnica gli consente di portare al limite della rappresentatività e del valore epistemologico l’armonia e la bellezza del corpo, portando all’estremo dell’espressività e della significanza, anche nella terza dimensione, il valore della linea e del punto, a volte scavato altre volte in lieve emergere. Lo scopo ultimo è quello di esaltare la bellezza, fino ad attingere alle soglie del sacro. Qui si completa e si conclude la comprensione dell’opera, con l’avvertire la presenza di Heros, che è causa della stessa nostra esistenza.
Ma Franco va ricordato, oltre che come artista, anche come uomo. Era persona di grande gentilezza e affabiltà nei rapporti umani, non priva all’occorrenza di raffinata ironia. Ispirava simpatia subito a chiunque lo incontrasse per la prima volta e questa sua attitudine portava ad avere con lui rapporti sempre sinceri, fin quasi all’intimità. Dote questa che massimamente egli esprimeva nella relazione con Ester, sua amatissima sposa. Negli ultimi giorni, quando andavo a trovarlo in ospedale, spesso diceva, quasi con gioia, che presto avrebbe raggiunto Ester.
È accaduto sabato ventuno: ora sei con Ester, caro Franco.
Arrivederci.

Immagine di copertina: Giancarlo Franco Tramontin (photo da BlendConcept)

Un ricordo di GIANNI TESTA

Caro Giorgio,
vorrei aggiungere solo un breve pensiero al tuo ritratto di Franco, un ricordo di grande commozione. Ci conoscevamo forse da sempre. Avevamo la stessa passione per il mare, la vela. Magari c’incontravamo pure, tanti troppi anni fa, lungo le coste d’Istria e Dalmazia. Forse a tavola, sotto le fresche frasche di qualche gostiona affacciata sul blu, scambiando qualche celia , più o meno artistica, con la sua cara Ester. L’ho incontrato l’ultima volta mesi fa, con alcuni amici, per un caffè al bar di campo Santa Marina. Franco era sempre lui, attentissimo e curioso, si lamentava solo del suo passo ora più incerto. In un momento di disattenzione del gruppo, eravamo seduti vicinissimi, parlando di creatività mi venne spontaneo chiedergli, quasi sussurrando, come era avvenuto che avesse creato, appunto, la sua prima opera.
Ah ! Fu per caso. Ero giovanissimo, ragazzino di bottega presso un artigiano. Doveva allontanarsi per qualche incombenza e mi lasciò solo ad attendere alla bottega. C’era un bozzetto di cera ed, inavvertitamente, lo spostai verso una stufetta. Era inverno. Quando m’accorsi dell’accaduto, trasecolai vedendola quasi sciolta perdere ogni forma. La presi tra le mani e incominciai lentamente, molto lentamente a ridarle una nuova linea…
e con le dita riplasmava l’aria di fronte a me, come se fosse quel giorno. Poi si chinò ed estrasse dal suo fedele borsello un catalogo “ Ho pensato che potesse farti piacere..” e riprese ad accarezzare quelle immagini levigate in bianco e nero e a raccontarmi di quella luce. Altri me ne aveva regalati, ma questo, l’ultimo, compresi subito, aveva un significato del tutto particolare.
Prese uno stilo dal taschino, sollevò la copertina del catalogo e mi tracciò sul bianco candido un segno continuo, un’astrazione di perfetta femminilità. “…scusami, non ho più la mano ferma”. Grazie Franco, al prossimo orizzonte.
Gianni Testa

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Grazie!
1 commento
Meraviglioso medaglione!