Io, Stella e Gaber

Nel film “Io, noi, Gaber” emerge l’influenza nella vita di tanti dell’uomo gentile che sulla scena diventava sciamano. Sulla scia del film, un pezzo di storia riaffiorata alla memoria.
PAOLA BORINO
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Bionda, con i capelli lunghi, Stella era proprio carina, nonostante gli occhiali pesanti per la forte miopia. Si rivelò presto molto simpatica, pronta a cogliere l’occasione per giocare e divertirsi.
“Senza speranza”, fu la perentoria presentazione che ne fecero le insegnanti delle scuole elementari al passaggio alle medie.
Fin lì io non avevo mai avuto contatti con ragazzi down, e contare sulla mia sensibilità pedagogica non mi rassicurava, mi sentivo sbalzata in un universo ignoto che mi spaventava.

Ero alla prima esperienza di sostegno, incarico che avevo accettato di ripiego e priva di competenza, sperando di rientrare al più presto sulla mia cattedra ufficiale, saltata per compressione di classi.
Gli inizi furono infatti difficili: in un nuovo ambiente e con un’esperienza di emarginazione sulle spalle, Stella era spaesata.
Ricordo che una volta, durante l’intervallo, si sdraiò per terra con le braccia aperte, come a dire “Io esisto!”.
Quando parlava non era semplice decifrare le sue frasi prive di struttura.
Con voce bassa e inceppata metteva insieme, con ordine di priorità del tutto personale, parole che occorreva riordinare e restituire in forma interrogativa, per conferma di averne colto il senso.

Ma, al di là delle difficoltà ad articolare frasi e parole sciolte, Stella era in realtà molto comunicativa e tra noi fluiva una corrente di simpatia e complicità che nutrì profondamente la nostra relazione.
Sentii di avere forza e audacia sufficienti da far accettare la sua presenza in classe come cosa normale, coglievo ogni possibile occasione per farla interagire con compagni e insegnanti.

Dopo i difficili inizi, superate le inevitabili resistenze, piano piano anche i compagni di classe e i colleghi l’accolsero con maggior disponibilità e Stella iniziò a sentirsi a suo agio.
Andavamo anche fuori dalla classe per lezioni individuali che prendevano sempre una piega imprevista; le registravo perché potesse riascoltarle a casa, una cosa che le piaceva moltissimo perché ci divertivamo.

I genitori, come spesso succede, pretendevano troppo da lei, sembrava una tragedia il fatto che non riuscisse ad allacciarsi le scarpe; i ripetuti tentativi, sempre fallimentari, la mortificavano, inchiodandola alla dipendenza dagli altri, fino a quando un giorno, illuminata da una osservazione troppo chiara per essere evidente, chiesi a me stessa, prima che ai genitori:

Tra le tanti possibilità esistenti, perché scegliere proprio le scarpe con i lacci?

Cercavo quanto più possibile di agevolare la sua autonomia, ma evitavo forzature.
Ci volle tempo ed energia per avere la sua attenzione sull’uso del telefono a gettoni della scuola, quando voleva sentire la mamma.
Il giorno in cui la madre rispose direttamente a lei, il sorriso estatico con cui disse “pronto mamma” diede finalmente un senso alle nostre reciproche fatiche.
In palestra l’insegnante schierava la classe in due file separate per sessi, maschi da una parte, femmine dall’altra, e Stella andava sempre nella fila dei maschi.
Era testarda, cocciuta, difficile smuoverla dalle sue convinzioni, ma forse aveva capito da quale parte stava il Potere.
Nelle partite di pallavolo riusciva a fare poco, ma partecipare come riusciva, sostenuta dal mio tifo fanatico, la faceva uscire da quel cono d’ombra in cui a lungo era rimasta.

Liberarsi dei lacci era stato un passo importante, ci aveva sollevato da un problema, ma la vera svolta la portò la musica.

Stella infatti adorava la musica, cantava e ballava con grande coinvolgimento, e la musica era anche una mia grande passione.

Ho amato dagli esordi Gaber e rivedere il suo percorso artistico nel recente film di Riccardo Milani mi ha investito di ricordi e nostalgia: le ballate, l’ironia, i tic, la struggente dolcezza di alcune sue canzoni… cosi felici, fino al teatro.

Sono stata fedele spettatrice del teatro canzone, la prima volta a Milano, alla fine degli anni Settanta.

Ero ospite di familiari, lo spettacolo era in periferia, forse in un teatro tenda.
Implorai mia zia di accompagnarmi e, benché riluttante, lei mi accontentò.
Dopo aver preso posto mia zia si girò ad avvolgere con lo sguardo tutta la platea, poi mi sussurrò: “Non c’è una sola persona chic”.

Era una donna bella, elegante, lì si sentiva fuori posto, ma lo spettacolo le piacque.
Stella non conosceva Gaber, fino a quando non le feci ascoltare lo Shampoo…

La musichetta cadenzata che introduce il pezzo la mandava in visibilio, poi cantavamo insieme, io, lei e Gaber, fino all’apoteosi: sciacquo, sciacquo,…
In quel trionfo di sciacqui e risciacqui Stella si sgolava roteando il braccio sulla testa. E fu l’inizio di una grande passione per Gaber.

Avevo sbagliato però a pensare che, a partire dallo Shampoo di Gaber, Stella potesse imparare qualcosa sull’ordine temporale di azioni concatenate.
Nulla di più utopico: quando le chiedevo la prima cosa da fare per lavarsi i capelli, la risposta era sempre in musica: Sciacquooo, col braccio roteante sulla testa.
Sì, le passioni non si piegano a finalità utilitaristiche.

In quel periodo Gaber dirigeva i due teatri veneziani, Goldoni e Toniolo, e a scuola era arrivata la locandina di un suo incontro con gli insegnanti sul teatro.

La locandina era affissa in sala insegnanti in scarsa evidenza, e nessuna delle persone cui regolarmente la segnalavo l’aveva già notata prima.

Quell’anno avevo ottenuto di fare una esperienza di teatro con la classe di Stella, approfittando della competenza e compresenza della collega di educazione artistica, la quale era coautrice di un libro sull’animazione teatrale, che difatti usavamo.

Era il modo più bello di stare insieme, senza altre finalità se non valorizzare il corpo, le sue possibilità di esprimersi e comunicare.

Un giorno che invece ero impegnata a leggere con Stella al tavolo della sala insegnanti, lei di colpo, dopo una leggera gomitata, mi indicò la locandina dicendo con chiarezza: “Paola, Giorgio Gaber”.

Non potevo crederci: vedeva poco, parlava e leggeva male, ma era l’unica della scuola che aveva visto e letto quella locandina distante, e nascosta dietro la porta.

Potenza delle passioni!

Andai all’incontro con Gaber, alla fine attesi che restassimo soli e mi avvicinai per regalargli il libro di animazione teatrale. Ero emozionata e non avevo molto da dirgli.

Gaber colse il mio imbarazzo e, a sua volta imbarazzato, cercò di dire lui qualche parola di ringraziamento e apprezzamento. Fu gentile, dolce e paziente.

Sulla scena invece Gaber era uno sciamano.

Accompagnava la voce con una fisicità dirompente, trasfigurava i lineamenti del viso e disarticolava il corpo asciutto e duttile, contorcendosi in maniera flessuosa e buffa, o in modo teso a rischio di… perdere i pezzi.

Era appassionato, sincero, viscerale, mai compiaciuto, ancor meno compiacente, innescava dubbi e riflessioni scomode.

Dalla platea noi, spettatori poco eleganti come già aveva notato mia zia, neppure comodi eravamo: tutto quello che veniva dal palco ci riguardava, ci sentivamo coinvolti fino all’ultima goccia di sudore, fino all’urlo liberatorio con cui concludeva ogni spettacolo.

L’energia che Gaber scatenava a teatro ti investiva, trascinava, destabilizzava, ti cambiava la vita.

A conclusione del laboratorio di teatro a scuola, ci fu il desiderio di mettere in scena uno spettacolo per i genitori.

Stella aveva poche battute, ma proposi un finale tutto per lei: scena scura e spoglia, solo una valigetta illuminata al centro.

Lei entrava, si avvicinava alla valigetta, la apriva, prendeva il sassofono custodito dentro e fingeva di suonarlo, con il sottofondo della musica reale di un sax.

Bravissima, grande applauso.

“Non sai cosa ti sei perso” furono le parole di sua madre al papà che non aveva potuto vedere lo spettacolo.

Agli esami conclusivi della scuola media, Stella fu licenziata con il Buono.

Fu il riconoscimento di un percorso non solo scolastico, dall’isolamento iniziale alla socialità finale e ci diede grande gioia.

Dopo le medie Stella ebbe ancora soddisfazione col teatro, partecipando a corsi e spettacoli di danza integrata, con ballerini professionisti.

Dopo i tre anni con lei, io tornai alla mia cattedra, ma quella esperienza è rimasta tra le più significative della mia storia professionale.

In quel periodo avevo anche collaborato con l’Università di Padova.

Forte della mia passione per la geometria dinamica di Emma Castelnuovo, con le sue trasformazioni, avevo creato materiale didattico che venne inserito in un Kit adatto per lo sviluppo delle strutture mentali di bambini dai quattro agli otto anni.

Fu presentato in convegni e altre situazioni didattiche e preso in uso in diverse scuole italiane. Ma aprire un quadrato e trasformarlo in una stella non entusiasmò mai Stella come lo Shampoo di Gaber.

A distanza di tanti anni non so dire perché volli regalare a Gaber, uomo di teatro, quel libro didascalico, comprensivo di sottolineature e appunti, di cui immagino si sia presto disfatto.

Certo, fu un pretesto per avvicinarlo, ma sarebbe stato più semplice chiedere una dedica firmata per Stella.

Forse avevo desiderio di offrire io qualcosa a lui, ed era qualcosa che riguardava anche Stella, per quei momenti di indimenticabile vitalità creativa che grazie a lui avevamo vissuto insieme.

Io, Stella e Gaber ultima modifica: 2023-11-13T20:11:36+01:00 da PAOLA BORINO
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