Non ce l’ha fatta, e forse non poteva farcela, Jannik Sinner. Del resto, era difficile immaginare che Nole Đoković, un personaggio di rara antipatia, dal quale ci divide tutto ma a livello tennistico formidabile, potesse perdere due partite consecutive. Diciamo che in settimana ci eravamo illusi, diciamo che il funambolo altoatesino ci aveva fatto sognare, diciamo che gli vogliamo bene e gli occhi del cuore hanno, comprensibilmente, prevalso sulla razionalità: è bello, è giusto, è doveroso e continueremo a comportarci così. Diciamo anche che stiamo parlando di un numero uno in potenza e che il serbo, vincitore delle ATP Finals per l’ennesima volta, non potrà durare in eterno, dunque prima o poi dovrà abdicare e allora, probabilmente, nessuno potrà frapporsi fra il fuoriclasse di San Candido e la gloria.

Perderà ancora, certo, subirà altre delusioni, senz’altro, ma il futuro è suo e davanti ha tutto il tempo per dare il meglio di sé. Fra i tanti motivi per ringraziarlo, c’è quello di aver reso l’Italia un paese un po’ meno calciocentrico. Dopo la sua ascesa, dopo averlo visto in chiaro per una settimana, tanti ragazzi e ragazze avranno la tentazione di imitarlo. Di Sinner non ne nasce uno al giorno, ma qualche altro talento di sicuro verrà fuori, e questo è un bene per una Nazione incupita, demotivata e in preda a un inverno demografico che ne mette a repentaglio il ruolo nel mondo. Lo ringraziamo anche per la sua correttezza: avrebbe potuto perdere furbescamente contro il danese Rune ed eliminare dal torneo il tremendo Đoković, invece ha fatto il suo, volendosi confrontare sempre con i migliori, senza mai risparmiarsi. Un esempio da seguire, pertanto, un punto di riferimento per un Paese in cui troppo spesso la furbizia tende a prevalere sul talento. Lo ringraziamo poi per la sua generosità: ha dato tutto ed è giunto in finale un po’ stanco, dopo averci regalato la gioia di crederci con lui. Lo ringraziamo, infine, per aver dimostrato a chiunque di che pasta sia fatta la generazione che si affaccia oggi alla vita: questi ventenni su cui troppo spesso tendiamo a vergare giudizi superficiali e insensati, colmi di arroganza e pregiudizi. L’auspicio è che Sinner aiuti anche noi giornalisti a essere meno sentenziosi e più attenti a ciò che si muove nella società e, in particolare, in un universo così distante dal nostro ma non per questo privo di spunti interessanti.

Jannik ha giocato alla grande, vinto contro ogni rivale e perso con l’unico avversario col quale, probabilmente, era impossibile fare di più. Applaudirlo, insomma, è il minimo, rendergli omaggio è bellissimo, incoraggiarlo è nel nostro interesse, avendoci restituito un orgoglio che avevamo dimenticato.
Quanto alla citta di Torino, che ha ospitato la competizione, ha dato prova della sua solidità organizzativa, della sua capacità di gestire alla grande eventi di questo genere e del suo garbo, così simile a quello del ragazzo dai capelli rossi di cui ci siamo innamorati. Portiamoci dentro questa felicità collettiva, non dissipiamola. Abbiamo trovato un tesoro e abbiamo il dovere di valorizzarlo, senza mettergli pressione e senza pretendere che diventi il migliore in assoluto nell’arco di un torneo. Lo diventerà, non c’è dubbio, conquistando titoli su titoli e lasciandoci a bocca aperta per le sue qualità e la sua naturale gentilezza. Per ora, rendiamo onore alla classe di un campione di cui non apprezziamo l’indole spaccona ma di fronte al quale, sportivamente, non possiamo che inchinarci.
Il motto di Jannik, a pensarci bene, è lo stesso di Mandela: “Non si perde mai. O si vince o si impara”. E lui, in questa settimana, ha imparato eccome. La vittoria è a un passo.

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