Democrazia indivisa. Il ’68 del Movimento dei Finanzieri Democratici

 

“Democrazia indivisa. Il ’68 del Movimento dei Finanzieri Democratici” di Claudio Madricardo, con prefazione di Giuseppe Giulietti, è il terzo libro cartaceo che ytali. propone ai suoi lettori.

Racconta vicende di un periodo molto intenso della nostra storia recente, che videro protagonisti dei militari di uno dei corpi costitutivi del nostro sistema democratico, la Guardia di Finanza. Vicende che furono il risultato delle grandi trasformazioni che segnarono quell’epoca e che al tempo stesso contribuirono ad alimentarle. Un capitolo importante della storia degli anni Settanta, finito inspiegabilmente nell’oblio. Il lavoro meticoloso e appassionato di Madricardo, basato su una rigorosa ricostruzione documentale di quelle vicende e sulla raccolta di testimonianze dei protagonisti di allora, lo riporta alla memoria, restituendo a fatti di cinquant’anni fa la freschezza dell’attualità. Un’operazione resa possibile dalla leggibilità scorrevole e coinvolgente di uno stile giornalistico d’alto livello, ma anche da una realtà contemporanea che – purtroppo – ripropone quasi intatte molte delle questioni che sollevarono coraggiosamente, allora, i Finanzieri Democratici.

Il libro è acquistabile su AmazonIbsLibreriauniversitaria e Feltrinelli Online

Qui riproduciamo alcuni brani dell’introduzione.

 

QDemocrazia indivisa. Democrazia in divisa. Le uniformi della Guardia di Finanza hanno una lunga storia nel tragitto della nostra democrazia: a volte luminosa e a difesa delle nostre istituzioni, come fu durante la Resistenza, a volte inquietante, come accadde con gli scandali che coinvolsero il Corpo in episodi di corruzione e nella vicenda della loggia P2. Appartiene di sicuro alla prima categoria la storia del Movimento dei Finanzieri Democratici.
Due sono le date che lo definiscono: la prima è il 16 aprile 1976, quando a Venezia, lungo le calli percorse normalmente dai militari del Corpo per andare nelle rispettive caserme, compare dal nulla, come una bomba, un volantino di protesta che esprime il profondo malessere che serpeggia e che avanza alcune rivendicazioni. Quel volantino, affisso sui muri in strada e gettato in gran copia da una mano anonima nel cortile del comando, segna la nascita dei Finanzieri Democratici, come parte di un unico grande movimento generato dalla rivolta del ’68 e dal suo messaggio libertario, destinato a intaccare le immutabili basi su cui poggiava la gerarchia militare. Un unico, grande, lungo sconvolgimento che ha investito i corpi separati dello Stato. Coinvolgendo, nel suo afflato riformatore, Polizia, Aeronautica, controllori del traffico aereo ed Esercito. Per lambire persino l’Arma dei carabinieri. Un fenomeno complesso, generato dall’onda lunga del ’68, che ha avuto come denominatore comune il porre all’ordine del giorno la necessità della democratizzazione della società in ogni suo aspetto, compreso quello militare.
L’altra data è quella del 16 marzo 1978, giorno in cui fu rapito Aldo Moro. Un evento che ha segnato il passaggio da una stagione politica il cui perno era la speranza del cambiamento, alla successiva epoca di chiusura e riflusso.
Tra queste due date si situa la parabola del Movimento dei Finanzieri Democratici, dagli esordi veneziani fino all’acquisizione di una chiara coscienza di quale fosse la vera posta in gioco, che superava largamente ogni mera difesa corporativa per affrontare la problematica della modernizzazione dello Stato italiano, basata su una corretta ridistribuzione di carichi e risorse. […]
Il segreto del successo dell’originario Movimento dei Finanzieri Democratici e della sua repentina diffusione a livello nazionale sta in quella intuizione che lo ha portato a porre la questione della fiscalità nel nostro paese come intrinsecamente legata alla necessità di una smilitarizzazione della GdF.
Il Movimento riusciva a legare gli interessi particolari di una categoria, soprattutto dei subalterni, con l’interesse generale del paese, mettendo in luce l’incongruità della struttura militare della Finanza in relazione al suo fine istituzionale. E vedeva nella smilitarizzazione la premessa per un’ampia professionalizzazione che avrebbe consentito di far fronte alle necessità di uno Stato moderno finalmente funzionante, specchio di una società più democratica perché finalmente più giusta sul piano economico e fiscale.
Negli ultimi decenni, prima di tutto anche per la spinta del Movimento, è venuto meno il clima “feudale” che dominava la GdF ancora negli anni ’70. E già questo non è poco. C’è stato un relativo adeguamento ai tempi, ma si è trattato di assestamenti che non hanno cambiato in profondità la sua struttura essenzialmente autoreferenziale: sono ancora i “mezzi”, gli interessi particolari che essi esprimono, a fare da tappo, a condizionare i “fini” arrivando a inibirli, e non viceversa. L’atto fondativo della Stato politico è l’affermazione della priorità dei fini sui mezzi. Posto che non è detto che di per sé una struttura civile funzioni meglio di una struttura militare, ciò che rende migliore la scelta dell’una o dell’altra è il fine a cui la struttura dev’essere destinata. La lotta all’evasione fiscale, e in generale contro i reati tributari, non richiede affatto un’organizzazione militare. […]
Se quella battaglia, più di quarant’anni fa, è stata persa a un metro dal traguardo per il mutare profondo del clima politico in Italia, non per questo i temi che l’hanno caratterizzata sono oggi obsoleti. Continuano, anzi, a determinare quell’aspetto irrisolto che sospinge il nostro paese ai margini delle nazioni europee più evolute.
[…] Se nel giudizio degli artefici di quelle battaglie il Movimento ha chiuso con un sostanziale fallimento, avendo mancato l’obiettivo della smilitarizzazione e della sindacalizzazione, non per questo è stato inutile.

[…] Grazie a questo processo di lotte che ha visto il Movimento dei Finanzieri Democratici in prima linea, il Corpo della Guardia di Finanza è cambiato, ha fatto il suo esordio una qualche democrazia interna, conseguenza anche della lunga pratica della legge della rappresentanza militare introdotta nel 1978.
Se sul piano della questione fiscale il nostro paese, anche alla luce dei provvedimenti messi in campo dall’attuale governo giallo-verde (non senza una dose di colpevole rossore), ha ancora molta strada da fare per giungere a essere uno Stato pienamente moderno e non solo formalmente democratico, gli obiettivi generali di equità che già il Movimento aveva allora espresso risultano quanto mai attuali.
[…]
Questo libro nasce dalla convinzione che la democrazia non si può separare dalle forme concrete in cui essa si attua nelle istituzioni, compresi quelli che un tempo erano chiamati i corpi separati dello Stato. Raggiungeremmo un grande risultato se contribuisse al riavvio di quell’antico e mai sopito dibattito sulla smilitarizzazione. Di sicuro vuol essere un omaggio a tutti coloro che, dalla nascita del Movimento in poi, per essa hanno lottato e ci hanno fermamente creduto.

Le recensioni finora apparse

Franco Avicolli, ytali.

Paolo Andruccioli, Rassegna sindacale

Bruno Ugolini su, strisciarossa

Loris Campetti, il manifesto/Bologna

Carlo Rubini, Luminosi Giorni

Alberto Pedrielli, leggilanotizia

Lorenzo Lorusso, Corriere nazionale 

Luigi Pandolfi, il manifesto

Francesco Neri, Polizia e Democrazia

Democrazia indivisa. Il ’68 del Movimento dei Finanzieri Democratici ultima modifica: 2019-01-15T10:24:47+01:00 da GUIDO MOLTEDO