Due estati fa mentre stavo impazzendo
pensavo che il fantasma di mia sorella vivesse nel nostro giardino.
Sentivo le spalle calde, e confidavo.
Lasciatemi dire che era reale, come una lingua
che puoi mordere. Lasciatemi dire che era
molto brava a hockey, e divertente come un campeggio.
Dipingeva ruvidamente, ma bene, le piacevano i ragazzi
con la barba ma non il sesso con i ragazzi con la barba.
Le sue mani erano grandi come le mie.
La sua voce sembrava indifferente alla gravità
e si sarebbe spesso scoperta
attirare l’attenzione dell’intera tavolata. Mi raccontava
che il suo uomo ideale era Picasso, e che il suo
più grande rimpianto era non aver messo il suo nome
fermamente dentro la vita, scivolandoci sotto
prima di nascere. E mi rammarico
nel giardino tra fuochi d’artificio esplosi,
la faccia inumidita, ogni cosa infranta
su questa parete, un’altra estate che arriva.
–
“Mia sorella”, di Jack Underwood

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