falsi profeti
Cosa ci fanno due candidati alle presidenziali francesi in Armenia? Nei giorni scorsi, Valérie Pécresse ed Éric Zemmour hanno entrambi visitato Erevan, capitale del paese segnato dalla recente guerra con l’Azerbaigian. Si tratta di un “sostegno ai cristiani d’Oriente appena prima di Natale”, ha spiegato la leader del centrodestra. Zemmour invece c’è andato giù più duro, dicendo che l’Armenia è una “nazione cristiana nel mezzo di un oceano islamico”. L’obiettivo dei due è chiaro: Natale si avvicina, gli elettori cattolici vanno corteggiati.
L’Armenia, terra lontana, diventa allora il pretesto perfetto per una strumentalizzazione politica in chiave nazionale. Pécresse e Zemmour usano i cristiani d’Oriente come scusa per mettere in scena uno scontro di civiltà tra musulmani e cattolici più ampio. Non è una strategia nuova. Lo aveva fatto già nel 2017 il predecessore di Pécresse, quel François Fillon che mise pure lui l’accento sulla situazione dei cristiani d’Oriente, allora minacciati soprattutto dal sedicente stato islamico.
Si tratta di un strategia che va ben oltre il tentativo di strizzare l’occhio all’elettorato cattolico, il quale ha già di per sé una certa importanza. In Francia i cattolici praticanti rappresentano infatti circa il 5 per cento di coloro che vanno a votare. Un gruppo ristretto, che può tuttavia risultare decisivo se sceglie di sostenere un candidato specifico. Nel 2017, ben il 48 per cento di loro votò per François Fillon. Oggi la situazione è più fluida. Secondo dati Ipsos ripresi da 20minutes, tra i praticanti Pécresse è in testa, con il 29 per cento delle intenzioni di voto. La tallona il nuovo campione dell’estrema destra – Éric Zemmour – che è al 23 per cento. Molto più avanti di Marine Le Pen, il cui partito non ha mai goduto di particolari consensi tra questa frangia dell’elettorato.
Il successo di Zemmour si spiega così: sui temi legati alla società (diritto all’aborto, parità uomo-donna, diritti Lgbt), egli è molto più conservatore di Le Pen, la quale invece, rispetto al padre, cerca da sempre di stemperare i toni. L’approccio di Zemmour piace ai cattolici praticanti. Ad esempio, nell’evento che ha aperto la sua campagna, egli ha promesso, tra le altre cose, che se sarà eletto s’impegnerà a “cacciare dalle scuole l’islamo-gauchisme – neologismo che punta il dito contro i presunti legami tra Islam e sinistra – e l’ideologia Lgbt”. Cerca così di rassicurare i cattolici francesi rispetto al rischio di vedere sé stessi e i propri valori marginalizzati.
C’è però un dato ancora più importante e sconcertante – che va oltre l’elettorato cattolico e accomuna una fetta crescente della destra europea, e non solo. Zemmour, Meloni, Orbán usano il cristianesimo e i simboli cristiani in chiave nostalgica, per invocare un passato a loro avviso glorioso, quando i diritti delle donne o quelli Lgbt non infiammavano il dibattito pubblico e non c’erano immigrati di origine musulmana. La religione è allora arma potente nello scontro identitario, finalizzata a conservare un sistema basato sull’eteropatriarcato bianco.
Prendono in ostaggio Gesù, il Natale e i simboli religiosi. Viktor Orbán con la sua “Europa cristiana”. Matteo Salvini col rosario, Donald Trump che brandisce la bibbia. Giorgia Meloni e la sua ormai celebre “sono una donna, sono una madre, sono cristiana”. Poco conta se fanno appello a norme desuete che neanche loro sono in grado di rispettare. Salvini è divorziato, Meloni è una madre non sposata. In barba alla “famiglia tradizionale” che non perdono occasione per difendere. Anche i loro elettori sono sempre meno praticanti. Ma quello che importa è far finta di poter fermare il tempo, aggrappandosi a un simulacro di “tradizione”.
La prima vittima di questa strumentalizzazione è proprio la chiesa cattolica. Essa, a suo modo, prova a smarcarsi dall’abbraccio soffocante della destra e riaffermare la propria estraneità allo scontro elettorale. Lo si vede nell’impegno di papa Francesco ad accogliere i migranti o nelle sue timide aperture a favore delle donne e delle persone Lgbt. È forse, però, troppo poco, troppo tardi, per prendere le distanze dai “conservatori in nome di dio ma senza il papa”. Alle belle parole del santo padre non sono seguiti i fatti. Lo sforzo di riforma della chiesa sembra ormai fuori tempo massimo. Ci vorrebbe un miracolo.

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