prima donna
Per chi sperava in una donna a palazzo Chigi, Giorgia Meloni premier è come uno di quei sogni che diventano incubi. Ironia della sorte, il soffitto di cristallo viene infranto dalla prima premier post-fascista nella storia della Repubblica italiana, che guiderà l’esecutivo più a destra dal 1946. Abbiamo atteso settantasei anni di storia repubblicana per questo?, ci si chiede a sinistra e più in generale tra coloro che attendevano la fine del monopolio maschile del potere.
La provenienza politica di Meloni getta comprensibilmente un’ombra sulla svolta epocale rappresentata dalla sua ascesa al potere. Ma non la cancella. Né ne intacca i fondamenti. Con la vittoria di Meloni l’Italia sana un vulnus democratico secolare, che aveva per troppo tempo perpetrato una discriminazione di sesso nell’attribuzione delle cariche più alte dello stato. Indipendentemente dall’appartenenza partitica di Meloni, la sua vittoria è quindi un dirompente segnale di modernizzazione. Scrive la storia. Cade per sempre una barriera. Da ora in poi anche per gli italiani sarà “normale” avere un presidente del Consiglio donna. Che Meloni lo voglia o no, questo aprirà la strada ad altre, probabilmente più progressiste di lei.
È un grande peccato che la sinistra, la quale storicamente ha fatto di più per far avanzare la parità di genere, si sia fatta scippare quest’occasione. Soprattutto da una politica come Meloni, così agli antipodi rispetto alla causa femminista. Ma le regole del gioco democratico sono queste: la vera uguaglianza è quando tutti possono partecipare alla partita, anche coloro considerati dalla parte “sbagliata”.
Meloni ha costruito sulle spalle dei giganti. Sono anni che donne di diverso colore politico, vicine o lontane dalle lotte per la parità, hanno fatto di volta in volta un miglio in più verso la stanza dei bottoni. La prima presidente della Camera fu Nilde Iotti, nel 1979-1983 e poi ancora nel 1983-1987. Hanno seguito Irene Pivetti (1992-1994) e Laura Boldrini (2013-2018). Nel 2018, poi, Elisabetta Alberti Casellati è diventata la prima donna a presiedere il Senato italiano. Tra le ministre, la prima fu Tina Anselmi, responsabile del dicastero del Lavoro, dal 1976 al 1978, in uno dei governi Andreotti. Finora, l’esecutivo Renzi è stato il primo e l’unico a rispettare pienamente la parità di genere, con otto ministre donne e otto ministri uomini.
Quel che è certo è che, se Meloni diventerà presidente del Consiglio, l’Italia abbandonerà la compagine della vergogna costituita da quei paesi che non hanno ancora indicato una donna per lo scranno più importante. Solo nel mondo occidentale, sono ancora tanti ad aver mancato l’appuntamento. Basti pensare agli Stati Uniti, alla Spagna o alla Francia, che nonostante abbia attualmente una prima ministra – Élisabeth Borne -, non ha mai avuto una donna presidente della repubblica.
La vittoria di Meloni è il segno di una modernità sempre più difficile da procrastinare, soprattutto in Europa. Basti pensare che nelle istituzioni dell’UE, tre delle quattro cariche apicali sono occupate da donne: Ursula von der Leyen (presidente della Commissione europea), Roberta Metsola (presidente del Parlamento europeo) e Christine Lagarde (presidente della Banca centrale europea). Tre donne, di destra.
E forse è questa la dinamica più sorprendente, nella quale s’inserisce anche il successo di Meloni. Nel nostro continente, è ormai da un po’ di tempo che la destra, molto più della sinistra, punta su leader donne. La Cdu con Angela Merkel in Germania. I conservatori britannici, che con Liz Truss sono già alla loro terza premier donna. La Polonia, che ha avuto in tempi recenti addirittura due premier (Beata Szydło per i conservatori del PiS ed Ewa Kopacz per i popolari). Per non parlare dell’estrema destra francese di Marine Le Pen o di quella tedesca, dove l’AfD ha come co-presidente Alice Weidel.
Tutte donne che, in una maniera o nell’altra, portano avanti una visione conservatrice sul tema della parità di genere. Liberate ma non liberatrici. Fedeli ai valori del patriarcato. Una posizione del resto coerente coi valori dei loro partiti.
Una posizione che rende però difficile, se non impossibile, a chi ha cuore l’emancipazione di festeggiare l’exploit della “prima donna” italiana. Resta il fatto che sarebbe sbagliato sottovalutarne la portata, solo perché la storia non è andata come sperato. Questa è una delle sfaccettature che l’uguaglianza può assumere. Per chi è rimasto deluso, è ora il momento di scommettere su una leader diversa, emancipata ed emancipatrice. Da qui, forse, la sinistra italiana potrebbe ripartire.

ORGOGLIO ARCOBALENO
di Matteo Angeli
2022 – ytali editore

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