Politically Correct
Una rubrica di Matteo Angeli
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rivoluzione a Cuba

MATTEO ANGELI

Mentre la Florida guida la regressione dei conservatori americani sui diritti Lgbt, a circa 150 chilometri, Cuba si prepara a una rivoluzione arcobaleno.
Il 25 settembre i cittadini dello stato socialista saranno chiamati a esprimersi attraverso un referendum che, in caso di vittoria dei sì (cioè il 50 più uno per cento delle schede valide), porterà tra l’altro alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso e all’introduzione della gestazione per altri. Ai cubani verrà chiesto se sono d’accordo con la riforma del codice della famiglia, che include questi cambiamenti. 

Il diritto della famiglia a Cuba era già stato modificato nel 2019. Fino ad allora, esso definiva il matrimonio come “un’unione volontaria tra un uomo e una donna”. Un linguaggio rimosso attraverso un’altra consultazione popolare. 

Ora toccherà alla riforma del codice della famiglia approvata dai legislatori lo scorso dicembre.

La decisione finale sarà lasciata nelle mani della popolazione. Siamo convinti che a tempo debito, la maggioranza della popolazione cubana appoggerà questo codice rivoluzionario, inclusivo e democratico,

ha affermato Homero Acosta, segretario dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare (il parlamento cubano). 

Se il referendum passerà, Cuba sarà il nono paese dell’America Latina a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, dopo Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador e Uruguay. A essi va aggiunto anche il Messico, dove la maggioranza dei trentadue stati ha introdotto questa riforma. 

A Cuba i progressi in materia di diritti Lgbt sono stati a lungo frenati da una cultura maschilista che esiste in un certo numero di paesi dell’America Latina e da argomenti religiosi promossi dalle influenti chiese evangeliche.

Il Partito Comunista di Cuba, al potere dal 1959, ha riconosciuto negli ultimi decenni le sue responsabilità in materia di repressione della comunità Lgbt. Negli anni Settanta, centinaia di persone omosessuali persero il loro posto di lavoro o furono addirittura inviate nei campi di lavoro a causa del loro orientamento. Altre furono costrette a lasciare il paese. 

Le aspre critiche della comunità internazionale spinsero il governo a L’Avana a imboccare la strada dell’inclusione. 

Lo stesso Fidel Castro fece mea culpa in una storica intervista al giornale messicano La Jornada nel 2010, dicendo che “se qualcuno è responsabile, quello sono io”, con riferimento a quella che chiamò la “grande ingiustizia”, per quanto riguarda il trattamento della comunità Lgbt a Cuba, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta. 

A correggere l’errore dei padri è stata Mariela Castro, nipote di Fidel e figlia di Raúl, ex presidente che aveva raccolto il testimone del líder maximo. 

Mariela è dal 2000 direttrice del Centro nazionale per l’educazione sessuale, organo che è stato motore della rivoluzione arcobaleno cubana. Esso ha promosso il finanziamento da parte dello stato di campagne contro l’omotransfobia, di programmi educativi per la prevenzione dell’Hiv e anche l’apertura di cabaret, discoteche e pure di una spiaggia Lgbt. 

“Questo è un momento molto emozionante per tutto il nostro popolo, impegnato nelle idee più avanzate”, ha dichiarato Mariela Castro, che è anche deputata dal 2013. La nipote di Fidel ha ammesso che si tratta di questioni complesse, che generano “timori” e “contraddizioni”, aggiungendo però che

come società siamo cresciuti, abbiamo arricchito la nostra conoscenza della legge, dei diritti e soprattutto in questo caso del diritto di famiglia.

rivoluzione a Cuba ultima modifica: 2022-07-23T17:53:04+02:00 da MATTEO ANGELI
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