A tavola con i Briganti
Dalla banda comandata da Domenico Fuoco di San Pietro Infine, protagonista sui monti della Meta, ai briganti della Maiella, guidati da Domenico Di Sciascio di Guardiagrele. Il nome Domenico fatalmente si ripete ed è il filo conduttore che anima l’escursione odierna.

In combriccola, Sandro e Giustino. E Luna, cagna dalla spiccata indole anarcoide. Sandro impreca per non aver fatto colazione come avrebbe desiderato. Giustino, ospite solitario di Villa Filomena, è in t-shirt bianca, scarpe da ginnastica, copricapo bucket hat e sportina con scarpe di riserva, quando lo raccattiamo a Pretoro, ai piedi del Blockhaus. È senza zaino, trasgredendo a quella ritualità, non di rado esagerata ed esorbitante, che aleggia attorno al variegato popolo dei nuovi camminatori, che fanno dell’abbigliamento tecnico fattore strategico di successo, obbligato, per le scarpinate in quota. Giustino, con il suo modo di dire immancabilmente dissacrante, ricorda gli anni cinquanta, quando per i Pretoresi era quasi un lusso riservato alla domenica recarsi in montagna, tanto da indossare mocassini lustri per onorare festività e altura.
Il campo base è il Rifugio Pomilio, quota 1.888 metri, di un bel color rosso. Sandro ne ha memoria vivida per una pasta e fagioli insuperabile.



Nei suoi pressi, una piattaforma in calcestruzzo, oggi belvedere, installata negli anni sessanta in occasione della prima volta che il Giro d’Italia qui fece tappa, proietta un fotogramma limpido, intelligibile e incombente della Maiella, che ha modo di esprimersi in tutta la sua grandiosità. Il cielo terso e il fresco dell’aria rendono la visione ancora più struggente, il Gruppo delle Murelle e la cima del Focalone in primo piano. Su asfalto il primo tratto, interdetto dal Parco Maiella al traffico veicolare. Una targa in acciaio Corten su monoblocco calcareo ricorda Claudia Ricci, sedicenne lì vittima di un incidente mentre scendeva con gli sci avvolta da una fitta coltre di nebbia.



Fiamme Gialle appartenenti al Soccorso Alpino, in tenuta super tecnica, con bandana bicolore, ci superano con passo marziale e ben presto escono dalla nostra visuale.
In poco meno di tre chilometri, spezzato il fiato e lasciate alle spalle antenne, parabole e spessi grovigli di cavi color pece, la Madonnina delle Nevi ci aspetta per una prima breve sosta. Meta agognata dal ciclismo amatoriale, al ritorno la troviamo attorniata da accesi colori sintetici delle mise dei conduttori di biciclette “muscolari”. Sulla destra, il sentiero “ufficiale”, consigliato dalla segnaletica del Parco. Indicate le mete del rifugio Fusco, di Monte Amaro e del Guado di Coccia, che chiude con il Porrara verso Palena e Campo di Giove lo sviluppo lineare della Maiella.
Il percorso, al suo avvio, è tutto in ombra. Attraversa una trincea profumata di pino mugo. È in saliscendi e non conquista un granché di quota. Il Gran Sasso sullo skyline è in preda ad una leggera foschia, mentre nitidi alla nostra destra appaiono gli stazzi abbandonati, le fontane di abbeveratoi esauste, gli orridi che celano gli eremi di Santo Spirito a Maiella e di San Bartolomeo in Legio. E in questo andamento circolare si avvicina il Monte Morrone e si apre la Valle del Pescara, con diffuse tracce, puntiformi, di piccoli aggregati urbani.
Un breve pianoro sigilla l’immaginario cerchio che fa da base al monte Bockhaus, dove sono ancora visibili le macerie dell’antico fortino sabaudo costruito per la soppressione del brigantaggio. Da qui, dove sono presenti altre indicazioni sulle “grandi mete” della Maiella, il percorso, sempre in andamento sinusoidale, si fa in alcuni punti più erto e sdrucciolevole, fatto di terra, pietre e radici bitorzolute e intricatissime di pino mugo. Sandro e Luna si spingono in avanscoperta per individuare il punto esatto, obiettivo del giorno, dove risiedono le “Tavole dei Briganti”.


Con Giustino, seguendo una traccia secondaria, si svetta involontariamente sul Monte Cavallo, cima più alta della giornata con i suoi 2.172 metri. Ridiscesi sul sentiero principale dopo non più di quindici minuti, è la volta di una serie di lastre in pietra, levigate e tutte incise, in larga misura, da bande di briganti e pastori di greggi ovine, con date che abbracciano l’intero Ottocento. Una sorta di diario, di agenda, scolpita da renderla perenne. Nomi, date, frasi, luoghi di provenienza, spesso testimonianze di sofferenza e di vita grama. Una incisione su tutte, probabilmente, esprime il senso più profondo della genesi del fenomeno brigantaggio nel Mezzogiorno: “nel 1820 nacque Vittorio Emanuele II re d’Italia. Prima era il regno dei fiori ora è il regno della miseria”. Esplicita avversione verso il Regno Sabaudo, percepito e vissuto, soprattutto nelle aree interne montane, come invasore e non quale principale artefice dell’Unità d’Italia.







Asciutta, l’indicazione di questo magico luogo di storia della Maiella da parte del Parco Nazionale. Solo un cartello, orizzontale, che ne indica la collocazione. Per questa ”installazione lapidea”, degna di una necessaria spiegazione storica, l’Ente Parco avrebbe potuto ricorrere con minore diligenza all’arte della sintesi.
Spuntino, thè caldo e piacevoli chiacchiere con due ragazzi brianzoli, profondi conoscitori ed estimatori delle Terre d’Abruzzo. Da lì a poco la Fontanella alla Selletta Acquaviva e in proiezione l’impegnativa erta di ascesa al Rifugio Fusco e ai Tre Portoni che anticipano la salita finale sul Monte Amaro.
Il panorama, compagno sulla destra per la via del ritorno, è di valli profonde, color verde scuro, con l’evidente rasoiata del Balzolo. Pareti scoscese e boschi selvaggi e inesplorati trasudano densità e verginità.



Alla sella di quota 2.074 metri, Sandro si sgancia dal trio e circumnaviga il Blockhaus per il semicerchio di destra, più breve e meno agevole.
Il ricongiungimento avviene alla Madonnina e da qui, per la discesa alla macchina, si opta per il taglio fuori asfalto che porta direttamente al Pomilio.
A tavola, noi briganti fuori moda ingurgitiamo spaghetti al pomodoro, recente delizia della rinomata ditta conserviera Melideo.
Alla frondosa ombra del tiglio, superstite dei tre messi a dimora dalla signora Filomena, tante parole sul passato e tanti intendimenti rivolti all’imminente futuro.




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