All’Oriondè per il Cervino
[Orione, gigante di inusitata bellezza, così alto che, in discesa dalla montagna, celava la sua testa tra le nubi. Diana lo fece ministro, accompagnandosi con lui nelle battute di caccia]
Parcheggio ai margini del campo da golf. Il lunedì, nella piazza vicina, c’è il mercato. La tentazione di curiosare fra formaggi, verdure e prodotti dell’artigianato locale è forte. Vince l’impellenza di incamminarmi. Mi è di aiuto nell’indicarmi la strada per l’Oriondè la polizia municipale, intenta a controllare la viabilità nei pressi del mercato settimanale.

Si parte dai poco più di 2000 metri di Breuil Cervinia. Una strada sterrata comoda. Inizialmente rettilinea. Immediatamente in pendenza. Mi dà il benvenuto in Valle. La Regione è a me cara per tanti motivi. Che non svelo da subito. L’aria è fresca e il lungo tracciato della carrareccia si fa col salire più impegnativo. E così ci si scalda un po’ scegliendo traiettorie che saltano i tornanti ed abbreviano il tragitto. Il lato sinistro dell’ascesa è uno scorrere, anche tumultuoso, di corsi d’acqua che trovano la loro massima espressione all’altezza di un ponte in legno. Da qui, appare appena al di sotto della Montagna il profilo dell’Oriondè. Che con i suoi 2802 metri sarà la momentanea meta più alta delle mie escursioni montane. Il Monte Amaro della Maiella scalzato per sette metri.

L’Oriondè comincia ad affacciarsi e questo dovrebbe mitigare respiro e fatica, ma l’incontro con una coppia anch’essa in salita e pronta ad immortalarsi in una posa con alle spalle una vaporosa cascata mi decomprime. I selfiesti mi comunicano “freddamente” che il rifugio reclama ancora almeno un’ora, un’ora e quindici di cammino. Il té ancora caldo preparato a Losanche addolcisce la pillola. Le anche rispondono a dovere, anche e soprattutto nei tratti più erti della via 13 con cui è numerato il sentiero.

Man mano che si acquista quota, Breuil Cervinia si fa minuscola e alla sua visione si sostituiscono i fischi delle marmotte, insistenti, ma che danno un senso di confortante allegria al cammino. Anche le vacche Valdostane, pezzate rosse e nere, le ultime a dire degli esperti di etnologia bovina più irrequiete e meno docili, con i campanacci sonori accompagnano i trilli delle marmotte come se un fantomatico direttore d’orchestra ne ritmasse tempi e acutezza nella emissione dei suoni. Divagazioni, unite ai primi scatti dedicati all’album valdostano, mettono sempre più a fuoco la sagoma dell’Oriondè, che si raggiunge con un’ultima impennata del sentiero, come se il raggiungimento dell’obiettivo comportasse il pagamento di una terminale gabella.

Trovo nell’entrata del rifugio invernale un anfratto per cambiarmi. Lo steccato che fa da ringhiera si fa stendipanni. Prenoto il pranzo all’Oriondè e sono pronto a godermi la sagoma del Cervino, che, prima con la testa fra le nuvole, con discrezione si spoglia e appare nella sua maestosa bellezza. Proprio nell’istante dell’apparizione integrale del Matterhorn, volgo lo sguardo verso la mia vicina di seduta che mi sorride compiaciuta. Come per dire: noi stiamo qui per questo! Una nutrita famiglia di nipoti, di genitori e di nonni è in catena di montaggio nell’assemblaggio di panini, Nocetta e Fontina valdostane. Narrano dello zio alpinista e della sua ascesa al Cervino. Traspare evidente un orgoglioso spirito famigliare.

Ai piedi della piramide, sul primo ghiacciaio si intravedono due scalatori che conquistano quota agevolmente fino a non vedersi più ad occhio nudo. La cima viene e va, come Orione con la sua testa fra le nuvole. Come a voler onorare, nascosta e addolorata, le due giovani decedute assiderate il giorno prima, non molto lontane, sul monte Rosa. Paola e Martina trovate in ipotermia sotto la Piramide Vincent a 4.105 metri.
Il pranzo, purtroppo, è da dimenticare, se si escludono le frittelle di mele. Le hockene di mele renetta. Il segreto svelato dell’ingrediente grappa. Burro di malga ad libitum. Il tempo si è fatto brutto e il vento si fa sentire. Riprendo la via del ritorno, approfitto dei tagli che il sentiero sferra alla carrareccia e raggiungo in meno di un paio d’ore la Jeep. Al rientro verso Valtournenche, le indicazioni del Lago “Bleu” mi portano alla memoria le immagini che Gemma riprodusse del Cervino riflesso nel piccolo specchio d’acqua. Era d’ottobre. Il cielo era terso. Parigi alle spalle.

La lettera
- Caro Di Martino, ho letto con piacere e attenzione la vostra squisita storia incisa , in cui il sottoscritto ha attraversato diverse volte la dorsale del Cervinio. Avevo appena 15 anni, quando puntualmente ogni anno, il mese di agosto, attraversavo tutte le vallate della Valle d’Aosta. La Val Turnach, la Valle di Champoluch , la Valle di Gressone’. In ogni attraversata vi era la scritta: quattro ore di marcia. Con un zaino sulle spalle e una fisarmonica di 120 bassi. Sui passi erbosi vi erano mandriani con le loro baite, ad ognuna di esse mi fermavo a suonare, così mi saziavo con la fondina valdostana e dopo continuavo la marcia fino a raggiungere la cittadina di Champuluh, poi quella di Val Turnanch ed infine quella di Gressone’. Nel lontano 1942, quando noi meridionali non sapevamo cosa era la villeggiatura, in cui incontravo tutti personaggi famosi, Il Cav Agnelli, il Comm.Olivetti, etc… Tuttavia quelle montagne mi hanno visto crescere. Chiedo scusa se vi ho fatto perdere tempo ma è la nostalgia dei ricordi di gioventù. Adesso ho 94 anni, e le cose belle di gioventu’ non si dimenticano. Io vivo con la musica, in casa ho diversi strumenti musicali. Il mio primo strumento è stato la fisarmonica, perché anche mio padre suonava a Parigi nel lontano 1900. Poi quando mi impiegai come tecnico di labortorio analisi a Salerno, comprai il mio primo pianoforte, in cui andavo due volte la settimana a Napoli a studiare, dove riuscii a diplomarmi, in cui poi mi sono dedicato anima e corpo all’insegnamento privato di pianoforte, in cui avevo oltre 100 allievi di piano, poi, alla pensione mi sono trasferito ad Isernia.. Ma tutti i giorni mi alleno a suonare. La mattina vado in campagna a coltivare l’orto, il pomeriggio suono, perché è la mia passione. Un abbraccio affettuoso Peppino.


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