Boh, il pezzato nero del Sebastiani
[Il Rifugio Sebastiani è a quota 2102 metri, nel Comune di Rocca di Mezzo (AQ), nel Parco Naturale Regionale Sirente Velino]
Torna in squadra Luke dopo una prolungata assenza per infortunio. Non al massimo della forma, per sostenere i due tempi di gioco, ma dallo spirito inconfondibile. Con lui in gruppo, da oggi, la volata sarà sempre più facile. Partecipa come attore protagonista Boh, cane semiserio, accattone per indole. L’appuntamento con lo Sherpa di turno è al casello di Tornimparte.

Quel brutto vizio di stressare i miei compagni di viaggio, tra cui la delicata e sensibile Gemma, per il rispetto degli orari, mi immette in un mood idro-repellente. La tensione sfuma, evaporando grazie al miracolo compiuto dalla Compass. Il ritardo da me paventato si riduce ai minuti di una mano. Sandro, lo sherpa di giornata, ci aspetta con una insolita Polo blu (Volksvagen, non t-shirt).
La Jeep si ripete sullo sterrato dei Piani di Pezza, punto di partenza della escursione sul Gruppo del Velino. Marchigiane al pascolo, cavalli e un asinello. Il Rifugio Sebastiani, inaugurato il 22 ottobre (data a me cara) del 1922 e da poco oggetto di ristrutturazione ed ampliamento, è dato a un’ora e quaranta. I bastoncini di Sandro, più leggeri dei miei, mi aiutano a salire. Una prima parte dell’ascesa è dolce e i faggi, dal tronco bitorzoluto, hanno un orientamento non perpendicolare come quelli di Pizzalto, in tetralogia con Porrara, Secine e Rotella. Gemma geologa ci dirà, in discesa, che essi rispecchiano la particolare instabilità dei terreni di quel territorio.

Mi ritrovo da solo alla guida del quartetto, cosa che Gemma mi rimprovererà. Mi era stata autorizzata dallo Sherpa. Rigogliose piante di lamponi, come il dottor Auciello (Luke, Luca, Auch) segnalerà al ritorno, si uniscono e completano il clima di frescura. Il sentiero si restringe e, sempre all’interno del bosco, si fa più erto. Sono superato da un giovane virgulto che ritrovo poco dopo esanime sul bordo roccioso. Lo conforta il padre. Lo invita benevolmente a rialzarsi e a non demordere. Arrivo al bivio con il sentiero che conduce alla Valle Cerchiata e al Colle dell’Orso (meta di rocciatori partiti insieme a noi, con corde e moschettoni) e giro a destra per il Sebastiani.

Qui si esce dal bosco e il sentiero tende a diventare più ripido, con la massima pendenza a ridosso del Sebastiani. In ristrutturazione, non può accoglierci (ma lo sapevamo). Il mio tempo di salita mi sorprende non poco: anziché di un’ora e quaranta, è di un’ora e quindici. Non so cosa mi succeda. Ma tant’Appia Antica, Madonna dell’Altare, Porrara, Pizzalto, Secine, Rotella e Morrone mi svelano il mistero. Arriva lo Sherpa, in aiuto di Gemma e di Luca, ancora acerbi per la montagna 2020.
Il panorama è indescrivibile, i Piani di Pezza all’orizzonte, la cresta che porta a Campo Felice, il monte Costone, versante occidentale ed orientale e tutto il Gruppo del Velino: Punta Trento, Colle dell’Orso, il Sirente, cima del Velino. Non le ricordo tutte. Prima che mi raggiungano Gemma e Luca, faccio fuori il primo panino, pane integrale, prosciutto e formaggio. E un kiwi.

Con Sandro decidiamo di salire sulla cima orientale del Costone (2271 mt). Sarà la vetta più alta delle mie escursioni estive. Il tavolo panca del Sebastiani è il nostro campo base. Lasciamo zaino e annessi, con la tradizionale maglietta ad asciugarsi al sole (come al Benevolo con Nino proprio un anno fa, in Valle d’Aosta). Indosso la mia lana cotta e si parte. Poco meno di un’ora andata e ritorno. Sforzo ripagato dalla impareggiabile vista che si gode in cima. Al cui cospetto, lo Sherpa prefigura prossime incursioni, forse fino a raggiungere la cima del Velino, lontana, ma non tanto più alta della nostra.

Il primo tratto di discesa è per me sdrucciolevole. Sandro si trasforma in una mia protesi. Mi sgancio dal locomotore e siamo di nuovo in 4, anzi, in 5 perché Boh si aggira nei paraggi e partecipa inconsapevolmente alla foto di gruppo, dopo aver mendicato sotto i tavoli. Luca ha l’insalata di farro, senza forchetta. Sandro, di estrema classe, con fettina panata. Gemma non è proprio soddisfatta del panino paterno, lontano dai lustri delle merende scolastiche. Tonno e pomodoro, per metà con Luca, moderatamente convesso. Gemma sente i profumi della montagna e gode della loro azione appagante. La mia anosmia non mi corre in aiuto da diversi anni. Luca brinda, si fa per dire, alla sua resurrezione e la fatica, la montagna, l’aria, la vista, sono la sua taumaturgia. Anche Boh rientra in questo kit terapeutico. Silenzioso, beve acqua dalla sua scodella e non si lamenta mai. Fa su e giù per il sentiero, sempre fedele al suo salvatore.

Il rientro al Capo di Pezza è in gruppo. Mi si risparmia l’umiliazione di lasciarmi indietro per la mia inguaribile paura dello scendere in montagna. Sarà anche questa una metafora della mia vita? La mie fobie. Scivolare, cadere, una spalla, l’articolazione coxo-femorale, le ginocchia, la colonna vertebrale. Pausa caffè a Rocca di Mezzo, al Piccolo Ristoro, cameriere contro Boh. Unico nemico in una giornata di pace, per Boh e per tutti noi.


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