Eremo: password per una coppia vagante
Duetto insolito per un’escursione semi-montana. Senza sherpa, ispirati da un dono di compleanno. Gli stereotipi sono da sempre stati indigesti alla mia accompagnatrice di giornata, moglie di sempre, senza zainetto, senza calzature tecniche, con borsa a tracolla. Le manca solo il foulard di Audrey Hepburn in “Vacanze Romane”. Andatura aristocratica anche nell’incedere fra scalette, viottoli, attraversamenti di torrenti e percorsi silvestri.
Rocca Antica Eremo
I corbezzoli danno un miele amaro e i lecci hanno dato il legno alla croce di Gesù. Con Tito e Dimaco nella Buona Novella di Fabrizio De Andrè, trio crocefisso. Arbusti della macchia mediterranea completano l’atlante floristico in una siffatta scenografia tirrenica. Ma il mare non c’è: siamo in Sabina, la regina delle olive. Da Roccantica all’eremo di San Leonardo. Poco più di 500 abitanti, poco più di 400 metri di altitudine.
Poche espressioni verbali mi spingono alla repulsione fisica. Una di queste è la metafora della bomboniera. Orribile vessillo di fine pasto matrimoniale, oggetto di non facile identificazione, trova nella pattumiera la sua più naturale destinazione. Un gruppo di ciclisti super attrezzati ignari di quanto mi sia ostile la similitudine, ripetutamente e in coro assomigliano Roccantica ad una bomboniera. Nanni Moretti avrebbe assunto le sembianze del licantropo per farli tacere definitivamente.
Un dedalo di scale in pietra si inerpica verso l’alto, attraverso stretti cunicoli. La salita ci scalda articolazioni e muscoli, come se dovessimo affrontare un imminente incontro sportivo.

Piacevole e distensivo, a tratti affettuoso, è l’incontro, preceduto dal suo docile e fedele cane, con la Signora di Roccantica, alla sommità del paesino. Ottantunenne resistente, in maniche corte e braccia maculate, non lascerebbe la vicina Torre e la casa dove si è fatta grande, ma con il freddo incipiente tornerà al Nuovo Salario, dove i figli dell’Aurelia e della Cassia saranno più tranquilli. Loro, non lei. La prospettiva le vela il viso. Ci indica come raggiungere l’inizio del sentiero (il 354 del CAI) che conduce all’Eremo di San Leonardo. A ridosso del campanile di Santa Caterina, con annesso Monastero delle Clarisse.
In poco meno di 45 minuti, con un tragitto segnato ma non troppo, con due guadi asciutti su torrenti che alimentano nelle stagioni piovose il sottostante fiume Galantina e le Pozze del Diavolo, con una strettoia da superare aiutandosi con le mani, con la frescura del bosco, con le tracce lasciate dai cinghiali, con l’ultima indicazione scritta a penna, raggiungiamo l’ultima rampa. Qui la verve politica di Claudia, dimenticavo Claudia è il nome dell’accompagnatrice, torna a galla e supera il suo leggero debito di ossigeno. La staccionata che protegge la ripida ascesa all’Eremo è rotta, risultando pericolosa per chi intenda utilizzarla come punto di appoggio. E Claudia esterna tutto il suo disappunto. Abbondantemente mitigato, all’entrata in Grotta, da quel che resta di un affresco sul rosso, dalla vista a perdita d’occhio che si apre sui boschi, dalla volta e dalle pareti scavate come se levigate dal vento e dal fluire di un immaginario corso d’acqua. Sta lì dall’VIII-IX secolo, a nome di San Leonardo di Noblac, eremita per espressione di vita e ispiratore dell’ascesi, astrazione dalla civiltà. Il monte Pizzuto, che appuntito non è, e la dolina del Revotano, dove pare sia sprofondata nella leggenda la prima Rocca Antica, conquistano il nostro sguardo.

La sigaretta e la borraccia ci riconducono alla realtà della prosa quotidiana.
Come sempre, il ritorno si fa più agevole, nei minuti e nella fatica. La Grotta di San Michele Arcangelo sul Tancia, posta ad un’altra ora di cammino, è rimandata al tempo futuro, ma non remoto, magari con Sandro, il modello sherpa oggi tradito.

Bar e alimentari chiusi. Sono le 14.20. La Stazione di Poggio Mirteto sembra quella di Chivasso, crocevia delle Ferrovie del Nord. Sciami di Cotral, di studenti, di auto in attesa di utenti di strada ferrata. Il forno a legna è la nostra ancora di salvezza. Pizza Margherita (la scaldiamo un po’?), ciambelline fritte. Seduti sulla panchina al sole, come una coppia vagante senza meta, ingurgitiamo i tranci e beviamo acqua leggermente frizzante. Eremiti per pochi minuti, socialmente inutili quasi sempre.


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