Tra_Monti
Una rubrica di Marcello Di Martino
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Fonte Tarì,  la consorte di Macchia di Taranta 

La profonda fenditura che solca la Valle di Taranta ha due coniugi, coricati su letti separati,  a ridosso delle due creste: una fonte con rifugio e un rifugio senza fonte. 

È la volta, dopo il Macchia di Taranta, della Fonte Tarì. Ancora un toponimo che evoca il monte Tari, antica denominazione della Maiella.

Da giorni medito di ricominciare a dare un senso al mio vacuo peregrinare, e la montagna amica mi risucchia con il suo spirito amorevole, con la sua attrazione materna. 

È la Maiella orientale, versante nord. Area faunistica del camoscio d’Abruzzo, comune di Lama dei Peligni. Nei suoi pressi, a ridosso di uno slargo asfaltato, deposito la mia jeep, che mi riserverà palpitanti sorprese a fine corsa. L’idea è di percorrere, in solitaria, un girotondo senza chiudere nel finale il cerchio. La segnalazione in legno che dà due ore di cammino alla meta, la prendo, per il mio consueto lento procedere, con il beneficio dell’inventario.

La sagoma in ferro laminato di un viandante, camminatore, montanaro, fa da apripista all’obiettivo odierno. Le prime ore del mattino, il fresco del primo tratto all’ombra del pino nero, la luminosità a iosa, terso all’impossibile il cielo. 

Il fiato tarda a rompersi, il Pollino è ormai lontano e le Mura di Monte Pallano e il Verde delle Cascate di Borrello non sono bastate a riconsegnare una forma adeguata alla mia complessione. 

Dopo un breve tratto, alberato, lo sguardo volge verso destra e di forte impatto è la mastodonte opera dell’uomo che lo invade. È il vallo dissipatore, una configurazione geometrica trapezoidale, struttura resistente in “terra rinforzata”, realizzato per resistere all’impatto di probabili valanghe.  Anche il lodevole tentativo, per il paramento di valle, di edulcorare l’opera con l’inserimento di terreno vegetale, coerente con la morfologia del paesaggio, non ne minimizza il cozzo che produce agli occhi. 

Alle spalle il paravalanghe, il sentiero si fa erto, fino a raggiungere uno sperone di roccia, che protegge un anfratto in ombra, messo lì quasi in attesa di dare ristoro ai viandanti. A Lama lo chiamano pariete mezze, non so se per indicare che si è a metà dell’ascesa verso il rifugio di Fonte Tarì, o per l’invadere il monolite di una parete in pietra nel mezzo del percorso segnato, scavato nella terra. 

Tè caldo e qualche foto, una rasoiata sul pendio disegna l’immediato percorso che mi attende. A questo punto, meno faticoso, sebbene lungo. 

Lasciato il fondo pietroso, ci si avvia per il vasto scenario pascolativo. Ancora verde chiaro, appena giallo non ocra, in agosto, traccia dell’abbondante piovosità primaverile.

Lo sventolio di una bandiera tricolore mi segnala che sono ormai prossimo alla meta e solo quando sto per raggiungerla, lo skyline del rifugio me ne testimonia visivamente l’avvento. L’obiettivo del giorno è a quota 1.540 metri, con dislivello dalla partenza di circa ottocento metri.

Una coppia di Carabinieri-Forestali mi raggiunge quasi a ridosso del cancello posto proprio sul tracciato del sentiero. Fa da apertura alla recinzione di protezione del rifugio e della fonte.  

Da qualche anno una mandria di vacche Marchigiane  è lì in ferie per le vacanze estive.  

L’Arma è  in quota per il servizio di controllo e verifica della zootecnia estensiva, fatta, nel nostro caso, da bovini ed equini, perché questi non escano dall’area autorizzata dal Parco al pascolo e si proiettino “indebitamente” verso l’area di riserva integrale.

Piacevole intrattenimento dialogico con i due giovani militari, dove caciocavalli e pecorini locali costituiscono il principale argomento all’ordine del giorno. Anche della mia colazione, a dire il vero, per il panino al formaggio abbinato all’acqua freschissima pompata dalla storica fontana che dà nome alla località. 

Encomio solenne va tributato al Comune di Lama per i pregevoli lavori di ammodernamento del fabbricato e all’Associazione Majella Sporting Team per la cura con cui svolge l’impegnativo compito di attento e propositivo custode del rifugio.

Il blu del cielo incombe, l’alito di vento è ancora piacevole. Lascio Fonte Tarì per Vaduccio, il passo che, a quota 1.620 metri, mi proietterà nella Valle di Taranta. Sul tracciato, vacche dal colore bianco porcellana, con redi poppanti color rosso fromentino, invadono il sentiero, manifestando la più ostentata indifferenza al mio passaggio. Pochi cavalli bai, sonanti per i campanacci al collo, sembrano affetti dalla medesima sindrome di totale disinteresse nei confronti della specie umana.

La discesa, portata notoriamente indigesta al mio apparato locomotore, risulta di particolare difficoltà alle mie consumate corde, per tratti esposti, per segmenti franati dopo il frequente passaggio di camosci, per l’accentuata pendenza del suo sviluppo. 

Solo il transito, prima nei pressi della Grotta del Bove e poi a ridosso della lunga scalinata che conduce alla Grotta del Cavallone, riduce il mio stato di tensione, apprensione in ogni modo già abbondantemente mitigata dai betabloccanti che assumo da qualche anno.

In cestovia, in poco più di un quarto d’ora sono ai circa settecento metri della stazione di valle.  Per chiudere il cerchio, arriva il dottore. Sembra sia nato per risolvere problemi. Mi conduce in Mercedes al parcheggio dell’Area faunistica del camoscio. E qui si consuma la sorpresa anticipata nelle prime righe di questa passeggiata. Non trovo le chiavi della Jeep. Temendo di averle lasciate sul tavolo del rifugio, mi attivo per recuperarle, chiamo Roma per le seconde chiavi, interpello la Filiale Jeep di zona. Ma la cosa non mi sconvolge più di tanto. Preferisco la pennica pomeridiana, all’assecondare l’ansia per tale disavventura. E proprio come si conviene, il sonno ha portato consigli. Chiamo la stazione di valle della funivia, dove un portachiavi con la scritta Jeep alberga sul bancone del punto ristoro. E così si chiude , a lieto fine, l’anello del giorno. 

Fonte Tarì,  la consorte di Macchia di Taranta  ultima modifica: 2023-09-30T17:07:24+02:00 da Marcello Di Martino
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