Tra_Monti
Una rubrica di Marcello Di Martino
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Galanskov sul Fontecellese

Jurij Timofeevič Galanskov (Mosca, 19 giugno 1939-Mosca, 14 novembre 1972) è stato uno scrittore, poeta e giornalista russo

Villa Romana, frazione di Carsoli, poche decine di residenti, 826 metri di altitudine. Alle ultime case, parte la strada bianca che avvia l’ascesa al Monte Fontecellese (1.627). 24 febbraio 2022. Cielo turchese, il freddo di febbraio. È una giornata particolare per l’umanità. La Russia invade l’Ucraina e, per una imprevedibile e fortuita coincidenza, a un dissidente russo, Jurij Timofeevič Galanskov, è dedicata, con targa ricordo, la vetta del giorno.

La vetta del Fontecellese

Al bivio di partenza, Luca spolvera i nuovi bastoncini e incontriamo e ci intratteniamo con un signore del posto, visibilmente sferico. Tiene fra le mani un bustone dei rifiuti colmo di broccoletti, frutto di “espianto” per la preparazione dell’orto primaverile estivo della sua vicina di casa. Ricorda con nostalgia le sue salite al Fontecellese, al Fontanile alla sua base, alla ricerca dei funghi di maggio. Ci dà anche utili indicazioni per la meta, obiettivo fallito giorni prima anche e non solo per la presenza di neve sul percorso. Eravamo in troppi a decidere. Oggi siamo in due e la meta è più a portata di mano.

La carrareccia si sviluppa su un tracciato leggermente ripido, con tratti alle curve in ombra ghiacciati. Tre cani pastori abruzzesi ci salutano, al nostro passaggio, non proprio affettuosamente. Hanno in custodia vacche da carne, Marchigiane le nutrici, meticci i vitelli da incroci con Charolaise e Bruna Alpina. Ci fa gli onori di casa il “macchinista ferroviere” (cit. Francesco Guccini, La Locomotiva), che non proprio solo per diletto nelle ore libere dai binari somministra fieno e sfarinati al proprio bestiame, ne cura lo smaltimento delle deiezioni e munge le due Pezzate Rosse, le uniche lattifere. Il latte è in gran parte per i vitelli, ed il poco formaggio che ne ottiene è destinato al consumo famigliare. Stupiscono il suo appropriato argomentare, la luce degli occhi, l’armonia delle sue movenze, il desiderio di raccontare. Non si lamenta più di tanto per la perdita di un puledro l’anno, ha anche dei cavalli al pascolo, per i lupi sempre più numerosi e voraci che abitano quelle montagne. E’ il suo personale sacrificio alla biodiversità animale. Mandrie bovine ed equine al pascolo brado a partire da fine aprile a metà novembre.

Prima sosta alla chiesetta di San Martino (1.049 mt). Ben curata l’area esterna con croce che si affaccia sulla piana. Chiusa la chiesa (le chiavi sono laicamente a cura della Proloco), accessibile lo stanzone destinato a rifugio e a tavolate per libagioni e per bevute. Un bottiglione di vino da cinque litri sta lì in attesa. Da qui parte il sentiero numero uno. Ben segnato, ripido ma non come quello “del Canalone”, da noi sperimentato “dolorosamente” giorni fa. Tre omini di pietra disegnano il tracciato sul pianoro, una sella erbosa, che ridà fiato al respiro. Sulla sinistra parte un’erta rocciosa che conduce al monumento bronzeo in miniatura dedicato a Sandro Iacuitti (1.550 mt), tragicamente scomparso sul Gran Sasso. L’abbiamo onorato nella precedente e infruttuosa salita al Fontecellese, oggi tiriamo dritti. 

La faggeta

Le orme sulla neve recente indicano la traccia da seguire. Entriamo nel bosco di faggi. La forma bitorzoluta, la dimensione gigantesca, l’espressione austera e la nudità delle forme compongono un allestimento scenico stupefacente. Concorrono all’arredo silvestre i relitti di faggi caduti per neve, abbattuti da fulmini o sfiniti per età avanzata. Sempre per non lasciarsi mancare niente, anche i lupi hanno voluto conferire, con le proprie orme, a questo tratto di sentiero il connotato di magia che una tale ambientazione evoca.

All’uscita dalla faggeta, troviamo dopo un taglio orizzontale sul dosso che precede la cima, il fontanile, che dà nome alla montagna del giorno. La Fonte Cellese è ghiacciata e lo strato di ghiaccio accumulato durante l’inverno non è neanche scalfibile. E’ in ombra e in primavera estate deve essere il punto di ristoro per vacche e giumente al pascolo assolato. E’ l’ultima sosta che precede l’erta finale. Non opportunamente segnata, a tratti ci si aiuta con le mani. E poi la rosa metallica che incarna la vetta (1.623 mt). Non una croce. Alla base la targa metallica che dedica l’asperità a Jurij Timofeevič GalanskovAttivista politico russo, morto dissidente a trentatré anni in un lager a regime duro. Quanto mai coerente con la “guerra” del giorno la sua collocazione. Sempre famigerata la sua protagonista.

Il  panorama con la dorsale della Serrasecca  e la sua Cima di Vallevona, con il Monte Velino e il Terminilloall’orizzonte e in primo piano con il Cervia e il Navegna favoriscono l’appagamento del recupero di energie affidato ai due panini, di formaggio farciti. Non manca, come sempre, il tè verde ancora caldo.

In discesa optiamo per la modalità “fuori pista”. Ci liberiamo dei sentieri, affidandoci all’orientamento che la chiesa di San Martino ci offre: una sorta di punto trigonometrico. Le articolazioni e i bastoncini sono messi a dura prova. E in alcuni segmenti, meno aperti, il districarsi ed l’orientarsi fra rocce e arbusti non è del tutto agevole. Il sentiero largo erboso ai margini della chiesetta e, di nuovo, la carrareccia ci riconducono alla macchina. 

E’ l’ora di “Sei Gradi”, trasmissione radiofonica di RAI Tre, “mondi sonori diversissimi eppure connessi tra loro”, e ascolto con gli occhi lucidi “Te recuerdo Amanda” di Victor Jara. Due poeti martiri, uno cileno ed uno russo, sono i miei compagni del Fontecellese.

Galanskov sul Fontecellese ultima modifica: 2022-03-12T09:03:47+01:00 da Marcello Di Martino
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