Tra_Monti
Una rubrica di Marcello Di Martino
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Il Cornacchia di Puglia

Con la Puglia, vinci facile. Parole di Irene Cornacchia, erede di cotanto sarcasmo e di infinita sagacia paterni. Ironia della sorte ha voluto che la Regione più piatta d’Italia trovi la sua cima più alta nel Monte Cornacchia, a quota 1.151 metri, sui monti della Daunia. Cornacchia, la vetta, Cornacchia,  Pino, papà di Irene e mio compagno di sempre. Ci ha lasciati il 4 ottobre dello scorso anno. 

Il campo base è sempre Taranta, a quasi duecento chilometri dalla meta. Follia pura, a detta dei miei più cari sherpa. Non faranno parte della partita. L’ascesa è così poco impegnativa, che. Mi  lasciano in libera uscita. Biccari, borgo autentico in provincia di Foggia, è il Comune di transito obbligato per il Cornacchia. L’indicazione da seguire è il lago Pescara, invaso naturale  più vasto della Regione, ai piedi della vetta. Luogo di scampagnate, di attrazione ludica, di circuito per il benessere fisico, di osservazione ornitologica, di variabilità botanica lacustre.

Una sgangherata bacheca in legno, memoria di  antichi finanziamenti europei, descrive l’area e le sue amenità senza però indicare la traccia del sentiero che porta alla estrema altezza dei Dauni. Una rudimentale insegna su trave dipinta e la carrareccia che si sviluppa sulla sinistra del Pescara ne sono tuttavia i più  facili indicatori della sua direzione e del suo sviluppo. La strada sterrata è prima erta, poi  si fa, all’entrata nel bosco, più dolce. Conifere oggetto di rimboschimento, inizialmente, e poi più in su latifoglie.  

Sono sei i cani, quasi tutti di taglia medio piccola, che mi circondano abbaiando fra il festoso e il minaccioso. Il solerte arrivo del loro custode, di corsa da un sentiero nel bosco, li ammansisce. La mia atavica cinofobia è d’un tratto assopita. Il battito cardiaco risente più della precedente ascesa che dell’indesiderato incontro. Il viandante cinofilo, gentile nei modi e oltremodo rassicurante, mi indica, tra l’altro, i tempi di cammino per arrivare sul Cornacchia. Si riveleranno abbondanti e, per questo, ancora più graditi. All’uscita dalla pineta, mi aspetta una vasta area pascolativa,  gialla e ormai inaridita dalla recente siccità. Insistono, per indole frugale, vacche Podoliche e Marchigiane a raccogliere quel che resta delle basi foraggere,  ormai di prevalente natura cellulosica. Madri e progenie da una parte della strada sterrata, con recinto spinato, toro solitario sul lato opposto. Momentaneamente inibita la sua attitudine al salto.

Il tratto assolato produce un saliscendi con gobba finale. Altra tabella segnaletica, ormai sbiadita e obliqua, e mega antenna per le comunicazioni telefoniche, sono gli ultimi manufatti della specie umana. Lo stradello alla sua sommità dà inizio ad un suo prosieguo in discesa verso Faeto, comune che condivide con Biccari e  Castelluccio la quota del giorno. L’indicazione che porta alla cima del Cornacchia è di non facile evidenza, ma la perdita di quota ne rappresenta il più significativo testimone. Sulla sinistra, l’ultimo breve segmento in salita conduce ai diversi vessilli che delimitano la vetta. Una croce in legno con la scritta INRI, un vertice geodetico di tipo “GPS A” incollato su centrino di superficie del pilastrino in calcestruzzo su basamento deteriorato  e un rifugio, che merita non solo un encomio solenne ma anche un’accurata descrizione.  Tetto a spiovente recentemente ristrutturato, due locali aperti tutto l’anno. Il primo soppalcato, per un eventuale pernottamento, il secondo con camino, panche e tavolo, per il ristoro. Legno massello e pietra, gli ingredienti di base. Pulizia ed estremo decoro, il sottofondo scenografico. 

Per il godimento visivo, la sistemazione a terrazza dello spazio esterno offre un’ampia ribalta. C’è vento. Invade l’orizzonte una crescente foschia. Assenti il mare Adriatico e il Gargano, si intravedono l’incipit del Tavoliere e i piccoli Comuni  dell’Appennino Daunio. Il parco eolico, mosso dal vento, imponente ed esteso, fa da arredo, per me piacevole, al paesaggio sottostante.

Pesca, tè ancora caldo e un paio di grissini, lo spuntino per ripartire. 

Torno sui miei passi, saluto l’impassibile mandria, in colonna sonora con i campanacci, e al secondo bivio viro a sinistra, per il letto di un torrente esausto. È indubbiamente un percorso che taglia, abbrevia  i tempi e riduce il numero di passi, ma è all’incontrario  vorticoso, con massi e pietre di diversa dimensione instabili al calpestio. Qui solo, mi accorgo di aver lasciato nel bagagliaio i bastoncini in fibra di carbonio. Dimenticanza involontaria, forse dettata inconsciamente dalla semplicità dell’ascesa. Leggerezza che moltiplica, però,  premura e  lentezza nel procedere,  orienta nella scelta delle traiettorie e  suggerisce di evitare i tratti più scoscesi. 

Finalmente di nuovo il lago Pescara. Un bimbo attratto dalla fauna acquatica si sporge dalla staccionata e raccoglie pacatamente la premura dei giovani genitori. 

Per il ritorno, decido di aggiungere un’altra Regione all’agenda del giorno. Passare, dopo Abruzzo e Puglia, anche per il Molise e fare visita a Luca, mio figlio putativo, nella  sua residenza molisana di Cappiello, in quel di Duronia. Poche case, tutte con lo stesso cognome,  Auciello, che è anche il suo. 

La nonna, ultranovantenne, è tornata a casa, lì, da tre mesi. Ha negli occhi, nel viso tutto e nelle movenze il condensato taumaturgico dell’aria che l’ha vista nascere. 

Spaghettoni con tartufo e alici fritte, susine e mele ultrabio, il menù che onora la mia improvvisa  e, necessariamente, breve incursione.   

Tre Regioni per il Cornacchia. Tante ragioni per  il suo “nome”.

Il Cornacchia di Puglia ultima modifica: 2022-10-22T09:40:31+02:00 da Marcello Di Martino
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