Tra_Monti
Una rubrica di Marcello Di Martino
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Il Lupone dei Lepini

Il Lupone dei Lepini non è per poco un gioco enigmistico riuscito, di consonanti e di vocali. Manca purtroppo la lettera a. La cima è a 1378 metri ed è la vetta principale che segna l’inizio da Nord della catena dei Lepini, arrivando dalla Capitale.

Il Campo di Segni ci accoglie che l’aria è fredda. Il vento offre un rigido diversivo alle mandrie che alloggiano sulla piana. Una sorta di atlante di etnologia zootecnica. Charolaise, Limousine, Marchigiane, vacche da carne con giovanissimi redi che trovano nelle mammelle materne amorevole conforto. Più in là, sul tappeto verde, il circo equestre. Stalloni, giumente e puledri. Loro disturbatori-guastatori sono Mango e Luna. Lei meno audace, vista la malaparata del Navegna. Sono gli interpreti del Lupone nella sezione canina della compagine. Il quintetto schierato per la cima dei Lepini ha una sorpresa in formazione. È Daniele, è lui che accompagna Mango, è lui la nuova conoscenza di Luca. Riprende le redini della carovana Sandro, lo sherpa di sempre. Gemma dimentica i bastoncini ma ha in dote quelli del generoso. Di Sandro, chiaramente.

Il Campo di Segni sembra scaturire da una sofisticata macchina del tempo, in grado di riprodurre fotogrammi scattati secoli fa. 

Un nutrito gruppo di probabile appartenenza al CAI si stacca a destra muovendosi sulla carrareccia in cui si è trasformata la tortuosa strada che ci ha condotti al Campo di Segni. Il nostro sherpa, dopo una momentanea titubanza, indica da dove partire. Il Lupone è dato a due ore e trenta. Ma questa, come altre che troveremo in discesa, sostiene Sandro, potrebbe essere stata incisa da un non del tutto sobrio addetto alla segnaletica. 

Il primo tratto è su quello che resta del greto di un torrente. Una gimkana fra sassi di diversa dimensione e levigatura. Non è certo il modo ideale per svegliare l’apparato locomotore. Il segmento è breve. E l’alveo tortuoso svanisce quasi d’incanto. Si entra subito nella parte alberata del tracciato. Il bosco, di essenze inizialmente coerenti con la fascia climatica di appartenenza, diventa, quasi subito con un impeto di trasgressione, faggeta. Una leggenda francese, recentemente trovata in quella che è una vera “ramificazione di storie” di Antonio PascaleLa Foglia di Fico, attribuisce ai faggi il potere con il proprio fruscio di disperdere nella nebbia le anime morte. I faggi del Lupone dormono il sonno invernale e solo al completo risveglio potranno calarsi da protagonisti nella leggenda d’oltralpe. 

Faggi a terra ospitano la brigata per una breve sosta di ristoro, al culmine di un tratto di forte pendenza. Luna e Mango orbitano nei paraggi senza fermarsi e raccolgono, mendicanti provetti, le briciole dei nostri spuntini. Al riavvio, come è mia curiosa consuetudine, chiedo a chi sale e a chi già scende i tempi per raggiungere la vetta. E mi diverte la gamma delle risposte, mai una sovrapponibile ad un’altra. E con Gemma si ride. E con Gemma si prende quota. Sandro vigila sulla compagine. Luca e Daniele si raccontano le vite, la natura, le piante, le cucine, il polpo che non si mangia perché è un pesce intelligente. Ragionamenti sulla cosmogonia e sulla cosmologia. Un duetto curioso e desideroso di conoscersi.

Come un istante “déjà vu” (Francesco Guccini, Incontro), si apre all’uscita dalla faggeta la rampa finale di accesso alla cima del Lupone. Pietroso, con roccette affioranti e senza più una traccia segnata, il tratto in cresta porta alla croce con bandiera della pace sbrindellata. Poco più avanti un tolos in pietra per assicurarsi al panorama. Le Isole Ponziane, il Circeo, la Semprevisa, il Terminillo, il Viglio e il Velino bastano e avanzano. 

Mi chiedono di scattare una foto di gruppo, ma declino sorridendo l’invito. La gentile signora si chiede invano il perché. Con Gemma seguiamo la cresta verso Sud, alla cimetta De Paolis, 1.360 metri. 

Luca propina pizza con scarola e pinoli. L’impasto è del forno. La verdura è del suo orto. I pinoli sono dei pini. Il Lupone rafforza in Luca l’abituale logorrea sul cibo, sulle origini delle materie prime e sulle loro manipolazioni.

Lo sherpa decide autorevolmente che il ritorno si fa in cresta. Non ci sono dissidenti. E lo spettacolo che ci attende verso Nord ripaga abbondantemente l’allungamento del percorso e la sua non sempre palmare leggibilità. 

La segnaletica annuncia come al mattino tempi di percorrenza del tutto sballati. Entriamo nel Campo di Segni da una nuova prospettiva. È visibile anche un ristretto invaso, la cui circonferenza è attorniata da pecore Sarde.  Gli ovini completano la raccolta di tavole zootecniche avviata al mattino. Suspense finale con Jeep a riserva di carburante. A Segni, Il distributore aperto scioglie definitivamente la tensione accumulata. Avrebbe sentenziato Claudia: il Lupone perde il pelo ma non il vizio!

Il Lupone dei Lepini ultima modifica: 2022-06-03T08:15:05+02:00 da Marcello Di Martino
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