Il Monte Basilio due metri oltre
La strada del bosco è l’incipit ideale per ambientare una favola o un romanzo noir. La strada del bosco è per noi indigeni la Strada Provinciale 164. Rivive dopo anni di oblio burocratico. E si fa di nuovo tracciato per raggiungere due piccoli comuni della provincia di Chieti, sul versante orientale della Maiella. Per diversi anni non accessibili da questo versante, Gamberale e Pizzoferrato riconquistano uno sbocco verso l’alta Valle Aventino. La faggeta in cui è immersa è di rara bellezza, tesoro di funghi, abitata da lupi e orsi, protetta e monitorata per la presenza e per il suo attraversamento da due specie di salamandre, la Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) e la Salamandra pezzata (Salamandra salamandra).

Poco più avanti le reti di salvataggio degli anfibi, sulla destra, una sbarra metallica consente l’accesso ad una carrareccia adibita alle attività forestali e alla zootecnia. È il punto di partenza per mirare al Basilio, che, con i suoi 1.885 metri, è la maggiore cima dei Monti Pizzi.
Le intenzioni concordate la sera prima, però, erano state meno ardite e impegnative. Con Tonino e Adriano, immancabili alfieri del mio peregrinare montano, era prevista una sgambatina leggera, di preparazione al Monte Porrara, obiettivo in programma e conseguito pochi giorni dopo.

E la parte iniziale del tragitto sembra proprio essere in linea e coerente con questo misurato proponimento. Una strada brecciata, larga, in leggerissimo pendio, solcata dalle acque invernali e tappezzata ai cigli dalle foglie ancora indecomposte dei faggi incombenti, rende discorsivo il procedere, senza che fiato e battito ne risentano. In ombra e al fresco del primo mattino, con i profumi del bosco e l’umore trasudante dalle foglie di farfaraccio maggiore, onnipresente negli alvei dei torrenti ormai esausti.
Un’ampia radura, dopo circa 40 minuti di cammino, che fa lentamente salire dai poco meno 1.500 metri della partenza, ospita sulla sinistra lo Stazzo Polledara, a quota 1.740 metri di altitudine. Siamo nella foresta demaniale Val di Terra, ai margini dei Comuni di Palena e Gamberale. Vacche Podoliche, Marchigiane e meticce da tori Limousine pascolano di quel che resta di una stagione particolarmente siccitosa. Anche giumente, stalloni e puledri ripuliscono, lasciando alla vista solo i cardi spinosi, i prati dopo il passaggio radente dei bovini.
Sulla destra, uno sperone di roccia fa da spalliera ad un terrazzo dal panorama strabiliante. Da certe angolazioni, la vista non trova opere dell’uomo ad ostacolarla. Le tre cime parallele del Rotella, di Pizzalto e del Porrara occupano il primo piano dell’inquadratura. Sullo sfondo, la profonda fenditura della Valle di Taranta e, per un occhio allenato, la cima bianca di Monte Amaro.
Qui l’arte persuasiva di Tonino, mai perentoria, si fa breccia. E da qui, virando in fondo sulla sinistra, parte una diagonale erta ed esposta, senza una traccia di sentiero ben evidente. È la svolta per dirigersi sul Basilio, monte ai più sconosciuto, ma che per due metri supera la vetta parallela del Secine, maggiore emblema dei Monti Pizzi. La fatica e la premura si fanno sentire. L’improvvisazione ne lenisce gli effetti.

Con Adriano restiamo leggermente attardati, mentre Tonino ci attende in vetta, fiero del positivo esito dell’arte persuasiva esercitata nei nostri confronti. I primi di agosto e non c’è anima viva. Una croce metallica, una scritta su pietra e una piccola trincea occupano la vetta.
Sul Basilio lo sguardo si allarga anche verso Castel di Sangro, i monti della Meta e le Mainarde e su questo terreno, sulla Linea Gustav, nel fossato scavato a mo’ di trincea, le vedette tedesche ampliano il raggio di veduta e di controllo armato dell’avanzata Alleata.
E nei pressi, a Pietransieri, caposaldo della Linea Gustav, nel mese di novembre del 1943 la barbarie nazista si macchia dell’eccidio più cruento perpetrato nel Mezzogiorno d’Italia. Le vittime sono centoventotto. Trentaquattro bambini al di sotto dei dieci anni e un bimbo di un mese. I cadaveri sono dispersi nella boscaglia, nelle radure, fra le macerie delle case coloniche fatte saltare in aria, sepolti, sino all’estate 1944, dalla coltre nevosa.
L’ombra di un sentiero individuata alle spalle della trincea conduce ad una traccia più evidente che si sviluppa per il bosco. Ed è il percorso optato per il rientro. Inizialmente ripido, si fa subito più dolce e rilassante. Ci porta dopo qualche inevitabile fuori pista alla radura posta nelle vicinanze dello Stazzo Polledara. Meta rassicurante, da cui il passo si fa più veloce, per poter rispettare i tempi “canonici” del pranzo in famiglia, programmato per le ore 13.30.

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