Tra_Monti
Una rubrica di Marcello Di Martino
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Il Rifugio è Benevolo

Rhemes Notre Dame, ottantuno abitanti 1.725 metri di altitudine. È la fine della Valle d’Aosta. Settembre 2019. Il sindaco è di Chatillon.

L’ex sindaco di Rhemes Notre Dame è sindaco di Aosta, il vescovo di Aosta ha nel proprio curriculum la parrocchia di Rhemes. Rhemes, ombelico clerico-politico della Valle.

Alloggio in Lo Sabot, a conduzione matriarcale. Pavimenti in ceramica colorata di marrone e giallo, tazza del bagno per pesi piuma. Mobili in legno di conifere. Uomini invisibili, senza televisori, al bando il Wi-Fi. Ottilia, nel cui nome è racchiuso il senso di patria, patrimonio, ereditiera, accoglie, racconta poco, va sempre di fretta, prepara le colazioni, rassetta le camere, compila le ricevute, porta fuori le vacche al pascolo e le accompagna all’appezzamento del giorno. Sessantasette anni, pile blu che si confonde con la pelle, spettinata ma sorridente, fisionomia da normotipo valdostano, occhi grigi color cenere, capelli corti chiari, rubiconda sugli zigomi. Orgogliosa di essere l’unica ad avere ancora le vacche a quella altitudine. Quindici vacche Valdostane pezzate rosse, quelle bianche e nere sono cattive, “fanno i combattimenti“ precisa Ottilia.  E poi fra giovenche, manze, manzette e vitelli arriva a trentasette capi. La nuova stalla è la loro dimora, per il benessere animale.

Niente ritiro del latte, trasformazione in yogurt semplici e alla frutta, in formaggio Bleu d’Aosta e in tomini.

I riccioli di burro tartinabile, marmellate di lampone e di mela, tre biscotti, sempre quelli, e quattro fette biscottate, sempre quelle, la colazione.

Oggi, 23 settembre, Nino, amico di sempre, compagno di montagna, compie sessant’anni. E ci si regala il Benevolo. Rifugio, chiuso sulla carta, aperto per i lavori di fine stagione.

Quattro gradi, a Thumel, piccola area lacustre, finisce la strada e si parcheggia, in solitaria. In un ampio piazzale, in corso di ristrutturazione e di ampliamento. Da qui ha inizio il sentiero, con segnavia 13, che conduce alla meta odierna, a quota 2.285 metri.

Fuma sulla destra una stalla con annesso caseificio. L’odore di legna bruciata  fende lo strato di nebbia e  fa da lenitivo ai primi passi ingolfati dal freddo. Nel tratto iniziale si supera un ponticello sulla Dora di Rhemes e ci innalza subito, transitando prima in una struttura del Parco del Gran Paradiso, poi, sempre intersecando la carrareccia di servizio,  nei i ruderi dell’Alpe di Barmaverain. Il sole comincia a farsi caldo, ristorano la vista fragorose cascatelle, rivoli d’acqua, torrenti ancora gonfi. Alla base dell’ultima ascesa, sempre in intersezione erta della poderale, piacevole incontro con una giovane guardia Parco del Gran Paradiso. Bella, sorridente, ci raggiunge in discesa con l’eleganza e l’agilità di uno stambecco. È in perlustrazione dalle prime ore dell’alba. Sprizza passione e ci tiene a metterci al corrente degli inusuali confini che sono stati dati all’area protetta, lasciando superfici estese al di fuori delle prescrizioni che l’essere nel Parco Nazionale prevede. Esterna stupore, ma non polemizza.

L’Alpeggio Lavassey è l’ultima presenza umana. Poi, il Benevolo svetta. Aggiriamo il rifugio, per portarci alle sue spalle, dove si apre alla vista un’ampia conca contornata da vette incombenti e distese superfici glaciali. La Grande Traversière, a ovest del Benevolo, la Punta Tsanteleina, la Punta Calabre fino alle Galisia e Basey che chiudono a est l’arco visivo. Da qui, indicazioni dettagliate tracciano mete raggiungibili entro le due ore: Lago di Goletta 2.700 metri, Lago della Tsantelèina 2.696 metri, Tour du Truc de Tsantelèina. E poi, percorsi più impegnativi, oltre i tremila metri. Il godimento dello scenario si protrae a lungo. Restiamo sul pianoro, senza alzarci di quota. Nino lo vorrebbe, le mie forze latitano.

Stendo ad asciugarsi sulle panche,  sferzate dal vento, la maglia di lana cotta e il giubbotto windstopper. Sul tavolo accanto, due giovani bergamaschi sorseggiano birra gelata.

Ciabatte numero quarantaquattro mi autorizzano ad entrare nel rifugio. Minestra di cereali, legumi, verdure e formaggio Fontina DOP. Orlandina di Tagliacozzo ci accudisce, con il racconto della sua giovane vita al Gian Federico Benevolo. Abruzzo e Valle d’Aosta, binomio a me assai caro.  La stagione dello sci alpinismo, da marzo a maggio, è la più densa. Francesi, Olandesi e Tedeschi raggiungono il Benevolo, di recente ampliato e arricchito di servizi, e gravitano sul Benevolo intere settimane. Orlandina saluta Mathieu, guida alpina e titolare del rifugio. Subito al bancone prepara il suo caffè del mattino. Uno ne porge al ciclista iper-tecnico, da poco sbarcato nel locale ristoro. Una coppia francese, con micro cane portatile, addenda, provata dall’ascesa, panini al formaggio e sorseggia vino rosso Fumin della Valle.

Al ritorno, si decide di seguire la sbrecciata di servizio, solo in piccoli tratti accorciata dal taglio dei tornanti. La strada è inspiegabilmente privata e il suo accesso a valle è regolamentato da una sbarra striata in bianco rosso. Una mandria di oltre cento bovini di etnia valdostana ci accoglie mansueta e ruminante a metà percorso. Ci si attarda nei tempi, ma ne  beneficiano le gambe. Il Benevolo lo perdiamo alle spalle, ma resta stratificata in noi tutta la sua benevolenza.

Il Rifugio è Benevolo ultima modifica: 2023-01-28T20:20:38+01:00 da Marcello Di Martino
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