La Madonna delle Sorgenti per il Balzolo
Nei mesi estivi e per le vacanze di Natale, ho trascorso tanti giorni della prima adolescenza dai nonni materni. Costruzione ottocentesca, questa dimora, unica passata indenne dalle nefandezze distruttive della barbarie nazista, perché quartier generale dell’avamposto occupante, è ancora, per me, gravida di ricordi e densa di un sentimento di “altra” nostalgia. Una luce che apre orizzonti inediti più che una coltre buia che impedisce ogni visione (Massimo Recalcati, La Luce delle stelle morte)

Sugli scaffali della cameretta, nel sottotetto, con due letti stretti stretti, abitava un magnetofono Geloso, con una bobina dedicata ai discorsi del Duce. Regali di Don Alfredo ad un mio zio, medico condotto nello stesso Comune dove il sacerdote era parroco. Pare che il prete provenisse da Montelupo Fiorentino e che la sua destinazione abruzzese avesse tanto il sapore di una sorta di esilio forzato, per la sua mai rinnegata adesione al Fascismo. Il Comune di cui parlo è Pennapiedimonte, sul versante orientale della Majella. Punto di partenza dell’escursione odierna è una sua località: il Balzolo, intorno ai settecento metri di altitudine.



Un lungo balcone assolato con affaccio a grand’angolo su colline, valli, altopiani, aree pianeggianti, corsi e bacini d’acqua, distretti industriali, fino alla lunga linea dal blu intenso dell’Adriatico.
La giornata tersa facilita la prima visione del panorama, siamo ai margini di un punto ristoro e pronti ad intraprendere il lungo cammino. Una recinzione, con facile breccia, annuncia per ordinanza sindacale che il percorso è inibito al transito per il pericolo di caduta massi. Mi fa pensare alla “medicina difensiva” che non opera per non subire denunce. Oltrepassiamo, con Tonino e Adriano, l’ostacolo, sincerandoci che da tempo è ormai consuetudine farlo con vigile premura. La strada, in saliscendi, è a servizio dell’acquedotto, le cui opere di presa rappresenteranno la meta terminale del giorno. In alternativa, il vecchio sentiero si inabissa nella tenebrosa Valle dell’Avella. Subito la prima delle tre gallerie. Segue una rappresentazione scultorea, su pietra bianca della Majella, di una scena pastorale, impregnata di quel senso folclorico, a volte abusato, che descrive una terra, una cultura e un modello antropologico morti e sepolti. Ed è lungo il tratto ancora senza sole, salendo di quota, avvistando con tutta la sua maestosità la cima innevata delle Murelle (2.596 metri).



Ai tre cantoni, la strada si fa in discesa, altri due fori nella roccia, piena di sole. Il rumore in fragore del torrente Avella contraddice la sua attuale inconsistenza, traccia sempre più tangibile della recente siccità. Cascatelle, pozze d’acqua dal colore smeraldo e il sole qui timido creano tuttavia una dimensione di freddo umido, che fa da contrasto con il sudore accumulato. Un ultimo breve tratto su sterrata in salita, con foglie indecomposte, per raggiungere l’area pic-nic, la fontana e la prima stazione di pompaggio dell’acquedotto. Arredi in palese stato di abbandono, non è stagione. Coperti da spessi cuscini di muschio. Qui è decisamente freddo, siamo intorno ai mille metri, vento, umidità risalente dal Vella e ombra. Nei pressi, attraversando il torrente, continua il sentiero G2 che porta, inoltrandosi per la densa faggeta, alle Gobbe di Selva Romana e a Monte Cavallo, al di sopra dei duemila metri.



Tonino, profondo conoscitore dei luoghi, si avvantaggia, indicandoci dove seguirlo. Il tragitto, a questo punto, è su battuto di cemento, leggermente umido e scivoloso, erto e faticoso. Alcuni tornanti l’addolciscono e dopo un chilometro circa siamo alla fine della strada di servizio. Località lu linàrë, Linaro nella cartellonistica e sentieristica locali, il cui toponimo richiama il campo di lino, notoriamente umido come la nostra area sorgiva. Ci attendono una presa d’acqua, una fontana e una teca con la Madonna delle Sorgenti. Superata l’effige mariana, sulla sinistra, con gradoni di roccia bagnati, si raggiunge a breve distanza la croce che proprio a mille metri completa, almeno per me, l’ascesa.



Adriano, affascinato dalle antenne e dai ripetitori del Blockhaus, si unisce a Tonino per scandagliare la percorribilità di quel tratto di sentiero, apparentemente impervio, in loro direzione. I miei limiti nel procedere al ritroso mi spingono a riavviarmi in solitaria. Due signore in affanno, il primo incontro. Sapendo di mentire, indico loro che la meta è vicina. Poi, il secondo. Piacevole e discorsivo con Moreno e progenie. Moreno Pinto è vivaista d’eccellenza ed è di questa montagna capillare intenditore. Sciorina vette, toponimi, sentieri, tragitti, tempi e difficoltà. Oggi è in escursione leggera, impeccabile nell’outfit, il figlio universitario riparte per il Nord. Alla mia destra, una nuova prospettiva mi accompagna. E si fa ancora più impenetrabile l’orrido dell’Avella e le pareti rocciose assumono con il sole in faccia colori dall’ocra, all’arancio e al rosso. Al culmine dell’ultimo tratto in salita, si ricompone il trio. E poi è tutta perdita di quota. E si fa agevole passare dalle accise, alle Otto Montagne, dai pazienti invadenti alle pietre che rotolano dal cielo. Alla prossima, panino con prosciutto tagliato al coltello, oggi minestrone di verdure d’inverno, pronto a tavola per le quattordici e quindici.

